Aleksandr Michajlovič Rodčenko
di Claudio Zanini
«Se si desidera insegnare
all’occhio umano a vedere in una nuova maniera,
è necessario mostrargli gli oggetti quotidiani e familiari
da prospettive e angolazioni totalmente inaspettate». A. M. Rodčenko.
è necessario mostrargli gli oggetti quotidiani e familiari
da prospettive e angolazioni totalmente inaspettate». A. M. Rodčenko.
Manifesto per la propaganda del libro, 1924 |
Rispetto a gran parte della produzione artistica contemporanea che pare
fatta per il mercato e per le esigenze d’una critica che s’esercita in vane
sottigliezze intorno a produzioni di rarefatta intelligenza (?) ma del tutto
vacue, le opere d’un artista di notevole forza espressiva e visionaria, mi
hanno suscitato alcune riflessioni. Mi
riferisco ad Aleksandr Rodčenko (ossessionato dall’utilità dell’arte, l’opposto dell’odierna sua esausta inutilità) (1), protagonista delle
Avanguardie russe, del quale un’interessante mostra si è conclusa, da pochi
giorni, al LAC di Lugano.
È una questione di linguaggio.
Un linguaggio “forte” si struttura in relazione alla lingua in cui si forma,
trasformando l’esistente e introiettando elementi inediti, estranei,
perturbanti; assorbendo potenza dalle sue radici per diventare narrazione
stratificata, densa e complessa. Nella storia si originano le grandi fratture,
i rovesciamenti decisivi e liberatori, non al di fuori di essa. Oggi, nella
dispersione e molteplicità dei linguaggi funzionali all’omologazione
globalizzata, alla narrazione si è sostituito l’aneddoto, l’episodio, la
trovata eclatante. Non il linguaggio ma il balbettio, spesso supponente e
fastidioso.
Nel linguaggio, dunque, tutto
si gioca. Nell’opera di Rodčenko, il linguaggio è potente, e può essere connotato dall’obliquità della diagonale. È,
infatti, la diagonale il segno che caratterizza e domina gran parte delle sue
composizioni grafiche e fotografiche. Essa suscita una percezione di dinamica
instabilità che, contrapposta allo stabile equilibrio del sistema cartesiano
(ortogonale), prelude al movimento (magica parola
d’ordine di futuristi e cubo/futuristi), che sinesteticamente investe
l’intera realtà; al ribaltamento, all’ansiosa inquietudine che attraversa le
sue vedute di panorami urbani, architetture, cantieri, strade, corpi. È segno,
anche, dell’urgente travaglio che pulsa nel nuovo ordine sociale che, in
Russia, sta prendendo forma, e interpreta perfettamente il fermento della
cultura rivoluzionaria dell’epoca (i primi anni ’20), dove sperimentazione
artistica e sociale intendono (desiderano) coincidere.
A. M. Rodcenko -1934 |
Ma torniamo alla fatidica
diagonale. Parliamo di forma e linguaggio. La composizione fondata su linee
oblique suggerisce continuità in uno spazio travolto da un dinamismo che viola
i limiti dell’inquadratura. Sono frame
di filmici piani sequenza che continuano nello spazio. Sovente le composizioni
si basano su figure geometriche primarie, tra cui, -non poteva essere
altrimenti-, il triangolo è privilegiato. Ma, si badi bene, non il triangolo
stabilmente appoggiato sul lato, ma quello capovolto, in precario equilibrio
sul suo vertice. La forma non giacente immobile ma librata leggera verso
l’alto. Questi lavori evocano la presenza delle contemporanee esperienze
cubo/futuriste, del cinema espressionista e dell’astrazione geometrica; il Quadrato nero, di Malevich è del 1916; Spezza i bianchi con il cuneo rosso, di
El Lissitzky, del 1920. All’impiego dell’assetto obliquo dell’immagine,
Rodčenko affianca l’inedito e disorientante variare della dislocazione dei
punti di vista: dall’alto e dal basso, oppure molto ravvicinati, conseguendo
effetti sorprendenti.
