IL CONIGLIO BIANCO
All’area Zelig di viale Monza a Milano, debutta uno
spettacolo che è molto di più di un semplice omaggio al genio di Giorgio Gaber
Claudio Taroppi |
Come simbolo hanno una lisca di pesce
(sono i Fishbonecreek) e stanno in quel di Candelo, in provincia di Biella. Chi
non ha visto quella meraviglia che è il ricetto di Candello (praticamente un
borgo di poche anime, ma che borgo!), si è perso davvero qualcosa. Come insegna
dello spettacolo “Il coniglio bianco”,
hanno scelto, ovviamente, un coniglio di questo colore; stilizzato con le
lettere bianche del nome Gaber, perché lo spettacolo è apertamente ispirato al
teatro canzone del geniale musicista milanese, e a quel felice connubio che è
stata l’accoppiata Gaber-Luporini. Da quel lungo sodalizio sono nati spettacoli
divenuti celeberrimi; i monologhi, la parola, i testi che hanno magistralmente
sorretto le musiche, hanno dato il senso pieno di quello sguardo acuto sulla
realtà della società italiana che a partire dagli anni della contestazione, si
è poi spinto fino agli anni della crisi e alla loro degenerazione. Sociologia e
poetica; utopia e costume; indignazione e presa di coscienza; ironia e
sberleffo… Si potrebbe continuare per un lungo tratto, perché c’era tutto
questo ed altro ancora nelle musiche e nei testi di quelle due geniali
intelligenze. Dunque hanno fatto benissimo Claudio Taroppi (voce) e Alessio
Mazzolotti (regista), a montare con i loro testi e le continue citazioni
gaberiane-luporiniane, questa divertente e stimolante riflessione su quegli
anni e su quel suo geniale interprete, senza trascurare gli anni nostri,
servendosi di quello stile e di quella fortunata formula.
L'Area Zelig gremita di spettatori |
L’area Zelig di viale
Monza si presta benissimo. La scena essenziale di Roberta Gaito (materiale di
cartone, quel poco che serve, da cui si ricava una poltrona, un paio di
abat-jour, un leggio, un paio di parallelepipedi su cui Giorgio Tusa ha
disegnato al tratto nero la forma di due chitarre), la proiezione fissa su
fondo nero del coniglio bianco ricavato dalle lettere luminose, un paio di
microfoni e la chitarra classica di Simone Spreafico che di tanto in tanto si
alterna al canto o fa da spalla a Taroppi che guida bene tutto l’ordito facendo
scivolare il paio d’ore di spettacolo senza che il fitto pubblico quasi se ne
accorga. Divertendolo ed obbligandolo a pensare, perché in fondo era questo
l’intento di Gaber e dei suoi spettacoli. Se c’è un filo che tiene insieme
l’intero ordito di questo “Coniglio
bianco”, direi che va rintracciato nella “consapevolezza”- in quegli anni
si sarebbe detto “coscienza” - del nostro essere uomini e nel nostro essere nel
mondo, in un mondo sempre più manipolato, in cui il rischio è di divenire
tutti, irrimediabilmente dei replicanti. L’antidoto, forse, resta quello a cui
ci invita Gaber: la vigile intelligenza, la verifica diretta, il dubbio, il
rifiuto di delegare spogliandoci della nostra responsabilità.
Angelo Gaccione
Angelo Gaccione