I minori
stranieri non accompagnati
nel girone
infernale di Messina
di Antonio Mazzeo
Roger ha percorso una decina di chilometri per
raggiungere a piedi la sede dell’Arci nei pressi della stazione centrale.
Chiede assistenza medica. Ha dolori diffusi in tutto il corpo e problemi
odontoiatrici. Hamed è gravemente affetto da disturbi post traumatici da
stress, sopraggiunti dopo aver assistito all’omicidio di un amico in Libia.
Omar zoppica vistosamente. Ha forti dolori a una caviglia dopo essere stato pestato
brutalmente in Libia. Alla orribile tendopoli di “prima accoglienza” di
contrada Annunziata dove è stato confinato, l’unico farmaco che somministrano è
il paracetamolo. Abdou presenta un’evidente ferita alla testa e un’altra alla
gamba sinistra, causate ancora in Libia dall’ennesimo pestaggio. Alla
tendopoli-lager è un altro fantasma e non è mai stato sottoposto a controllo
medico. Con lui c’è Mamadou, anch’egli invisibile ai gestori del centro
dell’Annunziata, da più di un mese con tosse, emottisi e febbre ricorrente. Mai
una visita per Afful che lamenta forti dolori ad una gamba e alle costole.
Sumaila porta visibile all’addome le cicatrici di una terribile ferita da
coltello.
Hamed, Omar, Abdou, Mamadou, Afful, Sumalia hanno 15, 16
e 17 anni; sono fuggiti da Sudan, Yemen, Camerun, Costa d’Avorio, Gambia e
Ghana, paesi lacerati da conflitti ad alta e media intensità e da insostenibili
discriminazioni economico-sociali. Con loro sono stati assistiti dal circolo
Arci “Thomas Sankara” altri undici minori stranieri semireclusi nella tendopoli
per soli adulti di Messina. Il primo febbraio scorso, l’Arci ha presentato un
esposto al Dipartimento politiche sociali del Comune e, per conoscenza, al
Ministero del lavoro. “Segnaliamo la presenza di 17 giovani all’interno del
centro prefettizio per l’attivazione immediata di collocamento in luogo
protetto e l’apertura della tutela dei minori stranieri non accompagnati di cui
si indica generalità e date di nascita”, scrive l’Arci. “Dai colloqui con i
minori emergerebbe inoltre una gravissima violazione dei loro diritti.
Nonostante la maggior parte di essi abbia manifestato la minore età e un minore
è in possesso di certificazione anagrafica, operatori del centro avrebbero
omesso la segnalazione. Sembrerebbe che l’avvocato della cooperativa gestore
abbia dichiarato loro che dovranno segnalare la minore età nel luogo dove
verranno trasferiti insieme agli adulti, poiché tale prassi non è prevista alla
tendopoli. Alcuni di questi minori riferiscono di essere a Messina da oltre due
mesi. Tutti hanno segnalato l’insalubrità della tendopoli, che più volte si è
allagata in seguito al mal tempo, una carente assistenza sanitaria, nessuna
assistenza da parte dei servizi sanitari territoriali, la mancanza di vestiario
adeguato. Si evidenzia che dentro la tendopoli ma anche nell’altro centro
realizzato nell’ex caserma Gasparro si sono ripetuti episodi violenti, rivolte
e proteste”.
All’esposto dell’Arci, il Comune ha replicato 48 ore dopo
con una laconica nota a firma dell’assessore ai servizi sociali Antonina
Santisi, indirizzata alla Prefettura, alla Questura e al Tribunale per i
minorenni di Messina. “Si dichiara la disponibilità immediata del Dipartimento
delle Politiche Sociali, tramite il proprio servizio sociale professionale, a prendere
in carico tutti i soggetti che venissero dichiarati minori per procedere alla
loro collocazione negli SPRAR di prima accoglienza”. Ponzio Pilato avrebbe
fatto di meglio. Con un cinico gioco di parole, il Comune si autosospende sino
alla certificazione dei dati anagrafici dei minori da parte di quelle autorità
di polizia che hanno omesso di farlo sino ad oggi. Con l’aggravante di mettere
nero su bianco una grossolana inesattezza. Lo SPRAR infatti, acronimo di
Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, è la rete dei centri
di “seconda accoglienza” destinata ai richiedenti e ai titolari di protezione
internazionale.
“Abbiamo richiesto più volte di intervenire con
immediatezza per verificare la presenza dei minori nei centri per soli adulti e
ripristinare la legalità”, spiega Patrizia Maiorana, presidente del Circolo
“Sankara”. “Anche stavolta è stato inutile. Quei ragazzi sono stati trasferiti
d’urgenza in altri centri per richiedenti asilo (Cara) del centro-nord Italia.
