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sabato 1 aprile 2017

Il Racconto
L’agguato
di Vito Calabrese

Il suo aspetto doveva essere orribile. Decise che non poteva raccontare quello che le era successo. La paura di prima le era passata. Le era rimasta solo la vergogna.

Xira entrò in classe che la lezione era cominciata da dieci minuti. Si giustificò goffamente e la maestra la mandò al suo posto. La famiglia di Xira viene dalla Moldavia. Lei è alta, robusta, anzi un po’ grassoccia, e si veste abitualmente con la tuta, che la fa sembrare ancora più tonda. Francesca l’ha osservata con attenzione ed è turbata dal suo aspetto: rossa in viso, affannata e con la maglietta allacciata storta. Quella mattina era successo qualcosa. Doveva parlarne con le sue amiche Tonia e Sabina. Camminava sul marciapiede rasente il muro, con gli occhi fissi alle punte dei piedi. Scendeva dal Parco Nord verso via Hermada, poi in via Passerini dove c’era la scuola. Faceva quel percorso da sola. Il fratello maggiore non l’accompagnava e si giustificava con la madre dicendo che doveva arrivare in officina prima delle 8, altrimenti avrebbe perso il lavoro. Non c’erano mai stati problemi fino al giorno precedente. Stava svoltando in via Hermada quando sentì quelle voci aggressive e stonate. Alzò gli occhi e li vide. Erano fermi all’angolo della panetteria, prima del semaforo. Rallentò il passo, il cuore le batteva forte, si guardò in giro sperando d’incontrare qualcuno conosciuto. Niente. Pensò di attraversare la strada. Si accorse che il gruppo dei prepotenti, che l’aveva umiliata ieri, si apprestava a fare lo stesso. Accettò la sfida. Saltò sul marciapiede opposto quasi correndo. Guarda chi c’è! – esclamò il ragazzino con la criniera, additandola agli altri. La nostra amica è tornata. – aggiunse il più alto, forse il capetto, col berretto di lana grigio. Ehi, tu, dove corri. Fermati! - così dicendo il terzo, quello grasso, fasciato in un giubbotto marrone orribile, la spinse in malo modo contro il muro. Il lungo le disse che domani doveva portare i soldi della merenda, altrimenti non sarebbe passata senza prendere un sacco di botte. Lei si girò strisciando la cartella a terra e il grassone le diede un calcio nel sedere che la fece cadere in ginocchio. Gli altri ridevano e la insultavano. Si rialzò in qualche modo e corse via piangendo, senza girarsi.
Xira spinse la porta e mise il piede dentro la classe. La maestra si girò verso di lei e restò sorpresa. Xira! Cosa hai fatto? Il suo aspetto doveva essere orribile. Decise che non poteva raccontare quello che le era successo. La paura di prima le era passata. Le era rimasta solo la vergogna. Ho inciampato e sono caduta. Andiamo in infermeria? No. Mi sono sbucciata un ginocchio, ma non è niente, preferisco seguire la lezione. Va bene, vai al tuo posto.- Xira raggiunse il suo banco. Non le era sfuggita l’occhiata vorace che le aveva rivolto quella mingherlina di Francesca. Non ne voleva sapere di spartire confidenze con lei e quelle altre pettegole. Francesca percepiva il nervosismo e l’avversione della compagna ma era decisa a capire cosa le fosse successo in quelle fredde mattine invernali. Si diresse al banco della compagna, che si stava guardando le ginocchia sbucciate. Ciao. Ti ho portato un cerotto. Lo vuoi? –-No, grazie. Faccio da sola. - Tieni, tanto a me non serve. - E va bene, dammelo. – le strappò il cerotto di mano e si chinò su se stessa con la chiara intenzione di togliersela di torno.- Francesca non l’aveva mai tenuta nel conto delle sue amiche, ma non l’aveva mai presa in giro. Sentiva crescere dentro di sé un senso di solidarietà femminile che la spingeva a correre in soccorso della compagna, che intuiva essere stata almeno sfortunata in questa occasione, se non peggio. Xira aveva rinunciato ad opporsi a Francesca. D’altronde non aveva senso tenere il broncio a quella ragazzina, che forse era una pettegola, secchiona, ma che era stata l’unica a mostrarle attenzione. Anche Tonia e Sabina si erano avvicinate e la consolavano. Nell’intervallo di mensa, le quattro ragazze mangiarono assieme. Tonia scherzava, Sabina rideva e Francesca cercava di forzare il segreto di Xira: Chi ti ha picchiata? - Xira la guardò con gli occhi che le si riempivano di lacrime. - Come lo sai? Non l’ho detto a nessuno.- sussurrò. Noi l’abbiamo capito. Si vede che sei spaventata. Cosa ti hanno fatto? - Non posso. Non chiedetemi più nulla.- Se qualche bullo ti ha fatto male, gliela faremo pagare. - Voi? E come farete?- Sotto pressione, Xira raccontò tutto alle nuove amiche, dopo il giuramento di non parlarne ai maestri. Messe insieme le informazioni, avevano capito che i bulletti erano alunni della 5C. Discussero animatamente per una mezz’ora sul che fare e alla fine misero insieme un piano. Il piano era chiaro e semplice. Francesca doveva convincere la mamma a uscire di casa qualche minuto prima e seguire il percorso che avevano preparato. Intanto suo fratello maggiore, Alberto, continuava a fare il cretino e tirava tardi, rischiando di farle saltare l’appuntamento. Era talmente furiosa che lo prese a cazzotti scatenando una rissa, finché due sberle secche della mamma la sedarono. Uscirono di casa ingrugniti e, appena in macchina, lei non riuscì più a trattenersi e raccontò con veemenza il piano concordato con le amiche. La mamma guidava, ascoltava e mentalmente seguiva il percorso tracciato da Francesca per raggiungere l’incrocio “bersaglio”. La piccola non smetteva di raccontare quanto fosse importante che arrivassero là per tempo, così da coglierli sul fatto e dare una mano a Xira. Anche suo fratello aveva cambiato umore ed era disposto a fare la sua parte per fermare quei pivelli, per di più bastardi. Parcheggiarono l’auto non troppo lontano dall’incrocio. Appena un cinquanta metri più avanti Francesca li vide. Erano loro, non c’era dubbio. La descrizione di Xira era stata precisa: uno alto col berretto di lana, uno piccolo con la testa mezza rasata, uno grosso coi vestiti stazzonati.


