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mercoledì 10 febbraio 2016

SINFONIA PER UN FIGLIO DELLA TERRA
di Bruno Murialdo

Il vino è un anima che non muore mai...
È l’essenza della saggezza, un invito alla vita...”
(B.M.)
Beppe Rinaldi

Beppe Rinaldi (Citrico per gli amici), non potrei mai immaginarlo chiuso in casa ad aspettare  qualcuno, oppure  impegnato a consultare messaggi o telefonate perse su un Ipad, perché Beppe non ha nemmeno il cellulare. Lui produce vino Barolo, uno dei migliori e più quotati del Mondo. Le sue mani sono quelle di un contadino che  alle cinque del mattino si accende un  sigaro e scende in vigna con il trattore gustando filare  per filare fino all’ultimo mozzicone. Poi quelle mani non si fermano più fino all’ora del pranzo. I santuari delle sua passione sono quei vigneti  storici che cura con calore, quelle terre appartenute ai padri che conoscevano il valore del pane e il sudore del lavoro. Lui è figlio di quelle generazioni ed è fiero di esserlo tanto da difendere quelle qualità contro l’avanzare della modernità che non vuole accettare. Beppe è un po’ profeta e un po’  Bastian contrario, a lui non interessano gli schemi, gli studi, le precisazioni, ama improvvisare come fanno i grandi artisti, seguire l’istinto, quella strada compiuta che dalla terra si spinge verso il cielo. Credo che Citrico sogni spesso di volare sulla sua lambretta sopra le sue amate vigne, e dall’alto osservare quelle geometrie e il calar del sole dietro il Monviso. Per lui è d’obbligo ogni volta che si scende in cantina con un amico brindare con un bicchiere di rosso o quelle bollicine amichevoli che produce con le sue mani. La cantina è un altro luogo sacro, un monastero dove i frati sono le bottiglie che si vestono di classificazioni, dove passano il tempo a riposare, dove le preghiere sono i tappi che saltano nel firmamento sprigionando forza carattere. La filosofia di quest’ uomo che combatte con un mondo che corre veloce, che lascia poco tempo al sole e alla pioggia e molto semplice e naturale: il lavoro è la magia di poter trasformare l’uva in un dono di Dio. Il resto la vita che scorre e quelle sfumature che a lui poco importano...

La Langa del Barolo in una suggestiva foto di Bruno Murialdo

Un acino una storia… Vite per il Vino.
Beppe Rinaldi, un concentrato di difetti.
di Silvana Pellerino

Beppe Rinaldi (Foto: B. Murialdo)

L’essere astemia non pentita è causa di notevoli gioie, soprattutto per altri. Capita quando si incontra Beppe Rinaldi che con un gesto di impalpabile eleganza, ti regala due preziose bottiglie che finiscono nella collezione di un ex fidanzato. Gesto incauto. In una mattina di marzo, mi si prospetta la possibilità di conoscere questa strana persona, pilastro della cultura del Barolo. Del vino amo tutto tranne il vino. Può sembrare dissacrante ma, questa mia ingenua ignoranza, mi incoraggia a vedere oltre. Ci aggiriamo all’esterno della sua cantina, in cerca di una porta aperta. Dovete sapere che Beppe Rinaldi non ha un cellulare, un giorno ha liberato l’aggeggio alieno come una colomba nel cielo. Da buon coltivatore passa tempo in vigna. In un momento in cui il Barolo viene persino quotato in borsa, e il vino fatto da gente che la terra la vede dall’Ipad, ci sono buone ragioni per rimanere sgomenti. Il signor Rinaldi non essendo avvezzo alla manicure, forse non sa, che oggi il Vino si vende solo e basta. Nella sua cantina ci si destreggia tra una quantità innumerevole di bottiglie, un po’ di polvere, qualche ragnatela, uno strano profumo di umido, e l’essenza di qualche battaglia persa. Beppe Rinaldi ha le rughe, indossa un maglione di lana, parla di Georges Charles Brassens ed ha spesso il sigaro in bocca, ma più spesso tra le mani. Tiene il capo leggermente inflesso, con inclinazione variabile, chiude spesso gli occhi e contrae i muscoli del viso. Mi chiedo se il suo cervello non stia sniffando qualche spora… L’essenza delle persone è difficile da percepire, ma c’è molta terra in lui, un humus ricco di innumerevoli potenzialità, fatta di tanti minuscoli aspetti che si scontrano, si infrangono e rinascono. Ciò che emerge con evidente limpidezza, è proprio la terra, l’amore per un territorio ormai camuffato da troppo trucco, che ha paura di rivelarsi nella sua nudità e respira odore di artificio e di intromissioni indebite. In campagna si sparge il letame non il profumo di Coco ci si sporca con il fango. Sapete perché Beppe Rinaldi trasmette tutto questo? Perché pensa al futuro. Solo chi ha solide legami può estendersi in alto senza perdere di vista il suolo. Tutto ciò, mi ha dato la certezza che su di lui si leggano in giro molte sciocchezze, molte parole edulcorate, per una persona che non ama il glamour, gli eventi, le convention, i meeting, gli happy hour, e nemmeno i Baüscia. Il suo vino è vino e non ha bisogno di altro e testimonia come ha scritto Leo Longanesi, che “il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che l’umilia. Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima”.
Caro sig. Beppe, abbia pazienza quando leggerà queste righe che ho scritto pensandola, ho disubbidito alle sue preghiere e l’ho fatta uscire dalle retrovie e messa in prima fila, ma nell’intervallo può anche defilarsi, tanto nessuno sarà più sobrio.  

Langa terra di Barolo "Il Castello" (Foto: B. Murialdo)