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venerdì 27 maggio 2016

Aleksandr Michajlovič Rodčenko
di Claudio Zanini      

«Se si desidera insegnare all’occhio umano a vedere in una nuova maniera, 
è necessario mostrargli gli oggetti quotidiani e familiari 
da prospettive e angolazioni totalmente inaspettate». A. M. Rodčenko.

Manifesto per la propaganda del libro, 1924


Rispetto a gran parte della produzione artistica contemporanea che pare fatta per il mercato e per le esigenze d’una critica che s’esercita in vane sottigliezze intorno a produzioni di rarefatta intelligenza (?) ma del tutto vacue, le opere d’un artista di notevole forza espressiva e visionaria, mi hanno suscitato alcune riflessioni.  Mi riferisco ad Aleksandr Rodčenko (ossessionato dall’utilità dell’arte, l’opposto dell’odierna sua esausta inutilità) (1), protagonista delle Avanguardie russe, del quale un’interessante mostra si è conclusa, da pochi giorni, al LAC di Lugano.
È una questione di linguaggio. Un linguaggio “forte” si struttura in relazione alla lingua in cui si forma, trasformando l’esistente e introiettando elementi inediti, estranei, perturbanti; assorbendo potenza dalle sue radici per diventare narrazione stratificata, densa e complessa. Nella storia si originano le grandi fratture, i rovesciamenti decisivi e liberatori, non al di fuori di essa. Oggi, nella dispersione e molteplicità dei linguaggi funzionali all’omologazione globalizzata, alla narrazione si è sostituito l’aneddoto, l’episodio, la trovata eclatante. Non il linguaggio ma il balbettio, spesso supponente e fastidioso.  
Nel linguaggio, dunque, tutto si gioca. Nell’opera di Rodčenko, il linguaggio è potente, e può essere connotato dall’obliquità della diagonale. È, infatti, la diagonale il segno che caratterizza e domina gran parte delle sue composizioni grafiche e fotografiche. Essa suscita una percezione di dinamica instabilità che, contrapposta allo stabile equilibrio del sistema cartesiano (ortogonale), prelude al movimento (magica parola d’ordine di futuristi e cubo/futuristi), che sinesteticamente investe l’intera realtà; al ribaltamento, all’ansiosa inquietudine che attraversa le sue vedute di panorami urbani, architetture, cantieri, strade, corpi. È segno, anche, dell’urgente travaglio che pulsa nel nuovo ordine sociale che, in Russia, sta prendendo forma, e interpreta perfettamente il fermento della cultura rivoluzionaria dell’epoca (i primi anni ’20), dove sperimentazione artistica e sociale intendono (desiderano) coincidere.

A. M. Rodcenko -1934

Ma torniamo alla fatidica diagonale. Parliamo di forma e linguaggio. La composizione fondata su linee oblique suggerisce continuità in uno spazio travolto da un dinamismo che viola i limiti dell’inquadratura. Sono frame di filmici piani sequenza che continuano nello spazio. Sovente le composizioni si basano su figure geometriche primarie, tra cui, -non poteva essere altrimenti-, il triangolo è privilegiato. Ma, si badi bene, non il triangolo stabilmente appoggiato sul lato, ma quello capovolto, in precario equilibrio sul suo vertice. La forma non giacente immobile ma librata leggera verso l’alto. Questi lavori evocano la presenza delle contemporanee esperienze cubo/futuriste, del cinema espressionista e dell’astrazione geometrica; il Quadrato nero, di Malevich è del 1916; Spezza i bianchi con il cuneo rosso, di El Lissitzky, del 1920. All’impiego dell’assetto obliquo dell’immagine, Rodčenko affianca l’inedito e disorientante variare della dislocazione dei punti di vista: dall’alto e dal basso, oppure molto ravvicinati, conseguendo effetti sorprendenti.
Tali inconsuete modalità d’impaginazione s’arricchiscono con sovrapposizioni di immagini, scritte e figure geometriche, negli innumerevoli collage fotografici per copertine di libri, riviste e manifesti dal significato, non solo ironico e critico, ma quasi sempre sociale e politico, come nei fotomontaggi di Hausmann e di Heartfield, gli inventori di questa tecnica, nata nel clima culturale del Dada berlinese (1918-1923), nella Germania della Repubblica di Weimar.

A. M. Rodcenko -1930

Altro motivo di grande interesse è costituito dalle fotografie d’oggetti d’uso comune, con dettagli molto ingranditi, e suggestivi effetti di luce; ma, soprattutto, di materiali della realtà industriale e della produzione in serie, economica e socialmente funzionale. I quali, se da un lato mostrano una nuova estetica di bellezza artificiale (l’essenzialità, la nitidezza delle linee e della forma, e i suoi metallici lampeggiamenti), dall’altro costituiscono delle suggestive textures astratte ottenute dall’oggetto seriale composto e allineato.(2)
L’intenzione di Rodčenko (e delle Avanguardie sovietiche, suprematiste e costruttiviste) non è di documentare la realtà, bensì di ricostruirla nell’immagine come modello d’un progetto di società futura, sullo slancio ideale che ha permeato la Rivoluzione del ’17 (3), diffondendosi in tutta Europa. È il magnifico sogno di un’Utopia -già messa in discussione sul nascere dal contraddittorio e sofferto rapporto tra arte e produzione industriale-, quindi, stroncata dall’avvento di Stalin e dal trionfo del realismo di Stato. Dopo, tutto si chiude.
Nonostante la sua produzione, dagli anni ’30 in poi, assuma una connotazione retorica e propagandistica, certe immagini di questo periodo conservano ancora un senso più ampio, problematico e contraddittorio, in grado di scrollarsi di dosso le maglie ideologiche e suggerire visioni d’altrove.  Comunque, nel breve periodo di dieci anni, Rodčenko elabora un linguaggio figurativo originale e di straordinario impatto simbolico, ancora oggi di grande attualità, ripreso dalla grafica, l’architettura e il design contemporanei più sensibili e responsabili.
A. M. Rodcenko -1929

1) L’arte non è propriamente “utile”, (inutile e inattuale, piegata all’utilità immediata si dissolve, diventa rappresentazione grottesca) come non lo è la bellezza; tuttavia, interrogarsi sulla possibile “utilità” della sua ineffabile e inafferrabile forza, mi sembra molto ragionevole e salutare.
2) Nello stesso periodo, artisti di tutta Europa, si interrogano sugli stessi snodi linguistici – in che modo parlare d’industrializzazione e produzione in serie e come relazionarsi con esse -. sebbene con diversi tagli critici; lo si vede dando un’occhiata a Le ballet mécanique di Ferdinand Léger, del 1924, dove un vorticare di meccanismi s’accompagna a figure geometriche e dettagli di un volto femminile; e ai cortometraggi sperimentali di Hans Richter con composizioni di oggetti in movimento (dal 1921 al 1926)
3) Majakovskij illustra con linguaggio popolare le tavole grafiche di propaganda Rosta; Kandinskij, Chagall, El Lissitzky, Goncharova, Tatlin, Malevich, eccetera, partecipano con entusiasmo a un’inedita mobilitazione artistica, convogli ferroviari di propaganda percorrono campagne (vedi L’armata a cavallo di Isaac Babel); navi, treni e vetrine espongono manifesti. L’arte può occupare lo spazio dello spirito e della coscienza, tuttavia fino a un certo punto, ispirando la grafica, la propaganda e, per certi versi, la progettazione architettonica. Ma, né la produzione industriale pianificata, né il regime, hanno bisogno dell’arte.