UOMINI E MACCHINE INTELLIGENTI.
L'uomo è sempre più antiquato
Un'inquietante e interessante riflessione su una strada
che si presenta piena di incognite.
di Franco
Toscani
Androidi |
Fra
i regali di Natale più ambiti dell'inverno 2015 i giapponesi si sono
ritrovati anche i robot androidi, gli "umanoidi tuttofare",
reclamizzati come "capaci di comprendere le emozioni umane",
di garantire prestazioni senza limiti, di sostituire i lavoratori
umani aumentandone a dismisura la produttività, di risolvere in tal
modo i problemi dell'immigrazione, in grado di svolgere -senza
pretendere cose fastidiose, antiquate e deplorevoli come stipendi e
contratti di lavoro- le funzioni di badanti, camerieri, portieri,
vigilanti, guardiani, maggiordomi, infermieri, tutori, assistenti,
intrattenitori chiacchieranti, giocatori (si ipotizzano pure, a
breve, Olimpiadi per robot) e quant'altro. Pare che il mercato ne
offra già una pletora; di tali robot si cura anche il lato estetico,
si perfeziona la somiglianza agli esseri umani, per renderli sempre
più seducenti e adatti a una migliore convivenza. Del resto, per gli
esperti e docenti universitari di robotica è risaputo che costruire
i robot a immagine e somiglianza degli umani rappresenta solo una
fase intermedia, poi si andrà sicuramente "oltre". Oltre
dove, come, quanto nessuno lo sa, ma l'importante pare sia andare
comunque oltre, anche nella direzione dei killer robot. Andiamo verso
un mondo senza l'uomo? Si pongono questi e altri assillanti,
inquietanti interrogativi.
Nel
film di Stanley Kubrik 2001
Odissea nello spazio (1968) il
super computer di bordo autocosciente Hal 9000 si ribellava agli
uomini. Ora siamo giunti ai killer robot, sistemi d'arma autonomi e
letali, che possono colpire e uccidere senza intervento umano.
Ormai
la tecnologia dell'Intelligenza Artificiale (IA) è prossima a
realizzare questi sistemi di armi autonome che sono state descritte
come la "terza rivoluzione" nel modo di fare le guerre,
dopo l'invenzione della polvere da sparo e le armi nucleari. Numerosi
esperti di intelligenza artificiale e robotica, scienziati,
imprenditori e filosofi si pongono interrogativi senza molte risposte
su queste novità. È
certo che lo sviluppo di questi ultimi sistemi di armi autonome non
sarà arrestabile. Finora si sapeva al massimo di uomini
senza mondo (nel senso di
isolati o appartati da esso), ora si profila sempre più -come aveva
ben intravisto Günther Anders nella seconda metà del XX secolo- la
possibilità concreta di un mondo
senza l'uomo, per mano o per
responsabilità dell'uomo stesso, delle sue ideazioni e creazioni.
Robot |
Col
loro pensiero "freddo" -che non ha tutte le complicazioni e
vicissitudini, dubbi e contraddizioni, illuminazioni e oscurità,
oscillazioni ed emozioni del pensiero umano- le macchine intelligenti
sono in grado non solo di aiutarci, ma pure di sostituirci. Se
lasciate agire autonomamente in un mondo complesso, queste macchine
non sono in grado di mettere in discussione il loro operato, di
valutare le conseguenze della loro programmazione, di comprendere il
contesto in cui operano. I rischi dell'intelligenza artificiale sono
giù tutti apertamente dispiegati davanti a noi. Le "macchine
superintelligenti" potrebbero voler rimuovere gli ostacoli
incontrati davanti ai loro scopi, cioè noi stessi, coi nostri
propositi, desideri e bisogni. Da parte nostra il rischio maggiore è
quello di non riuscire più a controllare le forze che noi stessi
abbiamo messo in moto, come l'apprendista stregone del Faust
di Goethe. Una cosa è sicura: il nostro futuro e ancor più quello
delle prossime generazioni saranno pieni di interrogativi inquietanti
e di incognite di difficile, se non impossibile, soluzione.
In
uno dei suoi ultimi scritti, Last
und Segen der Sterblichkeit
(Peso e benedizione della
mortalità, 1991-1992), il
grande filosofo Hans Jonas (1903-1993) riflette da par suo sul peso e
sulla benedizione della mortalità per gli esseri umani. Per quel che
ne sappiamo, peso e benedizione sono e resteranno ignoti ai robot e
alle "macchine intelligenti", che tendono a risolvere
senz'altro il pensiero nel calcolo e a non considerare quindi che
ogni pensare non si esaurisce in un calcolare.
Tutti
gli animali periscono, ma solo l'uomo pensa la propria morte, ha
sempre davanti a sé la possibilità della propria morte, sa che deve
morire, che porta sempre dentro di sé il pungiglione della morte,
che la forma vivente è sempre minacciata nel suo essere dal
non-essere, che noi scegliamo continuamente di conservare noi stessi,
che il dir di sì della vita a sé stessa è sempre un compito da
esaudire, una sfida nient'affatto facile da affrontare e portare a
compimento. Per questo leggiamo nel Salmo
90: "Insegnaci a contare i
nostri giorni, affinché acquistiamo un cuore saggio".
Il
peso è allora quello della nostra costitutiva fragilità e
finitezza, sta nella capacità di sostenere la possibilità
permanente della morte per l'organismo vivente. La benedizione
consiste nella necessità e ineluttabilità stessa della morte, nella
consapevolezza che alla morte è affidata l'ultima parola e che, allo
stremo delle forze, essa appare come lo sbocco più pietoso. Il peso
della mortalità gravante su tutti gli esseri umani è per Jonas un
fardello insieme "pesante e sensato", perché la nostra
esistenza -nella sua brevità, fragilità e finitezza- è comunque
"l'unica sede di senso nel mondo".
Natalità
e mortalità sono intimamente congiunte, rinviano inestricabilmente
l'una all'altra, come aveva ben compreso Eraclito. La mortalità è
necessaria anche per garantire nuova vita, nuove speranze, nuovi
inizi e percorsi dell'umanità.
L'ebbrezza
tecnologica fa dimenticare il peso e la benedizione della mortalità,
il fardello enorme e, nel contempo, la grazia, il fascino indicibile
dell'esistenza e della condizione umana. Per ciò che riguarda
ciascuno di noi, scrive Jonas: "Sapere che restiamo qui solo per
poco e che al tempo che ci attende è posto un limite non
negoziabile, potrebbe essere addirittura necessario come impulso a
contare i nostri giorni e a viverli in modo che essi contino per sé
stessi".
Il
fardello e il fascino dell'esistenza restano e resteranno -per quel
poco che ne sappiamo o possiamo supporre, da esseri sempre più
"antiquati" quali noi siamo- sempre preclusi alla
perfezione tecnologica e alla freddezza calcolatrice delle "macchine
intelligenti". Noi viviamo e moriremo con tutto il peso e la
benedizione delle nostre contraddizioni e oscillazioni, dei nostri
dubbi e domande, lacerazioni e inquietudini, terrori ed entusiasmi,
gioie e meraviglie, errori e illuminazioni, piaceri e dolori. Noi
mortali siamo umani e vogliamo restare umani.
[Piacenza, Gennaio 2016]