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lunedì 28 dicembre 2015

PARENTELA ED EMIGRAZIONE
Mutamenti e continuità in una comunità Calabrese
di Antonio Cugliari

Contadini in Calabria
Quando venne fondata l’Università calabrese di Arcavacata (Rende - Cosenza) gli obiettivi erano alquanto ambiziosi. La nuova Università doveva uscire dal chiuso della ricerca accademica per calarsi nello studio del tessuto della regione, onde contribuire al suo risveglio e farla uscire dal secolare sottosviluppo. Sollecitato dal Centro Studi “La Comune”, molto attivo in Acri in quegli anni, il Dipartimento di Sociologia, diretto dal professore Giovanni Arrighi, diede incarico alla sociologa Fortunata Piselli di svolgere un’accurata indagine in un paese della Calabria; venne scelto Acri in provincia di Cosenza considerato come uno spaccato dell’intero Meridione ed indicato con lo pseudonimo di Altopiano. Lo studio dura circa tre anni -dall’autunno del 1975 all’estate del 1978  - nasce così “Parentela ed emigrazione” pubblicato dall’Einaudi nel 1981. La ricerca analizza i “flussi migratori” dal 1950 in poi, ed usando tecniche antropologiche nuove, mette a nudo come questi processi determinano trasformazioni e sconvolgimenti nel tessuto sociale di una comunità come Acri. Fino agli anni Cinquanta “Altopiano” è ancora una società isolata fuori dal contesto nazionale dell’economia e della cultura. Prevalgono rapporti precapitalistici di sfruttamento e di condizionamento; per mantenersi in piedi una comunità siffatta, i rapporti familiari devono essere per forza rigidamente gerarchici con una netta differenziazione tra figli legittimi e proietti. Negli anni Cinquanta nelle famiglie dei possidenti, essendo la proprietà della terra l’unica forma di reddito e di ricchezza, la terra non poteva essere frazionata tra i figli, pena l’indebolimento economico della famiglia. Vigeva, quindi, il maggiorascato, cioè ereditava e si sposava solo il primogenito, da qui la piaga dei proietti nati dalle relazioni degli esclusi con le donne dei ceti subalterni. 

Contadini nel Salento
Contrariamente ai possidenti, nelle famiglie contadine la proprietà, quando esisteva, veniva frazionata in parti uguali fra tutti i discendenti. Si comprende facilmente come in una società così strutturata, l’emigrazione agisca come fattore di riequilibrio dei contrasti sociali nascenti. Negli anni Cinquanta, come alla fine dell’Ottocento, l’emigrazione avviene nelle Americhe, e per gli alti costi del viaggio via mare, ad emigrare sono i figli delle famiglie benestanti sostenuti dal parentato. Emigrano gli esclusi dal patrimonio o chi ha ambizioni da realizzare. Negli anni Sessanta si assiste ad una nuova forma di emigrazione: il Nord d’Italia e d’Europa in pieno boom economico necessitano di nuova forza-lavoro per il funzionamento dell’industria. L’emigrazione in questa fase coinvolge gli strati che negli anni Cinquanta erano stati esclusi: emigrano in massa i figli dei contadini, dei fittavoli, dei braccianti. Il latifondo, privato dalle braccia che lo manteneva in vita, entra in crisi ed al suo posto prende corpo la piccola proprietà contadina, acquistata con le rimesse degli emigranti. Pertanto, se negli anni Cinquanta resistevano ancora strutture arcaiche precapitalistiche, con l’emigrazione degli anni Sessanta “Altopiano” entra a pieno titolo nel mercato italiano ed europeo. 

Contadino calabrese con asino
Negli anni Settanta entra in crisi anche la piccola proprietà contadina, vuoi per il continuo frazionamento della terra, vuoi perché le rimesse degli operai si orientano verso nuove forme più redditizie d’investimento, come la conquista di un posto di lavoro negli Enti Forestali, nell’impiego pubblico e soprattutto nella speculazione edilizia. Cambia, quindi, la vecchia struttura produttiva legata alla terra e crescono le classi medie del lavoro burocratico e le forme assistenziali esercitate dai partiti politici alla ricerca del voto clientelare. Scomparsi quasi tutti i vecchi mestieri e i lavori artigianali, la parentela subisce una profonda trasformazione: da struttura condizionante diventa oggetto di manipolazione politica. Scrive la Piselli: “Le famiglie che vogliono mantenere il potere inseriscono i propri rappresentanti nei partiti politici, in modo di condizionarne le scelte ed orientarle verso gli interessi del nucleo di appartenenza”. L’indagine di Fortunata Piselli si ferma a questo stadio, ma l’acuta sociologa aveva compreso che “Altopiano” (Acri) stava per entrare in una crisi grave per la mancanza di investimenti produttivi capaci di produrre ricchezza e non solo di consumarla.