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venerdì 23 dicembre 2016

OLTRE LA DIFESA DEL NO
di Francesco Piscitello

Matteo Renzi

L
’articolo di Fulvio Papi del 6 dicembre scorso sembra dettato da un’inquietudine: quella che la classe politica non realizzi “in un tempo ragionevole provvedimenti (non finzioni) che appartengano al clima intellettuale e morale delle linee che la rivista (Odissea, ndr) ha indicato”.
L’inquietudine di Papi ha un che di profetico: non sapeva, quando la stava scrivendo, che pochi giorni, quasi poche ore, dopo la sua riflessione ci saremmo trovati di fronte una compagine governativa simile a quella soffiata via da uno stentoreo NO. Cosa dico simile? Identica: i ministri del precedente esecutivo sono quasi tutti lì. Se ne sono anzi aggiunti altri, entusiasti fautori della deprecata riforma. E hanno anche giurato sulla quella Carta che avevano tentato di scardinare.
Antonio Ingroia, su Il Fatto Quotidiano del 22 dicembre, invita il popolo del NO a riunirsi in comitati permanenti per l’attuazione della Costituzione. Odissea, se è partecipe delle inquietudini di Papi, deve aderire all’invito di Ingroia, ne apprezzi o meno il pensiero e la prassi politica: su questo tema non si può dissentire. È tempo, io credo (e il tempo stringe!), di farlo. Perché quel NO non venga vanificato, umiliato, tradito. Ricordiamo le parole di Giorgio Gaber: libertà è partecipazione. Non siamo donne e uomini liberi se assistiamo inerti allo stravolgimento della nostra democrazia. Se stiamo alla finestra.
Non basta indignarsi. Odissea formi un comitato, al quale fin d’ora assicuro la mia adesione, per difendere i valori, i principi, l’idea di etica, di giustizia, di solidarietà, di libertà, quella temperie morale, insomma, quell’atmosfera emozionale interna dei milioni di cittadini che hanno pronunciato il loro NO.
Non credo però che tutto si debba esaurire nella difesa di quel voto. Per corruzione nella vita pubblica, per evasione fiscale, per malaffare e non solo mafioso siamo il paese leader d’Europa. Lo eravamo anche prima della riforma alla quale abbiamo detto NO. Siamo ai massimi livelli di disuguaglianza economica. Lo eravamo anche prima. L’attacco reiterato alle pensioni dei comuni cittadini non conosce sosta come non conosce sosta la difesa di stipendi e vitalizi della classe politica. Era in atto anche prima. Le nostre istituzioni soffrono di una cronica disfunzionalità. Succedeva anche prima. Gli interventi pubblici di solidarietà sociale - si pensi ai pazienti di malattie croniche fortemente invalidanti, come la sclerosi laterale amiotrofica, le cui famiglie sono lasciate vergognosamente sole - sono di entità pressoché irrilevante. Anche questo avveniva già prima.
La carica di delusione, di preoccupazione, di indignazione per i tentativi di restaurazione che già s’intravvedono- di cui il governo-fotocopia è eloquente paradigma -deve essere utilizzata non soltanto per difendere il sacrosanto diritto a non veder vanificato un voto ma anche per avviare, sostenere, spingere un processo rigenerativo (morale soprattutto) di questo nostro paese del quale si sente fortemente il bisogno. Dirò subito che, a questo proposito, vedo ragioni, tante ragioni, troppe ragioni, che non incoraggiano certo l’ottimismo. Ma non è un buon motivo, questo, per fermarsi. È piuttosto un motivo per accrescere l’energia, lo sforzo necessari.
È ora di smettere di essere un popolo bue. Riprendiamoci, amici, quel paio di cosette che il bue ha perduto.