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giovedì 10 settembre 2015

A QUANDO UNA STORIA DEL BILANCIO PUBBLICO?
di Fulvio Papi
Un'opera di Mario Bracigliano
Dato che non seguo analiticamente il fiorente vociare politico, dove la misura del discorso è già una qualità apprezzabile rispetto alle sguaiate scemenze che rubano tempo o spazio, non vorrei arrivare buon ultimo. Maglia nera si diceva nel ciclismo d’altri tempi. La questione è questa. A fronte dell’affermazione molto ricorrente nell’ambiente governativo secondo cui si è aperta una nuova vicenda storica, il valente navigatore, pieno di esperienza, D’Alema ha ribattuto che non tutto del passato è da gettare. Il perimetro di questi discorsi è quello normale della competizione politica che spesso dà solo qualche parola in più e maggiormente raffinata a credenze che gli ascoltatori posseggono già. Per esempio il “nuovista” ha aggiunto che non si può vivere politicamente di nostalgia. Il che poi, contrariamente a quello che si crede, non è vero. Se una persona ha nostalgia del livello morale, della dignità comportamentale un tempo diffusa nell’ambito politico e sociale rispetto a quello che accade oggi con una mafia, più o meno storica, può vivere con questo sentimento. Che è poi un giudizio etico sulla contemporaneità. C’è tuttavia un al di là rispetto a questo livello discorsivo che andrebbe frequentato maggiormente, ed è la conoscenza storica. Sono molto contento di riconoscere che gli storici delle vicende italiane dal primo Novecento al quasi-oggi, sono molto apprezzabili, competenti, equilibrati, liberi nel motivato giudizio. Ho sempre letto o ascoltato i loro discorsi con il piacere di apprendere e di confrontare le convinzioni che mi sono fatto in una ormai lunga vicenda. C’è però un tema che non ho visto trattato (anche se forse dipende dalla limitatezza del mio sguardo), ed è una storia, una storia con un elenco di cifre, del bilancio del nostro Stato. Il bilancio, quando si vanno a vedere i capitoli di spesa e il loro scopo, è una radiografia storica. Ricordo, molto tempo fa, quando le industrie irizzate dovevano avere annuali ricapitalizzazioni che spesso erano sbagliate e sostenute con argomentazioni ad hoc che, in fondo, avevano come effetto di favorire consensi elettorali e formare, come si diceva allora, una borghesia di Stato. E ricordo Guido Carli di osservanza democristiana con le sue reprimende, e, una volta, dopo una conferenza a “Corrente” a Milano, mi disse con il suo sorriso glaciale: “Ma forse si può vivere felici anche con i conti in disordine”. Quello che conta in questa affermazione è l’interpretazione del sorriso.