PARENTELA ED EMIGRAZIONE
Mutamenti e continuità in una comunità Calabrese
di Antonio Cugliari
Contadini in Calabria |
Quando venne fondata l’Università
calabrese di Arcavacata (Rende - Cosenza) gli obiettivi erano alquanto
ambiziosi. La nuova Università doveva uscire dal chiuso della ricerca
accademica per calarsi nello studio del tessuto della regione, onde contribuire
al suo risveglio e farla uscire dal secolare sottosviluppo. Sollecitato dal
Centro Studi “La Comune”, molto attivo in Acri in quegli anni, il Dipartimento
di Sociologia, diretto dal professore Giovanni Arrighi, diede incarico alla
sociologa Fortunata Piselli di svolgere un’accurata indagine in un paese della
Calabria; venne scelto Acri in provincia di Cosenza considerato come uno
spaccato dell’intero Meridione ed indicato con lo pseudonimo di Altopiano. Lo
studio dura circa tre anni -dall’autunno del 1975 all’estate del 1978 - nasce così “Parentela ed emigrazione” pubblicato dall’Einaudi nel 1981. La
ricerca analizza i “flussi migratori” dal 1950 in poi, ed usando tecniche
antropologiche nuove, mette a nudo come questi processi determinano
trasformazioni e sconvolgimenti nel tessuto sociale di una comunità come Acri.
Fino agli anni Cinquanta “Altopiano” è ancora una società isolata fuori dal
contesto nazionale dell’economia e della cultura. Prevalgono rapporti
precapitalistici di sfruttamento e di condizionamento; per mantenersi in piedi
una comunità siffatta, i rapporti familiari devono essere per forza rigidamente
gerarchici con una netta differenziazione tra figli legittimi e proietti. Negli anni Cinquanta nelle
famiglie dei possidenti, essendo la proprietà della terra l’unica forma di
reddito e di ricchezza, la terra non poteva essere frazionata tra i figli, pena
l’indebolimento economico della famiglia. Vigeva, quindi, il maggiorascato,
cioè ereditava e si sposava solo il primogenito, da qui la piaga dei proietti nati dalle relazioni degli
esclusi con le donne dei ceti subalterni.
Contadini nel Salento |
Contrariamente ai possidenti, nelle
famiglie contadine la proprietà, quando esisteva, veniva frazionata in parti
uguali fra tutti i discendenti. Si comprende facilmente come in una società
così strutturata, l’emigrazione agisca come fattore di riequilibrio dei
contrasti sociali nascenti. Negli anni Cinquanta, come alla fine dell’Ottocento,
l’emigrazione avviene nelle Americhe, e per gli alti costi del viaggio via
mare, ad emigrare sono i figli delle famiglie benestanti sostenuti dal
parentato. Emigrano gli esclusi dal patrimonio o chi ha ambizioni da
realizzare. Negli anni Sessanta si assiste ad una nuova forma di emigrazione:
il Nord d’Italia e d’Europa in pieno boom economico necessitano di nuova
forza-lavoro per il funzionamento dell’industria. L’emigrazione in questa fase
coinvolge gli strati che negli anni Cinquanta erano stati esclusi: emigrano in
massa i figli dei contadini, dei fittavoli, dei braccianti. Il latifondo,
privato dalle braccia che lo manteneva in vita, entra in crisi ed al suo posto
prende corpo la piccola proprietà contadina, acquistata con le rimesse degli
emigranti. Pertanto, se negli anni Cinquanta resistevano ancora strutture
arcaiche precapitalistiche, con l’emigrazione degli anni Sessanta “Altopiano”
entra a pieno titolo nel mercato italiano ed europeo.
Contadino calabrese con asino |
Negli anni Settanta entra
in crisi anche la piccola proprietà contadina, vuoi per il continuo
frazionamento della terra, vuoi perché le rimesse degli operai si orientano
verso nuove forme più redditizie d’investimento, come la conquista di un posto
di lavoro negli Enti Forestali, nell’impiego pubblico e soprattutto nella
speculazione edilizia. Cambia, quindi, la vecchia struttura produttiva legata
alla terra e crescono le classi medie del lavoro burocratico e le forme
assistenziali esercitate dai partiti politici alla ricerca del voto
clientelare. Scomparsi quasi tutti i vecchi mestieri e i lavori artigianali, la
parentela subisce una profonda
trasformazione: da struttura condizionante diventa oggetto di manipolazione
politica. Scrive la Piselli: “Le famiglie
che vogliono mantenere il potere
inseriscono i propri rappresentanti nei partiti politici, in modo di
condizionarne le scelte ed orientarle verso gli interessi del nucleo di
appartenenza”. L’indagine di Fortunata Piselli si ferma a questo stadio, ma
l’acuta sociologa aveva compreso che “Altopiano” (Acri) stava per entrare in
una crisi grave per la mancanza di investimenti produttivi capaci di produrre
ricchezza e non solo di consumarla.