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sabato 30 gennaio 2016

UOMINI E MACCHINE INTELLIGENTI.   
L'uomo è sempre più antiquato
Un'inquietante e interessante riflessione su una strada 
che si presenta piena di incognite.
di Franco Toscani
Androidi
Fra i regali di Natale più ambiti dell'inverno 2015 i giapponesi si sono ritrovati anche i robot androidi, gli "umanoidi tuttofare", reclamizzati come "capaci di comprendere le emozioni umane", di garantire prestazioni senza limiti, di sostituire i lavoratori umani aumentandone a dismisura la produttività, di risolvere in tal modo i problemi dell'immigrazione, in grado di svolgere -senza pretendere cose fastidiose, antiquate e deplorevoli come stipendi e contratti di lavoro- le funzioni di badanti, camerieri, portieri, vigilanti, guardiani, maggiordomi, infermieri, tutori, assistenti, intrattenitori chiacchieranti, giocatori (si ipotizzano pure, a breve, Olimpiadi per robot) e quant'altro. Pare che il mercato ne offra già una pletora; di tali robot si cura anche il lato estetico, si perfeziona la somiglianza agli esseri umani, per renderli sempre più seducenti e adatti a una migliore convivenza. Del resto, per gli esperti e docenti universitari di robotica è risaputo che costruire i robot a immagine e somiglianza degli umani rappresenta solo una fase intermedia, poi si andrà sicuramente "oltre". Oltre dove, come, quanto nessuno lo sa, ma l'importante pare sia andare comunque oltre, anche nella direzione dei killer robot. Andiamo verso un mondo senza l'uomo? Si pongono questi e altri assillanti, inquietanti interrogativi.
Nel film di Stanley Kubrik 2001 Odissea nello spazio (1968) il super computer di bordo autocosciente Hal 9000 si ribellava agli uomini. Ora siamo giunti ai killer robot, sistemi d'arma autonomi e letali, che possono colpire e uccidere senza intervento umano.
Ormai la tecnologia dell'Intelligenza Artificiale (IA) è prossima a realizzare questi sistemi di armi autonome che sono state descritte come la "terza rivoluzione" nel modo di fare le guerre, dopo l'invenzione della polvere da sparo e le armi nucleari. Numerosi esperti di intelligenza artificiale e robotica, scienziati, imprenditori e filosofi si pongono interrogativi senza molte risposte su queste novità. È certo che lo sviluppo di questi ultimi sistemi di armi autonome non sarà arrestabile. Finora si sapeva al massimo di uomini senza mondo (nel senso di isolati o appartati da esso), ora si profila sempre più -come aveva ben intravisto Günther Anders nella seconda metà del XX secolo- la possibilità concreta di un mondo senza l'uomo, per mano o per responsabilità dell'uomo stesso, delle sue ideazioni e creazioni.
Robot
Col loro pensiero "freddo" -che non ha tutte le complicazioni e vicissitudini, dubbi e contraddizioni, illuminazioni e oscurità, oscillazioni ed emozioni del pensiero umano- le macchine intelligenti sono in grado non solo di aiutarci, ma pure di sostituirci. Se lasciate agire autonomamente in un mondo complesso, queste macchine non sono in grado di mettere in discussione il loro operato, di valutare le conseguenze della loro programmazione, di comprendere il contesto in cui operano. I rischi dell'intelligenza artificiale sono giù tutti apertamente dispiegati davanti a noi. Le "macchine superintelligenti" potrebbero voler rimuovere gli ostacoli incontrati davanti ai loro scopi, cioè noi stessi, coi nostri propositi, desideri e bisogni. Da parte nostra il rischio maggiore è quello di non riuscire più a controllare le forze che noi stessi abbiamo messo in moto, come l'apprendista stregone del Faust di Goethe. Una cosa è sicura: il nostro futuro e ancor più quello delle prossime generazioni saranno pieni di interrogativi inquietanti e di incognite di difficile, se non impossibile, soluzione.
In uno dei suoi ultimi scritti, Last und Segen der Sterblichkeit (Peso e benedizione della mortalità, 1991-1992), il grande filosofo Hans Jonas (1903-1993) riflette da par suo sul peso e sulla benedizione della mortalità per gli esseri umani. Per quel che ne sappiamo, peso e benedizione sono e resteranno ignoti ai robot e alle "macchine intelligenti", che tendono a risolvere senz'altro il pensiero nel calcolo e a non considerare quindi che ogni pensare non si esaurisce in un calcolare.


Tutti gli animali periscono, ma solo l'uomo pensa la propria morte, ha sempre davanti a sé la possibilità della propria morte, sa che deve morire, che porta sempre dentro di sé il pungiglione della morte, che la forma vivente è sempre minacciata nel suo essere dal non-essere, che noi scegliamo continuamente di conservare noi stessi, che il dir di sì della vita a sé stessa è sempre un compito da esaudire, una sfida nient'affatto facile da affrontare e portare a compimento. Per questo leggiamo nel Salmo 90: "Insegnaci a contare i nostri giorni, affinché acquistiamo un cuore saggio".
Il peso è allora quello della nostra costitutiva fragilità e finitezza, sta nella capacità di sostenere la possibilità permanente della morte per l'organismo vivente. La benedizione consiste nella necessità e ineluttabilità stessa della morte, nella consapevolezza che alla morte è affidata l'ultima parola e che, allo stremo delle forze, essa appare come lo sbocco più pietoso. Il peso della mortalità gravante su tutti gli esseri umani è per Jonas un fardello insieme "pesante e sensato", perché la nostra esistenza -nella sua brevità, fragilità e finitezza- è comunque "l'unica sede di senso nel mondo".
Natalità e mortalità sono intimamente congiunte, rinviano inestricabilmente l'una all'altra, come aveva ben compreso Eraclito. La mortalità è necessaria anche per garantire nuova vita, nuove speranze, nuovi inizi e percorsi dell'umanità.
L'ebbrezza tecnologica fa dimenticare il peso e la benedizione della mortalità, il fardello enorme e, nel contempo, la grazia, il fascino indicibile dell'esistenza e della condizione umana. Per ciò che riguarda ciascuno di noi, scrive Jonas: "Sapere che restiamo qui solo per poco e che al tempo che ci attende è posto un limite non negoziabile, potrebbe essere addirittura necessario come impulso a contare i nostri giorni e a viverli in modo che essi contino per sé stessi".
Il fardello e il fascino dell'esistenza restano e resteranno -per quel poco che ne sappiamo o possiamo supporre, da esseri sempre più "antiquati" quali noi siamo- sempre preclusi alla perfezione tecnologica e alla freddezza calcolatrice delle "macchine intelligenti". Noi viviamo e moriremo con tutto il peso e la benedizione delle nostre contraddizioni e oscillazioni, dei nostri dubbi e domande, lacerazioni e inquietudini, terrori ed entusiasmi, gioie e meraviglie, errori e illuminazioni, piaceri e dolori. Noi mortali siamo umani e vogliamo restare umani.
[Piacenza, Gennaio 2016]