A QUANDO UNA STORIA DEL BILANCIO PUBBLICO?
di Fulvio Papi
Un'opera di Mario Bracigliano |
Dato che non seguo analiticamente il
fiorente vociare politico, dove la misura del discorso è già una qualità
apprezzabile rispetto alle sguaiate scemenze che rubano tempo o spazio, non
vorrei arrivare buon ultimo. Maglia nera si diceva nel ciclismo d’altri tempi.
La questione è questa. A fronte dell’affermazione molto ricorrente
nell’ambiente governativo secondo cui si è aperta una nuova vicenda storica, il
valente navigatore, pieno di esperienza, D’Alema ha ribattuto che non tutto del
passato è da gettare. Il perimetro di questi discorsi è quello normale della
competizione politica che spesso dà solo qualche parola in più e maggiormente
raffinata a credenze che gli ascoltatori posseggono già. Per esempio il
“nuovista” ha aggiunto che non si può vivere politicamente di nostalgia. Il che
poi, contrariamente a quello che si crede, non è vero. Se una persona ha
nostalgia del livello morale, della dignità comportamentale un tempo diffusa
nell’ambito politico e sociale rispetto a quello che accade oggi con una mafia,
più o meno storica, può vivere con questo sentimento. Che è poi un giudizio
etico sulla contemporaneità. C’è tuttavia un al di là rispetto a questo livello
discorsivo che andrebbe frequentato maggiormente, ed è la conoscenza storica.
Sono molto contento di riconoscere che gli storici delle vicende italiane dal
primo Novecento al quasi-oggi, sono molto apprezzabili, competenti,
equilibrati, liberi nel motivato giudizio. Ho sempre letto o ascoltato i loro
discorsi con il piacere di apprendere e di confrontare le convinzioni che mi
sono fatto in una ormai lunga vicenda. C’è però un tema che non ho visto
trattato (anche se forse dipende dalla limitatezza del mio sguardo), ed è una
storia, una storia con un elenco di cifre, del bilancio del nostro Stato. Il
bilancio, quando si vanno a vedere i capitoli di spesa e il loro scopo, è una
radiografia storica. Ricordo, molto tempo fa, quando le industrie irizzate
dovevano avere annuali ricapitalizzazioni che spesso erano sbagliate e
sostenute con argomentazioni ad hoc che, in fondo, avevano come effetto di
favorire consensi elettorali e formare, come si diceva allora, una borghesia di
Stato. E ricordo Guido Carli di osservanza democristiana con le sue reprimende,
e, una volta, dopo una conferenza a “Corrente” a Milano, mi disse con il suo
sorriso glaciale: “Ma forse si può vivere felici anche con i conti in
disordine”. Quello che conta in questa affermazione è l’interpretazione del
sorriso.