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mercoledì 23 novembre 2016

SULLE ELEZIONI AMERICANE
di Fulvio Papi



Una riflessione sulle elezioni americane e il mercato dei sondaggi

Sulle elezioni americane, com’era ovvio, si è aperta una tradizionale logomachia che, in pochissimi casi, consentiva di ampliare il proprio sapere, del resto un poco stantio. È da leggere invece, a cose fatte, il saggio di Vittorio Emanule Parsi, professore di relazioni internazionali alla Cattolica, pubblicato nel numero di “Vita e Pensiero”, l’ottima rivista di quella Università. Parsi scriveva due cose importanti: uno lo riassumo, e l’altro lo cito direttamente. Gli otto anni di presidenza di Obama hanno portato solo un miglioramento (limitato) nell’assistenza sanitaria. Per il resto, in un momento di crisi del sistema capitalistico tra i più gravi, hanno mostrato che “il sistema sembra essere irriformabile”. Su questo “irriformabile”, che vuol dire che ogni elemento della trama sociale resta quello di prima, si può scrivere un libro, analizzando le possibili varianti. Ora è proprio su una variante che intrattengo il testo di Parsi il quale scriveva: “Mentre Hillary Clinton ha goduto fin da subito dell’appoggio della stampa liberal e delle gerarchie del partito, ha invece faticato a guadagnare il consenso dei giovani e dei militanti andato in gran parte a Bernie Sanders. Quest’ultimo, il vecchio “socialista” ebreo newyorchese sarebbe stato meglio in grado di contendere a Donald Trump il voto degli insoddisfatti della piega che sta prendendo l’America […]”.  Alcuni amici più giovani pensano che Sanders avrebbe potuto anche vincere. Non lo so. Invece ricordo bene che una inchiesta tra i giovani americani diceva che il quaranta per cento era favorevole a una svolta socialista negli USA. E allora concludo dicendo che, passato lo spauracchio del comunismo, ci sono tutte le condizioni per creare (nel o fuori dal partito democratico) una forte corrente socialdemocratica che, compiutamente non è mai esistita in America. Perdere per conto mio è meno importante, così come temere le iniziative politiche di Trump, ripetendo che è un pericoloso tanghero, poiché le possibilità semantiche della retorica elettorale devono fare i conti con un equilibrio internazionale che non è favorevole agli USA. Importa invece far vivere in vari territori aggregazioni sociali e culturali socialiste; esse in USA hanno argomenti infiniti, possono svegliare coscienze incerte ma attente, creare un nuovo clima. Com’è accaduto in Europa bisogna cominciare dal basso, dalle amministrazioni locali, dagli enti pubblici. Il vero problema dopo Trump è non lasciare cadere questa possibilità che potrebbe aprire una nuova storia in USA. So di dirlo dall’Europa, dalla vecchia Europa, ma forse anche lì qualcuno pensa allo stesso modo. Infine un giornalista di grande valore notava che i sondaggi ormai non valgono più, e questo accade perché l’elettore non ha più alcun sentimento di riverenza nei confronti di una intervista che, a suo giudizio, proviene sempre da una cultura specializzata a lui estranea.  Quindi, posso aggiungere, mente sapendo di mentire, si prende gioco, gode di una interiore beffa. Dal punto del “mercato” i sondaggi in politica possono chiudere, poiché manca l’elemento primo del loro prodotto. Dal punto di vista personale il gioco della menzogna ha più significati, tra i quali domina il “faccio quello che mi pare contro l’opinione  ‘alta’ dei giornali, dei commentatori, degli esperti, dei sondaggisti”. E qui nel gioco della dissimulazione (poiché qui è lo sbaglio previsionale) si afferma una forma di coscienza personale custodita come una piccola arma segreta, una forma di segretezza naturalmente garantita dal sistema democratico, che, tuttavia, presupponeva una verità che avrebbe dovuto derivare da un’altra forma della coscienza personale. Che però -va detto- nasce soggettivamente perché vi sono le condizioni obiettive chiare, limpide, entusiasmanti che derivano da un ceto politico con una propria cultura, e una propria dignità. I valori sono sempre una relazione, come sanno tutti coloro che hanno nella testa il feticismo dei fatti.