Erano fermi vicino all’incrocio e la stavano aspettando. Là. Li vedi quei tre. Sono loro. Io vado.- Tu non ti muovi. Aspetti. Te lo dico io quando potrai scendere. – la bloccò la mamma. Aspetta, stupida. Dov’è la tua compagna? chiese Alberto. Francesca si girò a guardare attraverso il lunotto dell’auto e la vide. Stava andando dritta in bocca al gruppetto dei cretini. Questi si erano accorti del suo arrivo e l’aspettavano ridendo. Lei scendeva rasente il muro, occhi bassi, pallida in volto. Arrivata all’altezza del gruppetto, prima rallentò e poi prese la rincorsa. Il piccoletto era stato lesto e le aveva fatto lo sgambetto. Il lungo la insultava con una fila di parolacce da far arrossire anche un adulto. Il grassottello le ballonzolava intorno scalciando. Adesso! - gridò la mamma, un comando che li fece scattare come molle. Aprirono le portiere e corsero là dove la piccola Xira cercava di non prenderle, riparandosi la testa con le mani. Mentre si avvicinavano, Francesca si accorse che anche le sue amiche, accompagnate dalle mamme, stavano correndo verso quel groviglio. Il piccoletto vide arrivare quelle donne e capì di essere in pericolo. Filò via sulla traversa, correndo a perdifiato. Gli altri non si erano accorti di nulla e continuavano a vessare Xira. La mamma di Francesca prese per un braccio il ragazzino alto e lo girò violentemente verso di lei mentre un’altra mamma bloccò il grassottello che restò a bocca aperta. Alberto non si era fermato all’incrocio ma inseguiva il piccoletto. Lo raggiunse e lo fece cadere a terra con una mossa da dribling stretto e lo riportò con gli altri. Xira si rialzò, incredula, piangendo. Riconobbe le sue nuove amiche e quando l’abbracciarono si lasciò andare alla gioia. In un colpo solo aveva trovato delle amiche e sconfitto quei bulli che le incutevano tanta paura. Come stai? - chiesero le mamme, accarezzandole il viso e ricomponendole i vestiti. Ce la fai a tornare a scuola?- Sì. Certo. -Bene. Lo sai che dobbiamo parlarne con i maestri? Lo devono sapere. -Sì. Fate voi.- rispose Xira dopo un attimo di esitazione, incoraggiata da Francesca. Intanto questi tre teppistelli li scortiamo in classe, li consegniamo alla direttrice e poi vedremo che fare. S’incamminarono con le mamme in corteo verso la scuola. I ragazzi balordi si erano pentiti, a parte il capetto, un osso duro che soffriva di aver perso il controllo della piccola banda. I suoi genitori non era stati utili, dando tutte le colpe alla scuola e alla ragazzina. Alla fine avevano deciso di spostare il figlio in un altro complesso, una scuola privata. Xira è più serena anche se ogni tanto il suo sguardo si annebbia e le riaffiora la paura. In quei momenti ha bisogno di sentire il contatto di un’amica, una come Francesca. Intuisce che le servirà del tempo per riordinare i pezzi di quell’esperienza dura, che le ha lacerato l’anima. Almeno ora, Xira non cammina più rasente ai muri, ed è una cosa meravigliosa.
[Illustrazioni di Adamo Calabrese]