UNA VITA CONSACRATA ALL’ARTE
Laura Margherita
Volante conversa con il collezionista fiorentino Luigi Bellini
Laura Volante con Luigi Bellini |
L. M.V. Lei appartiene ad una prestigiosa famiglia di collezionisti
fiorentini di grandi opere d'Arte da più di sei secoli, per cui le chiedo come
ha pesato questa eredità in termini di benefici e costi sulla sua esistenza;
come l'ha vissuta fin dalla sua infanzia adolescenza giovinezza?
L.B. Non direi
che la storia della mia famiglia abbia “pesato” sulla mia vita, né che sia
stato difficile per me accettare di portare un nome tanto importante e sposare
lo stesso appassionato interesse e vocazione per l’Arte che da sempre ha
contraddistinto i miei avi. Io non ho in realtà ereditato nulla, mi spiego
meglio, l’Arte è la mia vita da sempre, sono nato e cresciuto in mezzo alle
opere d’arte, molte di immenso valore. Per renderle una immagine incisiva molto
semplice di come sia stata la mia infanzia, credo sia sufficiente pensare che
mentre molti dei miei coetanei giocavano con i comuni giocattoli, macchine e
soldatini, io mi approcciavo già ai bronzi del Giambologna o del Riccio. Per
cui i benefici sono stati tanti, mentre i costi e la fatica sono stati invece
pari a zero. Anche perché io amo la mia vita, sono un appassionato del mio
lavoro. Rivivrei la mia vita infinite volte, senza perder nulla della mia
esperienza passata, ripeterei ogni scelta, dall’infanzia all’giovinezza, anche
perché, resti fra noi, a parte il dato anagrafico mi sento sempre lo stesso
giovane di un tempo.
L.M.V. La sua famiglia nell'arco di alcuni secoli ha
raccolto capolavori, che certamente ricordano ed esaltano nel suo palazzo
quattrocentesco i fasti di un'epoca fra bellezza eleganza in una cornice di ricchezza anche ostentata come
espressione di potere delle Arti, per pochi eletti. Oggi questa mostra da lei
voluta insieme al prof. Aldo Grassini, presidente del Museo Omero, sta ad
indicare una evoluzione sociale, che solo da pochi decenni tende a
valorizzare la persona in quanto tale.
Per lei quali le motivazioni culturali e morali di tale progetto così
innovativo e non scontato?
L.B. È bene
che lei sappia che la mia storia personale inizia a Firenze ma la mia famiglia
fino alla metà del XV secolo viveva a Venezia, sul Canal Grande, in una delle
più note e belle dimore della Città ancora oggi visibile, palazzo Ca d’Oro,
esempio incomparabile di gotico fiorito.
Purtroppo, quell’epoca non l’ho vissuta, mi sarebbe
piaciuto tanto. I miei avi decisero di spostarsi per il clima poco mite da
Venezia, iniziavano le vere prime scorribande dall’Oriente al tempo, e pertanto
si spostarono a Ferrara, in un palazzo accanto al Palazzo dei Diamanti, il più
famoso della Città, dove siamo rimasti fino alla metà del XVIII sec.
Più tardi i miei antenati decisero che Firenze fosse la
miglior vetrina per i collezionisti d’arte e gli antiquari, cosicché ci
spostammo definitivamente nella superba “culla del Rinascimento”. Nel nostro
sangue scorre la passione per l’arte, nelle diverse forme, dall’antiquariato al
collezionismo. L’antiquario prima di tutto ama l’oggetto d’arte, venderebbe
l’anima pur di riuscire ad acquistarlo, il vero collezionista deve vendere per
ricomprare l’oggetto, non bada al denaro, per lui esiste solo l’Opera d’arte,
la vera ricchezza sta proprio nell’oggetto d’arte. Vivere d’arte e per l’arte
non è vero che è un privilegio di pochi eletti. È vero che si comincia da molto
giovani, comprando e restaurando e rivendendo gli oggetti d’arte. Ma la parte
commerciale è secondaria.