Oggi non sappiamo dove sia la maggior parte di loro. Due minori, purtroppo,
sono finiti in una delle strutture peggiori per condizioni e trattamento, il
Cara di Bari”. La prima settimana di marzo i volontari dell’Arci hanno
identificato altri quattro minori stranieri non accompagnati trattenuti
illegalmente nella ex Caserma Gasparro di rione Bisconte, l’altro squallido
centro di “prima accoglienza” che sarà trasformato presto in un hub siciliano
per le identificazioni forzate e le espulsioni dei richiedenti asilo. “Stavolta
non ci siamo limitati a una segnalazione scritta, ma ci siamo recati subito in
assessorato in compagnia dei minori per chiedere l’intervento dei servizi
sociali come previsto dalle leggi”, racconta la ricercatrice Giuliana Sanò
dell’Arci di Messina. “L’assessore e tutte le assistenti sociali erano assenti
e dopo lunga anticamera siamo stati ricevuti dal dirigente Domenico Zaccone.
Lui ci ha detto che stava provando a chiamare il commissario dell’anticrimine
perché è lui che deve cambiare i dati anagrafici e solo dopo, il servizio
sociale può intervenire. A quel punto è entrata l’assessore Santisi, ma si è
seduta in un altro tavolo. Ha solo mostrato di conoscere la situazione per aver
letto la Pec ma non si è né avvicinata né ha detto altro. Il dirigente non riuscendo
a mettersi in contatto con il commissario mi ha invitata ad accompagnare io
stessa i quattro minori alla caserma Zuccarello e così ho fatto. Per una
settimana abbiamo chiesto del responsabile preposto alle identificazioni. In
ufficio risultava sempre assente. Attendiamo ancora che l’Amministrazione
comunale e i responsabili delle identificazioni si attivino sulla questione”.
Ai ragazzi a cui sono negati i diritti e le prerogative
riservate ai minori di età si aggiungono quelli che al compimento del 18° anno
vengono prelevati dal centro Ahmed di primissima accoglienza attivato a
Messina, per essere condotti e confinati alla tendopoli dell’Annunziata o a
Bisconte. “Ho incontrato due ragazzi che, dopo una lunga permanenza al centro
Ahmed, il giorno stesso che hanno festeggiato i 18 anni sono stati trasferiti
alla caserma Gasparro”, denuncia Donatella Sindoni, Presidente della VI
Commissione consiliare del Comune di Messina. “Per loro si è trattato di
un’esperienza davvero traumatica. Al centro per minori avevano avviato percorsi
di formazione professionale, studiavano l’italiano e uno di essi aveva perfino
ottenuto un attestato come aiuto cuoco. Mi hanno detto che nella ex caserma si
sta tanto male, i bagni sono sporchi, i letti nelle camerate addossati gli uni
sugli altri, il mangiare scadente. Ogni volta che uscivano dalla caserma,
portavano con sé lo zainetto con tutti i loro effetti personali. Se lo dovevano
portare sempre dappresso perché se lo lasciavano alla Gasparro correvano il
serio rischio di non trovarlo più. Nonostante avessero entrambi già ottenuto la
protezione umanitaria, il giorno dopo quell’incontro, i due giovani sono stai
trasferiti al CARA di Mineo, insieme ad un altro richiedente asilo ospitato a
Messina”.
Il 7 marzo il deputato Francesco D’Uva del M5S ha
effettuato un’ispezione al centro di Bisconte insieme ad alcuni operatori e
attivisti antirazzisti. “Ho trovato una situazione molto disagiata”, ha
dichiarato D’Uva. “Il fattore più critico è quello del sovraffollamento. Il
centro dovrebbe fungere da prima accoglienza, ossia per non più di 72 ore
dall’arrivo di un migrante, eppure ho rilevato che questi profughi vivono lì da
più di 30 giorni. Poi, secondo l’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione,
i potenziali testimoni di un processo dovrebbero stare in un luogo protetto. Lì
non è così, poiché vi sono una ventina di uomini che dovrebbero testimoniare
contro i loro scafisti”. Lo scenario simile a un girone dantesco è descritto
minuziosamente da Giovanna Vaccaro di Borderline Sicilia Onlus. “Nel fare
ingresso nell’edificio di Bisconte siamo passati davanti ai due container dei
servizi bagno e doccia dove le condizioni igieniche erano davvero scarse, con
acqua stagnante sul pavimento e un cattivo odore proveniente dagli scarichi”, scrive
Giovanna Vaccaro. “I dormitori dove sono stipate 198 persone sono stati
ricavati in tre stanzoni, il più grande dei quali misura 10 metri X 18. In
queste stanze le file di letti, per la maggior parte a castello, sono disposte
su tutto il perimetro e nel centro della stanza. Tra alcuni di questi letti non
vi è neanche lo spazio per il passaggio. L’odore che le caratterizza è molto
forte e la privacy inesistente. Il locale mensa è decisamente piccolo rispetto
al numero di persone che ne deve usufruire e lascia presagire lunghe code al
momento della distribuzione e del consumo dei pasti. Anche la stanza adibita ad
infermeria non si presenta affatto bene: dà l’idea di un luogo abbandonato a se
stesso, in cui vi sono farmaci disseminati ovunque e scarse condizioni
igieniche. Le caratteristiche strutturali e la carenza di servizi che
caratterizzano questo C.P.A. delineano un’accoglienza di tipo contenitivo che
non solo si presenta in violazione delle leggi e della dignità della persona,
ma che a fronte della prolungata permanenza, ha delle conseguenze molto gravi
sulla vita dei migranti”.
