Pagine

mercoledì 27 gennaio 2016

PIETRE D’INCIAMPO
di Giorgio Colombo

Ecco come Torino ricorda i suoi figli della shoah.
Una pietra alla memoria anche dei fratelli Colombo.

Un momento della posa di una delle pietre d'inciampo

Stolpersteine, pietre d’inciampo, così le ha nominate l’artista tedesco Gunter Demnig: blocchi di pietra con una piastra in ottone nella quale sono incisi i nomi dei morti nei campi di sterminio nazisti, blocchi interrati di fronte ai negozi, uffici o abitazioni dove sono vissuti quei cittadini sequestrati, deportati, ammazzati nei campi di Auschwitz-Birkenau, Bergen-Belsen, Bogdanovka, Buchenwald, Chelmno, Dachau, Flossenburg, Maidanek, Mathausen… Stolpersteine, le parole sono pietre (così intitolava nel 1955 un suo libro Carlo Levi), e le pietre possono costituire un breve sussulto, un intoppo, inciampare in un ostacolo, uno stimolo, un lampo animale, ripensare, tornare a qualcos’altro, girarsi, voltarsi, ricordare, un raddoppiamento, ritornare a qualcosa, c’è di mezzo il cuore, memoria,  una emozione, un dolore, forse. Dai nomi alle persone, alle cose, al passato, alla intermittenza della memoria. Sì, perché spesso si cerca di cancellare un passato doloroso. Così il ricordo si annebbia e sparisce. Si vuole farlo sparire, non sempre riuscendovi. Un groppo in gola, un fatto privato, non una ricorrenza pubblica, non una bandiera collettiva, una festa dove il gruppo trasforma il singolo.  Non reduci di una guerra, magari con una sbrindellata divisa, ma sopra-vissuti di un incomprensibile massacro. Al contrario  Per non dimenticare era il titolo che cominciava ad accompagnare le presentazioni ai giovani, nelle scuole sulle atrocità della guerra appena trascorsa. I superstiti dello sterminio, stupiti di essere ancora capaci, avevano ricominciato con reticenza,  faticosamente,  a parlare e a essere ascoltati: “a tirare fuori quello che avevo dentro”. Il nome di Primo Levi entrava con difficoltà nell’editoria. Oggi tutte le sue opere, anche gli interventi sparsi, occasionali, unico caso di uno scrittore italiano -neppure Dante-, sono tradotte e pubblicate in USA dall’editore Liveright.                                                                                                                 
Dimenticanza e ricordo, due termini che si rincorrono.  La dimenticanza è sempre interrotta da ricordi, anche imprevisti, sbucati all’improvviso, magari un sorriso o magari un brivido ricacciato nelle  dimenticanze. Un gioco a rimpiattino: ricordi cancellati, respinti -rimane una traccia d’angoscia-, ricordi affettuosi, illuminati, richiamati con piacere, ricordi vicini sempre più sfuggenti col passare degli anni. Allora-ora!

I Colombo mentre giocano a bocce
1941 I due fratelli (Benve)Nuto e (En)Rico e il cugino Edoardo, mio nonno, tutti Colombo, giocano a bocce nella villa di Luserna, un paese della Val Pellice. La villa apparteneva ad un ufficiale sabaudo, generale Morozzo Della Rocca e manteneva ambienti, per noi bambini, favolosi: la sala da bigliardo, le cucine sotterranee col saliscendi, la grande biblioteca e all’esterno una fontana con vasca e germani natanti, e un boschetto che scendeva pericolosamente sino al fiume. Una porta non doveva essere mai aperta quando entravano silenziosamente i grandi, come dei congiurati. Sapevamo benissimo che andavano a sentire “Radio Londra”. I tre Colombo erano in vacanza prolungata dalla loro città, Torino, avendo dovuto cedere ad altri i rispettivi negozi, Nuto e Rico “Alle province d’Italia”, un grande emporio di tessuti e abiti pronti, e un negozio di pellicce e cappelli, “Fratelli Torta suc.” Edoardo, per la impossibilità di mantenerne la titolarità secondo le leggi razziali vigenti.

Nuto e Rico Colombo
Ora ritorno all’oggi, o meglio al giovedì 21 gennaio scorso, quando Gunter Deming con una cerimonia in piazza Castello angolo via Garibaldi a Torino, dove si aprivano le vetrine del negozio “Alle province d’Italia”, ha cementato nel marciapiede la pietra d’inciampo dedicata ai fratelli Benvenuto  ed Enrico Colombo e al figlio di Benvenuto, Mario, deportati e morti ad Auscchwitz. Edoardo si era nascosto con altro nome; generosamente accolto presso una famiglia di gestori agricoli presso il paese piemontese di Verolengo, è così sfuggito alla deportazione. Il caso dei fratelli Colombo è ricordato da Raffaello Levi durante la cerimonia di Torino: “Benvenuto ed Enrico furono vittime del tradimento da parte del loro dipendente di fiducia (nominato dai due proprietari in loro sostituzione) che li denunciò alla Gestapo: quell’uomo li vendette per intascare la taglia, cinquemila lire per ogni ebreo denunciato e per appropriarsi del negozio”. Venuti a Torino per un incontro di affari al caffè Zucca di via Roma, trovarono le SS che li aspettavano. Deportati con Mario ad Auschwitz furono uccisi al loro arrivo. Mario sopravvisse e morì nel marzo del ’44. Dopo la guerra il dipendente che li aveva traditi fu processato, però senza una condanna perché l’amnistia aveva cancellato i reati degli anni di guerra.  Italiani brava gente.   

 
Altre pietre d'inciampo per la memoria

L’iniziativa di Gunter Demnig è iniziata a Colonia nel 1995 e ha portato nel 2015 alla installazione di oltre 50.000 “pietre”: “Qui abitava… nome, data di nascita e di morte”. In Italia le troviamo a Roma, di cui è nota la tragica distruzione del ghetto, la prima città in Italia, per interessamento di Tullia Zevi, e poi in tanti diversi luoghi, anche di piccoli paesi, là dove si era scatenata la furia nazi-fascista, Gorizia, Venezia, Reggio Emilia, Correggio, Genova, Livorno, Prato, Brescia e ora, dall’altr’anno, a Torino, a cura del Museo diffuso della Resistenza (fotografie di Fabio Melotti).    
Allora-ora. Parole, pietre, ricordi, dimenticanze.