Il rapporto fra noi della Collezione Privata Bellini e il
Museo Omero nasce da tempo lontano. Le prime due manifestazioni che avevano
l’ambizione di riunire oltre 100 antiquari le feci proprio ad Ancona, alla Mole
Vanvitelliana anni addietro, quando alla Mole c’erano più topi che cristiani.
Il palazzo non era stato tenuto bene, era all’epoca abbandonato a sé stesso.
Aldo Grassini, oggi Presidente del Museo Omero, l’ho conosciuto in
quell’occasione e mi raccontò subito la sua splendida e innovativa idea di
creare un habitat dove fosse possibile per i non vedenti provare a “sentire”
l’arte, provare a sentire il piacere di toccare le Opere d’arte. Questo suo
progetto mi colpì profondamente, tanto che seguii fin dall’inizio il percorso
di sviluppo delle sue mostre.
Per me che sono cresciuto a contatto diretto quasi fisico
con le Opere d’arte, trovavo difficile poter immaginare il rapporto tra un
ipovedente e l’Arte, immedesimarmi nella sua diversa sensibilità evoluta dal
suo handicap, nel perenne buio in cui si muove e crea un proprio mondo magico.
La Soprintendenza pensa che per difendere l’Opera d’arte
non si debba farla avvicinare alle persone. Senza tener conto che l’opera
d’arte in realtà è arrivata a noi dopo esser stata maneggiata più e più volte
nel corso del tempo, chissà quante mani l’hanno toccata prima di giungere a
noi. Il merito di questa mostra è quella di aver in primo luogo avvicinato
l’arte alle persone, tutte le persone, superando ogni barriera discriminante.
Per cui io credo che anche se non sarà vista in questa maniera, questa mostra
ha dimostrato che tutti coloro che vivono lo stesso problema della cecità
possono avvicinarsi all’arte come i normodotati, anzi ancora più vicini.
L’occasione offerta con “Il Rinascimento oltre l’Immagine” è unica, i fruitori
possono toccare tutte le Opere d’arte originali dei grandi maestri del
Rinascimento, toccare una copia creata all’uopo non da la stessa emozione di
toccare l’Opera originale, questa lascia un segno indelebile, un segno che
viene ad incidersi nella mente, non ha bisogno
degli occhi ma della testa, dell’ immaginazione e della volontà. Senza ombra di
dubbio, anche se so che potrei essere smentito da qualche detrattore, il non
vedente ha una sensibilità emotiva molto più profonda della nostra.
L.M.V. Donatello, Verrocchio, Della Robbia,
Veronese, Giambologna: “Il Rinascimento oltre
l'immagine”, quasi
una provocazione in un mondo dove l'immagine la fa da padrone. In una società
di irrelati dove mancano un saluto un sorriso un abbraccio, in cui emerge
l'analfabetismo emotivo nell'indifferenza e nello sport dell'orrore. Ritiene
che questa mostra possa dare un contributo non solo ad eliminare le distanze
fra Arte e persone che vivono il disagio
visivo, ma anche a trasmettere un messaggio significativo ai cosiddetti normodotati?
L.B. Sono
perfettamente d’accordo con la sua constatazione e bella riflessione. In questo
mondo dove l’immagine è tutto e la fa da padrona, manca ormai da tempo la
volontà di comunicazione emotiva, non si sa più cosa significa l’empatia, un
saluto, un sorriso e un abbraccio. Indifferenza e analfabetismo emotivo sono il
male odierno nei rapporti sociali. Spero che questa mostra contribuisca a
lasciare un segno che sia incisivo e concreto e aiuti ad eliminare le distanze
tra gli uomini. Siamo stati investiti della missione di trasmettere un segnale
forte, di neutralizzare l’anaffettività e l’individualismo che, ahimè,
contraddistingue questi tempi.
