SULLE ELEZIONI
AMERICANE
di Fulvio Papi
Una riflessione sulle elezioni
americane e il mercato dei sondaggi
Sulle
elezioni americane, com’era ovvio, si è aperta una tradizionale logomachia che,
in pochissimi casi, consentiva di ampliare il proprio sapere, del resto un poco
stantio. È da leggere invece, a cose fatte, il saggio di Vittorio Emanule
Parsi, professore di relazioni internazionali alla Cattolica, pubblicato nel
numero di “Vita e Pensiero”, l’ottima rivista di quella Università. Parsi
scriveva due cose importanti: uno lo riassumo, e l’altro lo cito direttamente.
Gli otto anni di presidenza di Obama hanno portato solo un miglioramento
(limitato) nell’assistenza sanitaria. Per il resto, in un momento di crisi del
sistema capitalistico tra i più gravi, hanno mostrato che “il sistema sembra
essere irriformabile”. Su questo “irriformabile”, che vuol dire che ogni
elemento della trama sociale resta quello di prima, si può scrivere un libro,
analizzando le possibili varianti. Ora è proprio su una variante che
intrattengo il testo di Parsi il quale scriveva: “Mentre Hillary Clinton ha
goduto fin da subito dell’appoggio della stampa liberal e delle gerarchie del
partito, ha invece faticato a guadagnare il consenso dei giovani e dei
militanti andato in gran parte a Bernie Sanders. Quest’ultimo, il vecchio
“socialista” ebreo newyorchese sarebbe stato meglio in grado di contendere a
Donald Trump il voto degli insoddisfatti della piega che sta prendendo
l’America […]”. Alcuni amici più giovani
pensano che Sanders avrebbe potuto anche vincere. Non lo so. Invece ricordo
bene che una inchiesta tra i giovani americani diceva che il quaranta per cento
era favorevole a una svolta socialista negli USA. E allora concludo dicendo
che, passato lo spauracchio del comunismo, ci sono tutte le condizioni per
creare (nel o fuori dal partito democratico) una forte corrente socialdemocratica
che, compiutamente non è mai esistita in America. Perdere per conto mio è meno
importante, così come temere le iniziative politiche di Trump, ripetendo che è
un pericoloso tanghero, poiché le possibilità semantiche della retorica
elettorale devono fare i conti con un equilibrio internazionale che non è
favorevole agli USA. Importa invece far vivere in vari territori aggregazioni
sociali e culturali socialiste; esse in USA hanno argomenti infiniti, possono
svegliare coscienze incerte ma attente, creare un nuovo clima. Com’è accaduto
in Europa bisogna cominciare dal basso, dalle amministrazioni locali, dagli
enti pubblici. Il vero problema dopo Trump è non lasciare cadere questa
possibilità che potrebbe aprire una nuova storia in USA. So di dirlo
dall’Europa, dalla vecchia Europa, ma forse anche lì qualcuno pensa allo stesso
modo. Infine un giornalista di grande valore notava che i sondaggi ormai non
valgono più, e questo accade perché l’elettore non ha più alcun sentimento di
riverenza nei confronti di una intervista che, a suo giudizio, proviene sempre
da una cultura specializzata a lui estranea.
Quindi, posso aggiungere, mente sapendo di mentire, si prende gioco,
gode di una interiore beffa. Dal punto del “mercato” i sondaggi in politica
possono chiudere, poiché manca l’elemento primo del loro prodotto. Dal punto di
vista personale il gioco della menzogna ha più significati, tra i quali domina il
“faccio quello che mi pare contro l’opinione
‘alta’ dei giornali, dei commentatori, degli esperti, dei sondaggisti”.
E qui nel gioco della dissimulazione (poiché qui è lo sbaglio previsionale) si
afferma una forma di coscienza personale custodita come una piccola arma
segreta, una forma di segretezza naturalmente garantita dal sistema
democratico, che, tuttavia, presupponeva una verità che avrebbe dovuto derivare
da un’altra forma della coscienza personale. Che però -va detto- nasce
soggettivamente perché vi sono le condizioni obiettive chiare, limpide,
entusiasmanti che derivano da un ceto politico con una propria cultura, e una
propria dignità. I valori sono sempre una relazione, come sanno tutti coloro
che hanno nella testa il feticismo dei fatti.