LETTURE
MILLANTANNI
di
Gonzalo Alvarez Garcia
Il libro di
Antonella Doria, "Millantanni", è una trilogia: tre raccolte poetiche riunite
in un unico volume. Ciascuna delle tre raccolte comincia simbolicamente con la
lettera M: Medi terraneo, (utero ribollente dove inizia il suo percorso la
civiltà occidentale); Metro polis,
(Milano/Palermo, simbolo dell'Italia moderna;
Millantanni, (o il naufragio della
memoria). L'introduzione al volume è di Giulia Niccolai. Magnifica
introduzione. Passa ai reggi X anima e corpo (corpo poetico), di Antonella
Doria. Dopo aver letto le parole di Giulia Niccolai viene il desiderio di non
dire altro, di limitare il proprio intervento e invitare il lettore ad aprire
le orecchie per ascoltare la voce dell'autrice, prima di cominciare a leggere
il libro egli stesso.
Prego Antonella Doria di leggerci una
poesia, a sua scelta, prima di iniziare la nostra conversazione. La sua voce ci
darà la chiave.
La copertina del libro |
***
La Poesia,
soprattutto negli ultimi tempi, è diventata un po’ "sregolata", nel
senso che non dimostra molto rispetto per "le regole" poetiche
scolastiche. Ciò che vi dirò non è un'analisi del libro di Antonella, ma
soltanto un riassunto delle impressioni, le sensazioni, i pensieri, la
sorpresa, che il progredire nella lettura di Millantanni andava suscitando in me. Eccole: Leggendo la Trilogia
mi è venuta subito in mente la voce di un'altra
donna dall'ispirazione poetica completamente diversa: Alda Merini,
milanese, che ho conosciuto, ammirato e stimato. Le ho consegnato personalmente
il Premio letterario "Sileno d'oro" che l'amministrazione di Gela,
alcuni anni fa, ebbe l'eccellente idea di risvegliare. Purtroppo fu un
risveglio effimero. Merini e Doria: due destini paralleli che convergono nella
poesia, nella solitudine, nella sofferenza, nell'instancabile necessità di
capire il mondo di oggi, di trovare al mondo di oggi, così apparentemente
scriteriato, un nome nuovo, un'anima meno rissosa.
A dire il vero, scriteriato non è il mondo,
ma soltanto quella piccola parte del mondo rappresentata dall'"homo sapiens" che ignora quasi
tutto ed è sempre in agitazione. L'Universo vive in armonia; non gli sfiorano
minimamente le nostre agitazioni. Lasciamo stare l'Universo. Lasciamo stare
anche Alda Merini: dall' estrema umiliazione intima e dal pozzo nero dell'umana
viltà si levò per essere torcia. E lo sarà per lungo tempo.
Veniamo ad Antonella Doria. Il cognome
Doria, nonostante la risonanza ligure, è il nome di una donna siciliana,
palermitana. La risonanza ligure non è altro che l'iridescenza verbale che
l'eterna necessità di migrazione di
uomini e parole lascia persino nella Poesia.
Con il suo stile insolito, direi
"insolente", la Doria ci regala fulminee bellezze e lampi d'ira;
luoghi palpitanti, (i rioni palermitani, per esempio -e non solo palermitani-),
brulicanti di civiltà diverse e, al tempo stesso, matrice multiforme dell'unica
civiltà. Travestite da "versi", sfilano davanti a noi culture
eterogenee che si scontrano e s'incontrano e insieme tessono, distruggono e tornano
a ricostruire l'inverosimile arazzo della vita umana.
Antonella Doria è una donna
"Informata". Dire che è colta
sarebbe riduttivo. E "in-formata", cioè, si è immersa nella Cultura,
si è nutrita di Cultura, la filtra e centrifuga in maniera difficilmente
imitabile. La modella come creta di ceramista, le impone la sua
"forma", il suo personalissimo "formato". Ha osato stuprare
la lingua, squartare la grammatica, violentare la sintassi, disprezzare il
discorso docile agli usi della retorica. Niente regole tradizionali. Niente
assonanze e consonanze.
Antonella Doria |
Niente rima, strofa... Niente metrica...
Persino la punteggiatura viene spazzata via.
Smembra le parole, le fustiga e costringe a dire ciò che lei vuole che
dicano. Le doma come una volta si domavano i cavalli, facendole entrare nel
recinto del suo straordinario alambicco. Poi, lentamente, goccia a goccia, le
lascia cadere, nell'attenzione del lettore stupito, limpide, piene di nuova
suggestione. Ogni parola è avulsa dal discorso convenzionale e inserita
nell'immediata, irrazionale -razionalissima- fluenza vitale dell'autrice.
