SINFONIA PER UN FIGLIO DELLA TERRA
di Bruno Murialdo
“Il vino è un anima che non muore mai...
È l’essenza della saggezza, un invito alla vita...”
(B.M.)
Beppe Rinaldi |
Beppe Rinaldi (Citrico per gli amici), non
potrei mai immaginarlo chiuso in casa ad aspettare qualcuno, oppure impegnato a consultare messaggi o telefonate
perse su un Ipad, perché Beppe non ha nemmeno il cellulare. Lui produce vino
Barolo, uno dei migliori e più quotati del Mondo. Le sue mani sono quelle di un
contadino che alle cinque del mattino si
accende un sigaro e scende in vigna con
il trattore gustando filare per filare
fino all’ultimo mozzicone. Poi quelle mani non si fermano più fino all’ora del
pranzo. I santuari delle sua passione sono quei vigneti storici che cura con calore, quelle terre
appartenute ai padri che conoscevano il valore del pane e il sudore del lavoro.
Lui è figlio di quelle generazioni ed è fiero di esserlo tanto da difendere
quelle qualità contro l’avanzare della modernità che non vuole accettare. Beppe
è un po’ profeta e un po’ Bastian
contrario, a lui non interessano gli schemi, gli studi, le precisazioni, ama
improvvisare come fanno i grandi artisti, seguire l’istinto, quella strada
compiuta che dalla terra si spinge verso il cielo. Credo che Citrico sogni
spesso di volare sulla sua lambretta sopra le sue amate vigne, e dall’alto
osservare quelle geometrie e il calar del sole dietro il Monviso. Per lui è
d’obbligo ogni volta che si scende in cantina con un amico brindare con un bicchiere
di rosso o quelle bollicine amichevoli che produce con le sue mani. La cantina
è un altro luogo sacro, un monastero dove i frati sono le bottiglie che si
vestono di classificazioni, dove passano il tempo a riposare, dove le preghiere
sono i tappi che saltano nel firmamento sprigionando forza carattere. La
filosofia di quest’ uomo che combatte con un mondo che corre veloce, che lascia
poco tempo al sole e alla pioggia e molto semplice e naturale: il lavoro è la
magia di poter trasformare l’uva in un dono di Dio. Il resto la vita che scorre
e quelle sfumature che a lui poco importano...
La Langa del Barolo in una suggestiva foto di Bruno Murialdo |
Un acino una storia…
Vite per il Vino.
Beppe Rinaldi, un
concentrato di difetti.
di Silvana Pellerino
Beppe Rinaldi (Foto: B. Murialdo) |
L’essere astemia non pentita è
causa di notevoli gioie, soprattutto per altri. Capita quando si incontra Beppe
Rinaldi che con un gesto di impalpabile eleganza, ti regala due preziose
bottiglie che finiscono nella collezione di un ex fidanzato. Gesto incauto. In
una mattina di marzo, mi si prospetta la possibilità di conoscere questa strana
persona, pilastro della cultura del Barolo. Del vino amo tutto tranne il vino.
Può sembrare dissacrante ma, questa mia ingenua ignoranza, mi incoraggia a
vedere oltre. Ci aggiriamo all’esterno della sua cantina, in cerca di una porta
aperta. Dovete sapere che Beppe Rinaldi non ha un cellulare, un giorno ha
liberato l’aggeggio alieno come una colomba nel cielo. Da buon coltivatore
passa tempo in vigna. In un momento in cui il Barolo viene persino quotato in
borsa, e il vino fatto da gente che la terra la vede dall’Ipad, ci sono buone
ragioni per rimanere sgomenti. Il signor Rinaldi non essendo avvezzo alla
manicure, forse non sa, che oggi il Vino si vende solo e basta. Nella sua
cantina ci si destreggia tra una quantità innumerevole di bottiglie, un po’ di
polvere, qualche ragnatela, uno strano profumo di umido, e l’essenza di qualche
battaglia persa. Beppe Rinaldi ha le rughe, indossa un maglione di lana, parla
di Georges Charles Brassens ed ha spesso il sigaro in bocca, ma più spesso
tra le mani. Tiene il capo leggermente inflesso, con inclinazione variabile,
chiude spesso gli occhi e contrae i muscoli del viso. Mi chiedo se il suo
cervello non stia sniffando qualche spora… L’essenza delle persone è difficile
da percepire, ma c’è molta terra in lui, un humus ricco di innumerevoli
potenzialità, fatta di tanti minuscoli aspetti che si scontrano, si infrangono
e rinascono. Ciò che emerge con evidente limpidezza, è proprio la terra,
l’amore per un territorio ormai camuffato da troppo trucco, che ha paura di
rivelarsi nella sua nudità e respira odore di artificio e di intromissioni
indebite. In campagna si sparge il letame non il profumo di Coco ci si sporca
con il fango. Sapete perché Beppe Rinaldi trasmette tutto questo? Perché pensa
al futuro. Solo chi ha solide legami può estendersi in alto senza perdere di
vista il suolo. Tutto ciò, mi ha dato la certezza che su di lui si leggano in
giro molte sciocchezze, molte parole edulcorate, per una persona che non ama il
glamour, gli eventi, le convention, i meeting, gli happy hour, e nemmeno i
Baüscia. Il suo vino è vino e non ha bisogno di altro e testimonia come ha
scritto Leo Longanesi, che “il povero è di
antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari
luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che
lo ha preceduto e che l’umilia. Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla
finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui
non conosceremo più né il volto né l’anima”.
Caro
sig. Beppe, abbia pazienza quando leggerà queste righe che ho scritto
pensandola, ho disubbidito alle sue preghiere e l’ho fatta uscire dalle
retrovie e messa in prima fila, ma nell’intervallo può anche defilarsi, tanto
nessuno sarà più sobrio.
Langa terra di Barolo "Il Castello" (Foto: B. Murialdo) |