L.M.V. Ventuno
sculture e quattro tele offrono uno spaccato di una civiltà che ha esaltato la
bellezza estetica e quindi il bene in un momento epocale dove la bruttezza e la
bruttura evidenziano uno scenario culturale avvilente, che ha i suoi tentacoli
in ogni settore della vita sociale. Come si può fare ad uscire da queste sabbie
mobili di corruzione imperante? Dobbiamo ancora sperare di poter sognare un
mondo migliore?
L.B. Come
salvarsi dal virus della bruttura e dell’indifferenza? Non esiste una formula
sola per uscirne, a meno che non si faccia come diceva Einstein al quale
chiesero cosa pensava delle guerre future e lui rispose che la terza non sapeva
come l’avrebbero combattuta ma la quarta, beh quella disse che gli uomini
l’avrebbero combattuta con le clave. Questo per dirle che non c’è nulla che
possa salvare il nostro mondo più della bellezza, dell’ammirazione per una
bella Opera d’arte esposta davanti ai nostri occhi in una mattina di sole,
credo che nessuno più di un Donatello e di un Michelangelo possano raccontarci
chi eravamo, ma anche chi siamo e saremo in futuro. Dobbiamo sperare in un
mondo migliore? Lo auguro a tutti, mi piacerebbe poterlo credere, ma rimango
pessimista a riguardo.
In relazione alle note biografiche non posso che
confermarle tutto. Noi Bellini siamo conosciuti in tutto il mondo quali
“filosofi dell’arte” e non come mercanti, spero che le generazioni a seguire
abbiano il piacere di intraprendere il mio stesso percorso, per creare qualcosa
che rimanga. Una traccia di noi imperitura nel tempo. Aggiungo un solo ricordo,
ero molto giovane e mio padre era amico di Paul Getty, negli anni ’60
sicuramente Getty era l’uomo più ricco della terra. Mi invitava spesso a Los
Angeles per vedere le sue nuove acquisizioni nella sua immensa Collezione, io
ci andavo sempre volentieri ma pur essendoci una differenza di età mi ritrovavo
in lui. Una volta gli chiesi perché collezionasse tante Opere d’arte. Il
collezionista prova un piacere privato, di cui non può godere alcuno che lui
non voglia, e lui mi rispose che l’Opera d’arte è un bene che lascia una
impronta vibrante, mentre i soldi no. Il denaro non vibra, mi disse, e io che
sono l’uomo più ricco della terra so bene che quando morirò il mio capitale
sarà solo carta o poco altro, non rimarrà niente di me, perché questo verrà
distribuito in un modo o nell’altro. L’unica cosa che posso fare è aspirare
all’immortalità, l’unica via per esserlo è quella di lasciare alla gente che
rimarrà dopo di me il mio ricordo, l’Arte che rimane. Così sono nate le due
Fondazioni Paul Getty per l’arte, che fanno funzionare queste splendide
collezioni che la gente può vedere.
Brevi note
biografiche
Luigi Bellini è nato a Firenze e appartiene alla
ventunesima generazione della celebre dinastia fiorentina di antiquari. L’amore
per Firenze contraddistingue la famiglia Bellini, tanto che nel 1955
ricostruisce, facendone dono alla città, il ponte di S. Trinità distrutto
nell’ultima guerra. Fra i meriti principali della famiglia, inoltre, va
annoverata la creazione della Biennale dell’Antiquariato di Firenze, che
riporta la città alla grande ribalta internazionale del marketing culturale,
oltre a tantissime altre iniziative di prestigio del mondo internazionale
dell’arte mondiale.
Ha frequentato scuole internazionali d’arte e di
economia, come la Sorbona a Parigi e la Bous Art; riceve una laurea ad honorem
dalla Luiss Pro Deo di New York.
Nel 2006
crea il Museo Privato Luigi Bellini di Firenze, in uno dei più prestigiosi
palazzi storici di Firenze, palazzo ricostruito in parte dal famoso architetto
Coppedè. Il Museo Privato Luigi Bellini, sin dalla sua fondazione conta più di
10.000 opere tra quadri, sculture e bronzi, fondi oro, ed è composto da
capolavori di grandi maestri come Raffaello, Beato