Ogni parola richiama un'altra parola,
vibra, interagisce, ricorda frammenti di esistenza sofferta o goduta da
qualcuno. Ogni parola, come il sasso di torrente, apparentemente solitario e
scostante, ci riporta alla montagna madre. Che strano mistero, noi esseri
umani, piccolissime particelle alloggiate nel marsupio della Natura, a contatto
diretto con la viscerale armonia dell'Universo, perennemente assetati di
concordia e sempre rapiti dalla discordia...! La poesia di Antonella coglie
questo mistero.
E mentre lentamente vado leggendo i versi
di Antonella Doria, mi sembra che le parole vibrino, si muovano come le particelle
subatomiche, come le ondine nella superficie del lago sfiorato dall'ala di una mosca.
Mentre leggo, non so perché, mi sembra di
avvicinarmi al cuore della Fisica moderna, alla Relatività, ai Quanta. Tutto è
movimento, salti, contorsioni nel mondo infinito e discontinuo, e non so dove
la realtà finisce e dove comincia il sogno. Che la poesia di A. Doria sia un
allucinogeno?
La stessa sensazione mi assale quando leggo
alcune pagine di B. Spinoza, il filosofo solitario del Settecento che, come
nessun'altro, meglio di Cartesio e di Leibniz, in pochissime pagine della sua
"Etica", preannuncia la scienza moderna e ci prepara ad accoglierla. Che
c'entrano la Filosofia e la Fisica moderna con la Poesia?
C'entrano, c'entrano! Le equazioni
matematiche dei grandi fisici, da Galileo ad Albert Einstein, sono il frutto di
intuizioni, di visioni, stracolme di metafore, come la più alta Poesia. La
stessa Filosofia, da Platone a Kant, non ha potuto fare a meno della metafora,
di usare un linguaggio obliquo per dire ciò che non è possibile dire con parole
dirette, rettilinee. Il Realismo degli antichi filosofi e l'Idealismo dei
moderni che altro sono se non due smisurate metafore? Vi sembra, forse,
esagerato sentire che la poesia di A. Doria, in certo qual modo, interpreta poeticamente
la Scienza moderna? Non lo so.
Ma fra le cascate di parole, di sensazioni,
di intuizioni, di reminiscenze, nei versi di A. Doria si ripetono, mi sembra
non senza precisa intenzione, le parole "atomo", "particella
elementare..., che sono anch'esse, metafore. Sapienti, gentili, spensierati,
persino giocherelloni, gli atomi di Einstein, di Bohr, di Niels si muovono
nell'Universo freneticamente, ma con nobile misura e autocontrollo. Collaborano
con gli altri atomi; tutti quanti insieme portano a termine l'impresa sovrumana
della Concordia Universale, senza mai trasgredire le regole della civile
convivenza. Non si sfiorano mai. Appena si rendono conto di avvicinarsi troppo
alla rotta di collisione con l'atomo vicino, saltano, volteggiano, invertono le
loro orbite. Non ignorano i loro diritti, ma conoscono altrettanto bene i loro
doveri. Che cerchino, con il loro linguaggio danzante, di insegnarci le buone
maniere, le regole di quella semplice, buona convivenza che da decenni di
millenni, l'uomo va sognando e non riesce a trovare?
La locandina della presentazione |
Forse quando parliamo di "Fratellanza
Universale" parliamo soltanto di un sogno, di un'utopia?
Per natura il triangolo è triangolo:
geometrica armonia e insieme tre punte acuminate come pugnali. Per natura
l'uomo è uomo: angelo e predatore, santo e assassino. Ha bisogno di dare e di
ricevere amore. Ha bisogno di sbranare la preda. Guerra e Pace.
Credo che queste parole non siano
l'espressione di un mio radicale pessimismo, di un facile lasciarsi andare a
lamentazioni inutili. Al contrario, penso di essere cocciutamente ottimista.
Non so dirvi quale delle due tendenze sia migliore dell'altra. Il tempo che ci
tocca vivere è tetro. Ma la storia umana è piena di momenti neri. Ricordate
quante volte negli ultimi mille anni ci siamo sbranati in nome della libertà di
pensiero, dell'uguaglianza, della fratellanza? Quante volte, in nome di un'Idea
o di una Divinità abbiamo raso al suolo intere civiltà, solo per il capriccio di
far sapere agli altri che il nostro Dio era più Dio del loro Dio? Gli attuali
terrorismi di varia natura passeranno e l'umanità continuerà il suo cammino
verso il futuro. Il nostro futuro sarà più degno di essere vissuto.
Probabilmente già alle origini la nostra specie attraversò momenti di angoscia
simili ai nostri: l'angoscia dell'ignoto. Pensate ai primati, quando
cominciarono a sentire che potevano camminare sulle due sole zampe anteriori.
All'improvviso si trovarono con due arti che non sapevano come utilizzare, si
sentirono perplessi, smarriti. Finché, a poco a poco, le zampe anteriori
diventarono mani, capaci di "manipolare", di rendere più docili le
cose contro le quali prima erano costretti a combattere. Inventarono la ruota e
si sentirono più rilassati, più liberi di vagare fra ozio e riposo. Impararono
a modulare la voce e cantarono. Inventarono la geometria, la matematica, la
poesia, la filosofia, la scienza, la pittura, la scultura...
