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venerdì 21 ottobre 2016

FRÉDÉRICK HAAS UN VIRTUOSO DEL CLAVICEMBALO
di Angelo Gaccione

Nella foto il musicista Frédérick Hass

Davvero magnifico il pomeriggio che ieri il clavicembalista francese Frédérick Haas ha regalato a noi appassionati di questo dolcissimo e delicato strumento, oltre che di musica barocca, in una delle Sale del Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco di Milano. Il programma prevedeva un percorso attraverso il nostro Domenico Scarlatti, il parigino François Couperin e lo spagnolo Antonio Soler, conosciuto anche come Padre Soler. Tre grandi del clavicembalo e non solo, compresi sotto un preciso “paragrafo” musicale: “I coloristi del clavicembalo”. Per questa occasione Haas (il cognome tradisce un’origine austriaca-tedesca, anche se in realtà il musicista è nato in Francia, in Bretagna, ma ha studiato sia in Olanda che in Belgio) ha suonato sul clavicembalo Pascal Taskin, strumento del 1788 e che il Museo musicale del Castello vanta assieme ad una vasta e ragguardevole collezione. Il programma proposto dal maestro ha messo in luce le tonalità sonore, timbriche, “coloristiche” dei tre compositori, ma ci ha rivelato altresì il suo virtuosismo esecutivo ed interpretativo che ci ha deliziati e incantati per la sua bravura. Personalmente mi sono stupito per le numerose assonanze armoniche presenti sia in Scarlatti che in Couperin: è davvero sorprendente scoprire quanta italianità c’è in questi due autori, anzi di quanta napoletanetà. Ci sono dei passaggi che rimandano a sonorità proprie della cantabilità napoletana, del ballo alla napoletana. Anche se in Couperin in maniera più romanticamente nostalgica, rispetto al temperamento musicalmente più estroverso e focoso di Scarlatti. Buona l’idea di inserire nel programma il “Fandango” di Soler, da cui abbiamo potuto gustare i ritmi ed il “colore” da danza spagnola, con suoi passaggi che evocano qua e là quello che molto più tardi diventerà il tango.

Il maestro Hass al clavicembalo Taskin


Pomeriggio magnifico, dicevo. Se posso permettermi un appunto, direi che l’eccessiva vastità della Sala non era adeguata alle potenzialità sonore di uno strumento che per sua natura necessita di un ambiente più intimo, più raccolto e meno dispersivo.