Tali inconsuete modalità
d’impaginazione s’arricchiscono con sovrapposizioni di immagini, scritte e
figure geometriche, negli innumerevoli collage fotografici per copertine di
libri, riviste e manifesti dal significato, non solo ironico e critico, ma quasi
sempre sociale e politico, come nei fotomontaggi
di Hausmann e di Heartfield, gli inventori
di questa tecnica, nata nel clima culturale del Dada berlinese (1918-1923), nella Germania della Repubblica di
Weimar.
A. M. Rodcenko -1930 |
Altro motivo di grande interesse è costituito dalle
fotografie d’oggetti d’uso comune, con dettagli molto ingranditi, e suggestivi
effetti di luce; ma, soprattutto, di materiali della realtà industriale e della
produzione in serie, economica e socialmente funzionale. I quali, se da un lato
mostrano una nuova estetica di bellezza artificiale (l’essenzialità, la
nitidezza delle linee e della forma, e i suoi metallici lampeggiamenti),
dall’altro costituiscono delle suggestive textures astratte ottenute dall’oggetto
seriale composto e allineato.(2)
L’intenzione di Rodčenko (e
delle Avanguardie sovietiche, suprematiste e costruttiviste) non è di
documentare la realtà, bensì di ricostruirla nell’immagine come modello d’un
progetto di società futura, sullo slancio ideale che ha permeato la Rivoluzione
del ’17 (3), diffondendosi in tutta Europa. È il magnifico sogno di un’Utopia
-già messa in discussione sul nascere dal contraddittorio e sofferto rapporto
tra arte e produzione industriale-, quindi, stroncata dall’avvento di Stalin e
dal trionfo del realismo di Stato. Dopo, tutto si chiude.
Nonostante la sua produzione,
dagli anni ’30 in poi, assuma una connotazione retorica e propagandistica,
certe immagini di questo periodo conservano ancora un senso più ampio, problematico
e contraddittorio, in grado di scrollarsi di dosso le maglie ideologiche e
suggerire visioni d’altrove. Comunque, nel breve periodo di dieci anni,
Rodčenko elabora un linguaggio figurativo originale e di straordinario impatto
simbolico, ancora oggi di grande attualità, ripreso dalla grafica,
l’architettura e il design contemporanei più sensibili e responsabili.
A. M. Rodcenko -1929 |
1) L’arte non è propriamente “utile”,
(inutile e inattuale, piegata all’utilità immediata si dissolve, diventa
rappresentazione grottesca) come non lo è la bellezza; tuttavia, interrogarsi
sulla possibile “utilità” della sua
ineffabile e inafferrabile forza, mi sembra molto ragionevole e salutare.
2) Nello stesso periodo, artisti di tutta
Europa, si interrogano sugli stessi snodi linguistici – in che modo parlare
d’industrializzazione e produzione in serie e come relazionarsi con esse -.
sebbene con diversi tagli critici; lo si vede dando un’occhiata a Le ballet mécanique di Ferdinand Léger,
del 1924, dove un vorticare di
meccanismi s’accompagna a figure geometriche e dettagli di un volto femminile;
e ai cortometraggi sperimentali di Hans Richter con composizioni di oggetti
in movimento (dal 1921 al 1926)
3) Majakovskij illustra con linguaggio popolare le
tavole grafiche di propaganda Rosta;
Kandinskij, Chagall, El Lissitzky, Goncharova, Tatlin, Malevich, eccetera, partecipano
con entusiasmo a un’inedita mobilitazione artistica, convogli ferroviari di
propaganda percorrono campagne (vedi L’armata
a cavallo di Isaac Babel); navi, treni e vetrine espongono manifesti.
L’arte può occupare lo spazio dello spirito e della coscienza, tuttavia fino a
un certo punto, ispirando la grafica, la propaganda e, per certi versi, la
progettazione architettonica. Ma, né la produzione industriale pianificata, né
il regime, hanno bisogno dell’arte.