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sabato 26 marzo 2016

MORALITÀ ED EFFETTUALITÀ
di Fulvio Papi

La nostra epoca sta vivendo, forse senza saperlo con chiarezza, la ben nota contraddizione tra i contenuti del dire della parola e le condizioni del fare della prassi. È a tutti evidente il fenomeno di migliaia di migranti dalle guerre, distruzioni, condizioni di pericolo, di persecuzione, di assoluta indigenza, che sfidano l’ostilità del mare con improvvisate imbarcazioni e cercano di raggiungere le coste europee. Per comprendere le loro condizioni si potrebbe meditare sui significati che porta con sé la parola “salvezza”. Non è un fenomeno nuovo la migrazione, la novità consiste nella proporzione numerica di migranti che pure, almeno per ora, non ha la caratteristica vera e propria di migrazioni di popoli quanto l’innalzamento delle acque, comunque previsto con un aumento della temperatura terrestre di due gradi, sarà un fenomeno che riguarderà più di un miliardo di esseri umani.
La contraddizione. L’una tesi, di cui è l’espressione più autorevole è quella di papà Francesco, parla della necessità morale, di derivazione evangelica, dell’accoglienza di chi, disperato (o con qualche residua speranza), la chiede. Il sottinteso è che tutti gli uomini hanno diritto alla vita senza discriminazioni di alcun tipo. La fratellanza, in Dio e in terra, con i più infelici e tormentati richiede, in ogni caso, l’accoglienza nelle nostre terre. È un imperativo religioso che ha la sua traduzione laica nell’umanesimo europeo. Dalla parte opposta vi è la decisione di alcuni stati europei di creare sbarramenti alle proprie frontiere, immagine soprattutto come deterrente per latre ondate migratorie. Non è una semplice questione di “buoni” e “cattivi”. I motivi non sono affatto difficili da capire. Lo sviluppo capitalistico, pur con tutte le sue gravi distorsioni civili e morali, in queste nostre regioni ha creato condizioni di vita e di pratica sociale e individuale che si sono consolidate e hanno creato figure viventi con una identità di se stessi tramite consumi sociali come modi di vita (simili in questo al linguaggio) che ritengono ogni mutamento che venga dall’esterno come un pericolo che può mettere in crisi l’equilibrio. Vi sono poi paesi che si augurano di raggiungere quelli più fortunati e quindi hanno lo stesso comportamento. La decisione è quindi di sbarrare l’accesso ai propri territori, sostenendo che i migranti debbano tornare indietro accettando il proprio destino di sofferenze e di morte. “A chi tocca tocca” come si dice dalle parti dei “Promessi sposi”. Ma, appunto, è la peste.Tra questo comportamento e quelle parole vi è dunque un abisso. Cerchiamo di esplorarlo. Le parole non sono vuote, hanno il correlato della “coscienza”, ma presuppongono che la soluzione del problema sia secondaria rispetto all’obbligo morale. Una questione di efficacia pragmatica guidata da una buona volontà. La soluzione significa però entrare nella prospettiva, quanto mai concreta, che l’Europa sono gli europei. Il che vuol dire tenere conto non di uno stato immaginario con i poteri del bene e del male, ma di organismi politici che devono legittimarsi attraverso il consenso di un’opinione pubblica che considera già ora insoddisfacenti le condizioni sociali per il lavoro non sufficiente per i giovani, e soprattutto per la situazione futura. In concreto, se si bada alla reale percezione e non necessariamente ad un desiderio intellettuale, l’accoglienza vuol dire mettere in condizione le popolazioni di temere di perdere qualcosa rispetto alla loro situazione. Sono finiti i tempi quando gli scrittori marxisti francesi notavano che l’emigrazione nordafricana realizzava (in una serie di lavori) il proposito capitalistico del minimo salario possibile. E sono finiti i tempi dell’emigrazione turca in Germania quando l’insieme dello sviluppo produttivo tedesco aveva bisogno di una forza lavoro che non era sufficiente considerata la riproduzione demografica locale. Allora era lo sviluppo capitalistico a interpretare positivamente i flussi migratori e, nei limiti di questo contesto, non vi erano problemi particolari di difficile soluzione. In Italia abbiamo l’esempio dell’migrazione dal Sud nel periodo del cosiddetto “boom economico” che, correttamente, non era che una espansione capitalistica, tenuti presenti gli equilibri europei, la semplicità della tecnologia, e l’assoluta competitività dei salari, tra i più bassi del continente. Ora l’Europa è ancora una zona ricca del mondo ma in condizioni molto diverse, ha una eccedenza di forza lavoro soprattutto (in Germania in proporzioni molto differenti) a livello giovanile, è in condizione difficile per mantenere il livello precedente delle garanzie sociali, ha un arretramento sensibile della condizione del cosiddetto “ceto medio”, non si sente protetta a sufficienza da forme diffuse di anomia sociale, anzi teme contaminazioni, dal punto di vista della sicurezza, proveniente da culture religiose diverse. E a questa situazione di difficoltà corrisponde, dal punto di vista etico, un individualismo materialmente diffuso che ha come ideale lo stile di vita di un tempo passato, con una profonda delusione per la sua perdita. D’altra parte le misure che qualsiasi dirigenza politica, condizionata dal consenso come sicurezza del potere può prendere, sono condizionate dalla situazione sociale esistente e dalle aspettative di una maggiore disponibilità di risorse per le proprie condizioni individuali. Credo sia inutile non vedere la situazione. Una degna accoglienza di milioni di profughi passa per una parziale modificazione della vita degli europei. Come e quanto e in che modo, non lo sa nessuno, ma questa è l’oscura paura che in alcuni paesi trova consenso al blocco delle frontiere. Forse la generazione futura europea, con un’altra educazione nel rapporto con la realtà, potrà rendere più facile il problema. Oggi restano misure che cercano di conciliare l’ostilità di molte popolazioni con un livello etico che appartiene alla tradizione e alla storia europea, attraverso modalità di inclusione e di esclusione, di accoglimento e di sicurezza. In teoria rimane sempre il discorso, facile a dirsi, della creazione nei luoghi di origine di condizioni di vita accettabili per le popolazioni, ma questa prospettiva è del tutto astratta, poiché in tutto il Medio Oriente e, in parte, in Nordafrica non è facile immaginare possibile né dall’interno, né dall’esterno, un assestamento pacifico e durevole. Tra moralità ed effettualità è sempre esistita una differenza molto importante, oggi è in questa differenza che ci troviamo a vivere, né rinunciare alla moralità, né poter ignorare l’effettualità. Occorrerà trovare sempre una provvisoria strategia e chiedere agli europei qualche necessario mutamento che è abbastanza facile trovare nella eliminazione degli sprechi e degli eccessi. Anche se questo comportamento può condurre a una diminuzione della redditività dei capitali. Non vorrei proprio esagerare, ma non è male ricordare che è stata la prospettiva di “lacrime e sangue” di Churchill a salvare l’Europa dalla catastrofe. Ci dovrebbero essere sempre risorse sufficienti per affrontare con spirito adatto situazioni di emergenza.