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martedì 21 luglio 2015

Papa Francesco (quarto tempo)


Lo spiazzamento
La "Laudato Si’" è un'enciclica così circolarmente compiuta che ogni volta che la sfoglio mi si ripresenta il problema di quale entrata scegliere e di quale uscita. Ho scelto questa volta il passo al n. 16 che evidenzia "l'intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta". Si tratta infatti di una chiave francamente inedita che guarda all'ecologia con un'ottica che mette al primo posto il punto di vista di un'enciclica sociale. Questa forse la novità sistemica più grande di tutto l'impianto, perché finora l'ecologia faceva parte di quella branca delle scienze e degli interessi economici e politici che guardano alla sostenibilità e all'impatto ambientale con l'ottica di una classe media globale cresciuta corposamente nei Trenta Gloriosi e oggi impoverita dalla crisi finanziaria. Come a dire che ecologia e consumo sfrenato hanno finito, non da ieri, per entrare in rotta di collisione. E invece con papa Francesco l'ottica muta radicalmente. Avviene per il radicamento e la passione evangelica (il Nazareno avverte che i poveri li avremo sempre con noi) e così facendo si sottrae al ricatto del pensiero unico, della supposta neutralità della scienza, delle nuove ideologie palesi e occulte e dei loro cascami.
Devo ripetere che la citazione che mi è tornata immediatamente in mente è quella adottata da Alexander Langer: "Quando sentiamo che gli uomini hanno fame, il problema non è mangiare di meno, ma pensare di più".
Senza ovviamente incorrere negli anatemi sull'eccesso diagnostico che papa Francesco non lesina nei suoi interventi. Torna anche in memoria l'immagine di papa Bergoglio sulla Chiesa come ospedale da campo, e l'osservazione che è inutile fare diagnosi a chi sta morendo. Dove l'urgenza di intervenire concretamente non deve ridurre l'ansia di sviscerare il problema.
Già nella "Evangelii gaudium" il criterio erano i poveri. E adesso siamo in grado di intendere come questa presenza di un soggetto storico derelitto e della sua attenzione sia da considerare l'ottica irrinunciabile del Papa argentino. È qui che nasce, a ben vedere, contro la cultura dello scarto, l'ecologia integrale. Così integrale da mettere da subito in primo piano l'importanza dei processi partecipativi. E se guardi al mondo globalizzato e sfigurato dall'avidità e dall'uso insensato delle tecnologie, puoi anche capire come ad uno sguardo mistico, ma non inutilmente devoto, Dio possa apparire "non cattolico".
Perché Dio agisce in tutti gli uomini (è anche il lascito del Concilio Ecumenico Vaticano II) e appare più interessato a un'ecologia integrale, legata al bene comune, che ad approcci catechistici e creazionistici. Forse, a pensarci bene, anche questa enciclica si installa nei lavori in corso di congedo dal Novecento. Perché congedarsi dal Novecento significa non smettere di cercare, oltre i confini del narcisismo consumistico, nuovi soggetti sociali. Sottrarsi al dinamismo e alla velocità della competizione universale. Andare oltre le mappe di quelli che si limitano a cambiare le regole senza pensare all'antropologia e ai problemi delle squadre destinate a scendere in campo. E in quale campo poi? Tutto questo riesce a dire questo Papa restando, senza risparmiarci curve e controcurve, nel solco della grande Tradizione. Assegnando confini ben più ardui e ben più in là anche ai garruli rottamatori che avessero in animo di ridurre la portata delle riforme e dei riformismi necessari. Perché è più resistente del previsto il muro di gomma che circonda gli sforzi di chi si sente veramente intenzionato a un'ecologia integrale. La durezza del potere e l'avvolgimento del consumo possono rivelarsi impermeabili al messaggio di papa Francesco. Perché il dominio finanziario è diventato tanta parte del potere demoniaco del potere. Obbligando a una critica che non può risparmiare le ragioni e le condizioni dello sviluppo e che non può pensare lo sviluppo medesimo senza il contributo di una critica adeguata. Di più, non è pensabile il percorso di questa umanità in cammino e neppure gli esiti di questa politica senza un approccio insieme disincantato e finalmente umanistico. (Tutti modi maldestri per approcciare l'espressione ecologia integrale.) Quanto alle capacità onnivore e includenti del consumo, si ponga mente alla circostanza che anche il pensionato resta in servizio attivo come consumatore una volta uscito dal lavoro. Con l'obbligo dunque di riflettere seriamente sulla durata e sull’invasività del consumo rispetto al lavoro nelle società postmoderne. È questa una delle zone di riflessione meno frequentate per chi ha giustamente generalizzato l'espressione baumaniana "società liquida".