Esagero se dico che, a mio avviso, tra gli
eventi degni di memoria negli ultimi centoquindici anni il più eminente di
tutti è la nuova Fisica? La Scienza moderna ci ha insegnato a "dubitare",
a non contrapporre il "mio sì" al "tuo no". Credo che la
facoltà di coltivare il "dubbio" sia l'inizio della più alta saggezza
che ci attende. I "dogmi" sono dighe, muraglie; il dubbio è sentiero
aperto...
L'uomo di Neandertal, che abitò le nostre
contrade per centinaia di migliaia di anni, sapeva solo combattere contro le
cose. Ignorava l'arte di conversare con la Natura. Gli etnologi lo hanno
chiamato "sapiens", ma non aveva imparato ancora a "dubitare". Scomparve circa
28mila anni fa, spiantato dalla specie successiva, il "Cro-Magnon",
che ha proclamato se stesso "Sapiens-Sapiens". I
"Cro-Magnon" siamo noi. Siamo ancora nell'infanzia. Abbiamo
cominciato appena a saper "dubitare". Se la nostra infantile
tracotanza non distruggerà prima il Pianeta Terra, forse l'Umanità raggiungerà
un'esistenza più rosea della nostra. Tutto sommato, è l'umanità che conta, non
il singolo uomo.
La Poesia di A. D. non è
"indulgente" con il lettore. Voglio dire, non cerca di sedurlo, di
lusingarlo, di attirarlo con le solite regole della metrica convenzionale. Al
contrario, lo sfida, lo provoca, lo costringe a leggere e ritornare a leggere;
a chiudere il libro e a ritornare ad aprirlo.
Antonella Doria a sinistra della foto |
Credo che questa capacità di attirare il
lettore respingendolo sia un eccellente segno di buona poesia. Credo che la
cosa più importante non sia "leggere molti libri": l'importante e
sentirsi costretti a rileggerli. Alle decine di libri che mi sono sentito costretto
a rileggere, devo ciò che considero il mio intimo patrimonio spirituale. Credo
che "Millantanni",
appartenga a questo genere di libri.
Non che lo giudichi perfetto. Più di un
verso mi sembra superfluo e, quindi, non esemplarmente poetico; ma questo
appartiene alla sfera del mio gusto personale, che non è insindacabile. Credo,
inoltre, che il concetto di "perfezione" sia, come il Polo Nord,
un'utopia: vagamente ci orienta, ma non è raggiungibile.
Un'ultima osservazione sollevata in me
dalla lettura di "Millantanni"
e degli altri libri di Doria: Potrebbero essere un efficace invito ai filologi
affinché prendano in considerazione l'opportunità di mettere mano al
"lavaggio lustrale" di cui hanno assoluto bisogno le nostre lingue?
Nella stiva della gigantesca e confusa "Nave della Cultura" portiamo
una insopportabile zavorra verbale che ci rende impossibile il dialogo, la
conversazione, l'intenderci.
Tutti quanti ci serviamo delle stesse
parole per dire le cose più contraddittorie. Pensate a Caino e Abele, tanto per
non dimenticare le Sacre Scritture. Immaginate che i due fratelli s'incontrino
sotto un albero nelle vicinanze del vecchio Paradiso Terrestre. Si servono,
come noi, di parole come "libertà, fraternità, uguaglianza, diritto,
dovere, mio, tuo, ecc. ecc.
Con le stesse parole che noi usiamo oggi,
probabilmente senza capirne il significato, cercarono di dirimere le loro
divergenze; ad un certo punto, dalle
parole confuse spuntò il coltello e uno dei due morì. Caino e Abele sono
la nostra storia. Con alti e bassi sono la perenne allegoria dell'"Homo
Sapiens, Sapiens".
Non provate anche voi un non so che di
sgradevolmente indefinibile quando siete costretti a sentire declamata da tante
bocche contrapposte la nobilissima e decrepita parola Democrazia? All'inizio
significò il nobile proposito di spingere i più in basso a scalare le cime più
in alto. Poi il significato si capovolse: i più alti sentirono il bisogno di
scendere al più basso gradino, di diventare plebei. Oggi il mondo si sente
soffocato dal plebeismo dilagante.
Potrebbe la Poesia di A. Doria spingere gli
studiosi di filologia alla purificazione delle nostre lingue?
Non sarebbe la prima volta che un poeta
temerario dilata il respiro della Cultura mentre stravolge la grammatica. Già
nel Seicento Luis de Gòngora,
stravolgendo la Sintassi, ci diede i migliori poemi barocchi e sollevò
nei Poeti europei il bisogno di rinnovare i loro bagagli verbali.