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lunedì 26 ottobre 2015

IL CONIGLIO BIANCO
All’area Zelig di viale Monza a Milano, debutta uno spettacolo che è molto di più di un semplice omaggio al genio di Giorgio Gaber

Claudio Taroppi
Come simbolo hanno una lisca di pesce (sono i Fishbonecreek) e stanno in quel di Candelo, in provincia di Biella. Chi non ha visto quella meraviglia che è il ricetto di Candello (praticamente un borgo di poche anime, ma che borgo!), si è perso davvero qualcosa. Come insegna dello spettacolo “Il coniglio bianco”, hanno scelto, ovviamente, un coniglio di questo colore; stilizzato con le lettere bianche del nome Gaber, perché lo spettacolo è apertamente ispirato al teatro canzone del geniale musicista milanese, e a quel felice connubio che è stata l’accoppiata Gaber-Luporini. Da quel lungo sodalizio sono nati spettacoli divenuti celeberrimi; i monologhi, la parola, i testi che hanno magistralmente sorretto le musiche, hanno dato il senso pieno di quello sguardo acuto sulla realtà della società italiana che a partire dagli anni della contestazione, si è poi spinto fino agli anni della crisi e alla loro degenerazione. Sociologia e poetica; utopia e costume; indignazione e presa di coscienza; ironia e sberleffo… Si potrebbe continuare per un lungo tratto, perché c’era tutto questo ed altro ancora nelle musiche e nei testi di quelle due geniali intelligenze. Dunque hanno fatto benissimo Claudio Taroppi (voce) e Alessio Mazzolotti (regista), a montare con i loro testi e le continue citazioni gaberiane-luporiniane, questa divertente e stimolante riflessione su quegli anni e su quel suo geniale interprete, senza trascurare gli anni nostri, servendosi di quello stile e di quella fortunata formula.

L'Area Zelig gremita di spettatori
L’area Zelig di viale Monza si presta benissimo. La scena essenziale di Roberta Gaito (materiale di cartone, quel poco che serve, da cui si ricava una poltrona, un paio di abat-jour, un leggio, un paio di parallelepipedi su cui Giorgio Tusa ha disegnato al tratto nero la forma di due chitarre), la proiezione fissa su fondo nero del coniglio bianco ricavato dalle lettere luminose, un paio di microfoni e la chitarra classica di Simone Spreafico che di tanto in tanto si alterna al canto o fa da spalla a Taroppi che guida bene tutto l’ordito facendo scivolare il paio d’ore di spettacolo senza che il fitto pubblico quasi se ne accorga. Divertendolo ed obbligandolo a pensare, perché in fondo era questo l’intento di Gaber e dei suoi spettacoli. Se c’è un filo che tiene insieme l’intero ordito di questo “Coniglio bianco”, direi che va rintracciato nella “consapevolezza”- in quegli anni si sarebbe detto “coscienza” - del nostro essere uomini e nel nostro essere nel mondo, in un mondo sempre più manipolato, in cui il rischio è di divenire tutti, irrimediabilmente dei replicanti. L’antidoto, forse, resta quello a cui ci invita Gaber: la vigile intelligenza, la verifica diretta, il dubbio, il rifiuto di delegare spogliandoci della nostra responsabilità. 
Angelo Gaccione