Scandalosi
«Braghettoni» di ieri e di oggi
di Chiara Pasetti
M. Buonarroti "Il Giudizio Universale" (particolare, 1536-1541) |
Ciò che è accaduto in Campidoglio durante la visita
del presidente iraniano, e che ho appreso da amici che mi hanno mandato
messaggi per lo più sorpresi, in alcuni casi indignati, mi ha immediatamente
fatto pensare a Michelangelo. In quarta liceo, arrivati al Rinascimento in
storia dell’arte, la mia classe insieme alla docente affrontava il sublime Giudizio
Universale. Ricordo tutto il mio entusiasmo giovanile e la passione con cui
studiai quella parte di programma, sul testo, che talvolta consulto ancora
oggi, di Piero Adorno L’Arte italiana, volume secondo (“dal Rinascimento
al Barocco”). E ricordo molto bene che dopo aver analizzato la grandiosa opera
michelangiolesca, Adorno si concentrava sul periodo in cui è stata realizzata:
l’epoca della Riforma luterana, che precede il Concilio di Trento e la
Controriforma con la quale la chiesa risponde alla Riforma riaffermando
dogmaticamente la propria superiorità e infallibilità, reprimendo con energia
ogni opposizione. Il Giudizio, che si inseriva in questo clima, suscitò,
insieme all’entusiasmo di molti, anche molte perplessità. Soprattutto, l’aver
posto sopra l’altare del papa nella Cappella Sistina dei nudi fu
considerato scandaloso: «non istar bene gli ignudi in simil luogo, che
mostrano le cose loro», scrisse un ignoto al Cardinale Gonzaga il mese
successivo allo “svelamento” dell’affresco. L’accusa venne addirittura ripresa
e enfatizzata da Pietro Aretino, scrittore irreligioso e spesso osceno, ma di
grande valore letterario, che invitò Michelangelo ad apportare delle modifiche
al suo capolavoro... Ciò che, all’epoca della mia adolescenza, mi colpì
particolarmente, facendo ridere molto non solo me ma tutta la classe, fu il
fatto che appena un mese prima della morte del Maestro un pittore minore,
Daniele da Volterra, venne incaricato dalla Congregazione del Concilio di
«vestire» i nudi, ossia di coprire qualsiasi parte oscena del Giudizio
mettendo dei panni (o «braghe»). Da quel momento il “copritore” di oscenità
venne soprannominato «Monsù Braghettoni», o «Il Braghettone». Appena appresa la
notizia di cui scrive il direttore Angelo Gaccione nel suo “La foglia di fico”,
mi è subito tornata alla mente quella vicenda cinquecentesca che vent’anni fa
mi aveva al contempo divertita e scandalizzata. Come si poteva coprire
un’opera d’arte, come si erano permessi di dire a qualcuno di modificare ciò
che un genio aveva creato, dipingendo senza sosta per anni e anni, al freddo, e
stando fisso nella stessa posizione al punto da contrarre una deformazione al
nervo ottico che lo costrinse fino alla fine dei suoi giorni a guardare dal
basso verso l’alto? Sono andata a riprendere il mio Adorno del liceo, dove ho
ritrovato la pagina sul «Braghettone», e queste parole dell’autore a commento:
«Non i nudi di Michelangelo, ma questa decisione era, oltre che ipocrita, scandalosa:
in un’opera d’arte non vi è niente di più e niente di meno, niente che possa
essere tolto o aggiunto senza turbare il complesso equilibrio compositivo».
Accanto a quelle righe, a sedici anni avevo posto un segno a matita e aggiunto
il mio commento giovanile: “grande Adorno”! E lo ripeto con più forza e
consapevolezza oggi: Grande! Chissà di quanti episodi simili è costellata la
storia dell’arte, la storia dell’uomo.
C. Claudel "La Valse" (1889) |
Tre secoli dopo Michelangelo, alla fine
dell’Ottocento, Camille Claudel, una delle più grandi scultrici di sempre,
realizzò La Valse. Le venne imposto, se voleva esporla al Salon,
di vestire i suoi danzatori, perché nudi erano scandalosi. Esistono così
due versioni de La Valse, una nuda e una coperta. Pochi anni dopo aver
scolpito quell’opera sublime, Camille Claudel verrà internata in ospedale
psichiatrico per una decisione della madre e del fratello Paul Claudel, il «più
grande poeta della cristianità del Novecento», con la diagnosi di schizofrenia
e deliri di persecuzione. Vi resterà trent’anni, fino alla morte. Nessuno all’epoca
considerò scandaloso imprigionare un’artista, impedendole di continuare
a scolpire, in un manicomio, senza nessun contatto con il mondo esterno. E
intanto che Camille «marciva come una criminale in fondo a un manicomio», Paul
Claudel era prima vice-console negli Stati Uniti e poi console in vari paesi
del mondo, e ambasciatore. Ebbe una moglie e tanti figli, e, sempre, un’amante.
La sorella, che era stata, colpa incancellabile!, l’amante di Rodin, non
divenne console né altro, ma restò per lui e per la madre «una donna cattiva,
vergognosa, che ha disonorato la famiglia», e che quindi meritava di morire
sola e abbandonata da tutti dopo trent’anni di internamento in un ospedale
psichiatrico. Siamo ancora, dal punto di vista della censura, all’epoca di
Michelangelo e di Camille Claudel, e di tantissimi altri artisti che hanno
subito simili oltraggi. Ma purtroppo, almeno così pare, non abbiamo più tali «sommi
maestri», ma solo chi svilisce quelli passati. Speriamo che ci sia almeno un
altro Piero Adorno (lui purtroppo è deceduto nel 2011), che scriva qualcosa sul
signor Braghettone del 2016 (su quello del 1564 si è già scritto), ossia colui
che è stato incaricato di coprire i marmi del Campidoglio.
Se non ci sarà, almeno ci ha pensato “Odissea” a dire la sua. E possiamo
aggiungere alla fine le parole di Gustave Flaubert proprio su Michelangelo, che
in questi tempi scandalosi, almeno un po’, consolano.
G. Fraubert in un ritratto |
Una riflessione mi è
nata ieri a proposito di Michelangelo. Non c’è niente di più vile su questa
terra di un cattivo artista, un miserabile che costeggia per tutta la sua vita
il bello senza mai sbarcarvi e piantare la sua bandiera. Fare arte per guadagnare soldi, blandire il pubblico,
snocciolare buffonerie gioviali o lugubri in vista del successo o dei soldi, mi
sembra la più ignobile delle prostituzioni, per la stessa ragione per cui
l’artista mi sembra il sommo Maestro degli uomini. Sarei molto più felice di
aver dipinto la Sistina che di aver vinto mille battaglie, anche quella di
Marengo. Quell’opera durerà molto più a lungo ed è stata molto più difficile. E
mi sono consolato della mia miseria pensando almeno alla mia buona fede. Non
possono tutti essere papi… l’ultimo dei francescani che percorre il mondo a
piedi nudi, dallo spirito limitato e che non capisce le preghiere che recita, è
tanto degno di rispetto quanto un cardinale, se prega con convinzione, se
compie la sua opera con ardore. È pur vero che, pover’uomo, lui non ha lo
spettacolo della sua porpora per riconfortarsi nei momenti di scoramento, né la
speranza di mettere un giorno il suo culo sulla Santa Sede. (Gustave Flaubert)