Anche i componenti dell’èquipe che ha ispezionato
Bisconte con Francesco D’Uva hanno fondati elementi per ritenere che nel centro
ci siano diversi minori. “Sono davvero tanti i giovanissimi che si trovano in
un luogo destinato agli adulti per gli errori-orrori di operatori e organi di
polizia o perché da un giorno all’altro si sono ritrovati maggiorenni adulti,
anche dopo aver passato un periodo di tempo da minorenni nel centro comunale
Ahmed”, commenta la sociologa Tania Poguisch dell’Associazione Migralab “A. Sayad”. “Ragazzi ammassati, attaccati uno
accanto all’altro, che per trovare un po’ della loro intimità coprono lo spazio
circondandolo di coperte. Giovani la cui vita quotidiana è scandita solo dagli
orari per i pasti e a cui è impedito perfino d’imparare la lingua italiana e
avere dei documenti. Ancora peggio quanto lo Stato ha riservato a coloro che
hanno denunciato gli scafisti e da diversi mesi sono inspiegabilmente bloccati
a Messina in attesa di un trasferimento in strutture protette. Testimoni di
giustizia giovanissimi la cui vita non è al sicuro in un posto dove promiscuità
e affollamento non garantiscono incolumità e sicurezza”.
Il futuro potrebbe però essere ancora peggiore. I dati in
possesso della Commissione consiliare del Comune di Messina lasciano presagire
che almeno un centinaio di minori stranieri da qui a qualche mese finiranno
nell’inferno della tendopoli o della ex caserma-hub. Il 9 marzo scorso, al Centro
di primissima accoglienza Ahmed erano registrati 189 minori. Una ventina di
essi, in questi pochi giorni, hanno compiuto il 18° anno d’età e hanno lasciato
la struttura in cui erano ospiti da sei-otto mesi. Entro la fine della prossima
estate un’altra cinquantina di minori diverranno maggiorenni dopo una
permanenza al centro Ahmed che sfiorerà i dodici mesi. “Questo scenario impone
a tutti d’intervenire con urgenza e determinazione”, commenta Carmen Cordaro,
avvocata del Circolo “Sankara” e tutor di numerosi minori stranieri non
accompagnati. “La questione che si pone è il superamento del Centro Ahmed nel
senso di una riduzione delle presenze dei minori in questa struttura con una
assunzione di responsabilità da parte del Comune di Messina e la creazione di
un altro centro di prima accoglienza. In ogni caso è necessaria una
perequazione dei servizi offerti a quelli previsti per gli SPRAR minori. Nel
frattempo bisogna impedire che i minori stranieri lascino il centro esistente a
Messina per essere trasferiti in un altro centro di prima accoglienza, magari
dove le condizioni e i servizi sono anche peggiori. Occorre infine aprire la
vertenza in tutte le sedi istituzionali preposte per un dignitoso trasferimento
dei minori stranieri in strutture di seconda accoglienza idonee”.
Il completo fallimento delle politiche di “prima
accoglienza” dei minori stranieri non accompagnati è testimoniato dal destino
riservato ai giovani accolti al Centro Ahmed. Dalla sua attivazione, il 25
novembre 2014, la struttura convenzionata prima con la Prefettura e poi con il
Comune di Messina ha ospitato (sino al 9 marzo 2015) 1.108 ragazzi. Solo tre
minori sono stati poi inseriti in famiglie italiane; 476 sono finiti in
comunità-alloggio, 16 in SPRAR per minori, 138 in SPRAR adulti mentre ben 284
si sono “allontanati arbitrariamente”. Un fallimento che le solite aziende-coop
hanno miracolosamente trasformato però nel pozzo di san Patrizio dell’affaire
migranti. Approssimando per difetto, è possibile stimare l’ammontare delle
risorse finanziarie pubbliche finite in mano al raggruppamento temporaneo
d’imprese che gestisce ininterrottamente da 17 mesi il Centro Ahmed, costituito
da Senis Hospes Società Cooperativa Sociale di Senise (Pz), la Cascina Global
Service Srl e il Consorzio Sol.Co. Soc. Coop. Sociale di Catania. Considerato
che lo Stato versa per ogni minore straniero 45 euro al giorno, moltiplicato
per un numero di ragazzi che in media non è mai stato al di sotto delle 160
presenze quotidiane, alla fine abbiamo un totale di 3.672.000 euro. Un business
sulla pelle di decine di migliaia di esseri umani di cui tutti noi dobbiamo
vergognarci.