Un pensiero ecologico cresciuto
La fede nel suo Dio di papa Francesco la ritroviamo al n. 6: "Si dimentica che "l'uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L'uomo non crea se stesso. E egli è spirito e volontà, ma è anche natura"."
E va subito detto che c'è oramai un pensiero ecologico che è cresciuto nelle encicliche degli ultimi papi. Né soltanto in essi, se papa Francesco trova subito il destro per citare il patriarca Bartolomeo, che più volte si è espresso invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione. "Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l'integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l'aria: tutti questi sono peccati"(n. 8).
I buoni cattolici tradizionalisti fedeli alla confessione sono avvertiti: è cambiata l'agenda dei peccati; meno sesso e più attenzione alla natura. Francesco d'Assisi interviene a questo punto: "Credo che Francesco sia l'esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e  autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano o lavorano nel campo dell'ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un'attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati"(n. 34).
Pienamente arruolato, e senza fatica. Ma con una valenza sistemica ulteriore: "La sua testimonianza ci mostra anche che l'ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l'essenza dell'umano"(n. 11).
Compassione, misericordia per il mondo: questa è l'ecologia, ossia il mettersi dalla parte di Dio e di lì riorientare lo sguardo. Qui è fondato anche tutto lo stile dell'enciclica e il metodo con il quale è redatta: i temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti. Un cammino, a ben osservare, da discepolo attento di Ignazio di Loyola, interessato a un discernimento che coinvolge tutto il creato e le creature. Una visione del mondo cioè che si astiene dall'essere una narrazione ideologica. E credo che il Paolo VI dell’"Octogesima Adveniens" resterebbe stupito di questa ripresa di autorità e di audience dell'attuale dottrina sociale della chiesa.

Ecologia implica il senso del limite
Ma sprechi, sfregi e indifferenza sono all'ordine del giorno. Dice Francesco: "La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile"(n.25).
La supponenza e un titanismo che rasenta il bullismo tecnologico creano mostri apertamente grotteschi: "In questo modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un'altra creata da noi"(n. 34).
E qui può riprendere le mosse e la rincorsa la critica continua che Francesco ha messo in campo contro le emozioni artificiali (n.47) selezionate dai media e da Internet.
Laddove la realtà è invece quella assai più tragica prodotta dagli squilibri attuali e dalla "morte prematura di molti poveri"(n.48).
Per questo "oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri"(n.49).
Né mancano le esemplificazioni tratte dalla quotidianità, là dove si osserva che il cibo che si butta è sottratto alla mensa dei poveri. Molteplici sono dunque le condizioni e gli elementi che concorrono alla creazione del"debito ecologico": un debito che separa e quindi congiunge il Nord e il Sud del mondo.

Una domanda impertinente
Una domanda perfino impertinente può nascere a questo punto: c'è una retorica della povera gente chi si distende in tutta la letteratura cattolica postconciliare? La risposta del Papa è perentoria: "Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi"(n.53). E che quindi andrebbe rafforzata la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana e che non c'è nemmeno spazio per la globalizzazione dell'indifferenza. Possiamo d'altra parte ripercorrere nei decenni immediatamente alle spalle un pensiero teologico "diffuso", e sempre meno disciplinarmente e scolasticamente separato dagli altri saperi "laici". Annota puntualmente papa Francesco: "Per quanto riguarda le questioni sociali, questo lo si può constatare nello sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, chiamata ad arricchirsi sempre di più a partire dalle nuove sfide"(n.63).
E poi l'affondo insieme storico, politico e mistico: "Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi "ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario"."(n.65)
Dove il creato non cessa di affermare il primato della persona perché "noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data"(n. 67).
Canta infatti il salmo che il Signore gioisce nelle sue opere (cfr Sal 104,31), al punto che tutto l'Antico Testamento narra la tenerezza di Dio, smentendo tutte quelle interpretazioni che contrapponevano un Dio padrone a un Dio di misericordia rivelatosi soltanto nel Secondo Testamento. Non a caso per la tradizione giudeo-cristiana, dire "creazione" è più che dire natura, "perché ha a che vedere con un progetto dall'amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato"(n. 76).
Allo stesso tempo tuttavia,"il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere divino"(n.78).
Si tratta cioè di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Sapendo di trafficare con "un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura".
Una condizione storica che interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere. Un Dio che assomiglia molto a quello illustrato da Simone Weil. Un Dio cioè che "ha voluto limitare se stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo"(n. 80). Non a caso la permanenza e lo sviluppo di ogni essere "è la continuazione dell'azione creatrice". E a completare il quadro una affermazione davvero scolpita nella pietra: "Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi"(n. 83).
Infatti leggiamo poco più avanti:"Ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua"(n.84).
Mi fermo, per non togliere al lettore dell'enciclica il gusto insieme della lettura e della continua scoperta. E concludo con un'osservazione davvero moderata: questo Papa che guarda alla globalizzazione, all’ecologia e al tutto dal punto di vista dei poveri, parla tuttavia a tutti: ceti medi -impoveriti o arricchiti- ricchi e poveri, centristi ed estremisti. Non so fino a quando. Ma intanto è un grande vantaggio. E quindi, ancora una volta: Laudato Si’.