FRÉDÉRICK HAAS UN VIRTUOSO DEL CLAVICEMBALO
di Angelo Gaccione
Nella foto il musicista Frédérick Hass |
Davvero magnifico il
pomeriggio che ieri il clavicembalista francese Frédérick Haas ha regalato a
noi appassionati di questo dolcissimo e delicato strumento, oltre che di musica
barocca, in una delle Sale del Museo degli Strumenti Musicali del Castello
Sforzesco di Milano. Il programma prevedeva un percorso attraverso il nostro
Domenico Scarlatti, il parigino François Couperin e lo
spagnolo Antonio Soler, conosciuto anche come Padre Soler. Tre grandi del
clavicembalo e non solo, compresi sotto un preciso “paragrafo” musicale: “I coloristi
del clavicembalo”. Per questa occasione Haas (il cognome tradisce
un’origine austriaca-tedesca, anche se in realtà il musicista è nato in
Francia, in Bretagna, ma ha studiato sia in Olanda che in Belgio) ha suonato
sul clavicembalo Pascal Taskin, strumento del 1788 e che il Museo musicale del
Castello vanta assieme ad una vasta e ragguardevole collezione. Il programma
proposto dal maestro ha messo in luce le tonalità sonore, timbriche, “coloristiche”
dei tre compositori, ma ci ha rivelato altresì il suo virtuosismo esecutivo ed
interpretativo che ci ha deliziati e incantati per la sua bravura.
Personalmente mi sono stupito per le numerose assonanze armoniche presenti sia
in Scarlatti che in Couperin: è davvero sorprendente scoprire quanta italianità
c’è in questi due autori, anzi di quanta napoletanetà. Ci sono dei passaggi che
rimandano a sonorità proprie della cantabilità napoletana, del ballo alla
napoletana. Anche se in Couperin in maniera più romanticamente nostalgica,
rispetto al temperamento musicalmente più estroverso e focoso di Scarlatti.
Buona l’idea di inserire nel programma il “Fandango” di Soler, da cui abbiamo
potuto gustare i ritmi ed il “colore” da danza spagnola, con suoi passaggi che
evocano qua e là quello che molto più tardi diventerà il tango.
Il maestro Hass al clavicembalo Taskin |
Pomeriggio
magnifico, dicevo. Se posso permettermi un appunto, direi che l’eccessiva
vastità della Sala non era adeguata alle potenzialità sonore di uno strumento
che per sua natura necessita di un ambiente più intimo, più raccolto e meno
dispersivo.