Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda
di Angela Maria Spina
Tutta l'Italia è in fiamme. Mani criminali e insipienza governativa ad ogni livello fanno il resto. Ogni anno la solita storia e non si provvede per tempo. Non si è voluto trasformare le Forze Armate in un corpo utile a questa bisogna come da anni predichiamo. Non si è voluto introdurre un articolo unico, più volte da noi sollecitato, che equipari questo reato a una vera e propria strage e come tale da punire con mezzo secolo di carcere, senza possibilità di patteggiamento ed esclusione di qualsiasi beneficio. Quanto gli fa comodo (in occasione dei loro vertici ai massimi livelli) i Governi e gli Stati attivano satelliti spia, blindano spazi aerei, creano cinture di sicurezza su interi territori, infiltrano spie in ogni dove. Il patrimonio boschivo collettivo, le bellezze paesaggistiche che creano ricchezza, salute, stabilità , a lor signori non interessano, e così non muovo un dito. Dalla vecchia Democrazia Cristiana al "nuovo corso" leghista e berlusconiano, fino al disgustoso renzismo del Partito Democratico, non è cambiato nulla su questo fronte. Tutto è rimasto drammaticamente e sconsolatamente come prima.
Che il fuoco sia il primo dei 4 elementi fondamentali
secondo le cosmogonie occidentali e le
tradizioni sapienziali dell’antichità, è un dato ben
noto ed acclarato a tanti. Ma che nell’estate del 2017 il fuoco potesse
diventare uno degli elementi più devastanti del paese, non certo nell’accezione
di energia e passione, era forse immaginabile. Il fuoco dunque, come punto cardine e metafora di un
paese, specie nella sua cinta centromeridionale, che letteralmente si sta consumando tra le fiamme del proprio
inferno, nel suo verosimile girone dantesco, da cui è quasi possibile scorgere
simbolicamente un cartello: “Lasciate
che si arda”.
Nelle zone in cui si
elevano alte le fiamme ed i roghi infatti, si è trafitti ogni volta come quelle
zanzare che fanno colare il sangue nutrendo la terra piena di vermi. Qui si
rende possibile quel balzo metaforico pur sempre necessario, verso ciò che
associa al genere umano di soli carnefici, che sanno sempre bene come
annientare e distruggere la vita. Rappresentazione esagitata di un genere tutto maschile, che sa come piangere
con lacrime asciutte di fieri uomini, invece che non quelle delle madri che
versano lacrime amare per i figli infelici e tristi, defunti oppure randagi
come cani nel mondo. Giovinezze disperse ed allontanate che oggi come ieri
cercano asilo, ancora nelle nuove moderne americhe.
Quel fuoco è spaventoso
ed orribile, assimilabile all'elemento
fecondante paterno, che mutua dal calore del cielo, il suo tentativo di operare
una sterilità annichilente, quella cioè che non riesce ad essere feconda di un
vero cambiamento e malgrado voglia, sa di non potersi unire all'elemento tutto
femminile, di terra fertile concepita come archetipo, generato non come un
giovane germoglio o essere vivente, che irrora e distilla trasformazioni e
magari inviterebbe anche a berne al calice della propria sana prolificità. L’Italia centro meridionale
combatte e si dimena come può, tra le fiamme alte ed i roghi, in cui solo alle salamandre,
sarebbe dato sopravvivere, come nei rimandi letterari mitologici di creature
alchemiche, che proprio perché considerate immortali e resistenti al fuoco,
intessono quando possibile, poveri e miseri pensieri, quelli di disperati
uomini perennemente in cerca anche storicamente sempre di un altrove,
dove vivere meglio e bene, piuttosto che in quella loro propria terra
amarissima, dove è più facile rincorrere vuote schegge e ombre di un abitare il
sud che oramai da tempo è divenuto buio, afono di suoni ormai del tutto muti ed inerti; specie
nei tanti paesi minuscoli e piccoli, abbandonati ad un isolamento inesorabile,
in cui solo il suono dell’emigrazione e dello spopolamento, echeggia altero e
fiero.
C’è un Sud
apparentemente perduto, che ancora cerca di capire il perché di
tanto accanimento, di sì tanto scempio proprio col fuoco, quello che altresì nell’anima povera dei suoi contadini si
sapeva sempre come trattare e rispettare, per tradizione antica.
C’è anche un Sud
attonito ed arrabbiato che spiega come può l’oltraggio ai suoi
stessi figli e con tanto, tanto orrore, si adopera per rispondere come i
filosofi agli interrogativi dell’arche, cioè a quell’origine o principio, che è
l’inizio e ne è certo la causa di tanto indicibile male.
Ma sempre aperti
restano i dubbi e le risposte vaghe o forse sempre ancor di più afone come
sempre in questi casi, s’intonano con misera efficacia, tutte le tristi litanie
di nenie da troppo tempo in lutto. Avviene quando a bruciare sono i boschi, è come
se si udisse un triste ed accorato pianto dell’anima degli alberi; perciò si
dovrebbero commemorare la flora e fauna polverizzate, andate tutte
letteralmente in cenere, le quali impiegheranno millenni lunghi e lenti, prima di potersi elevare al nuovo rango di
bellezza paesaggistica naturale.
A questo funerale,
partecipa l’alter-ego dell’anima
del sud, quella che cerca invece
di strappare e difendere alla morte,
non solo la vita dei suoi boschi, come quella dei propri luoghi, come delle sue montagne nella sua storia,
pensando a tracce, scarti, frammenti, polvere e cenere, alle rovine di quei
paesaggi e di una certa geografia tutta meridionale, che nel suo stato attuale è
veramente desolante.
Quel tale Eraclito
di Efeso, (550 a.C./480 a.C. ca) secondo cui, il fuoco è stata un’entità che mutando resta
simile, non immaginava che questo fuoco estivo
potesse tanto nel Sud Italia nell’anno domini 2017, specie in Campania,
Sicilia ed in Calabria; cioè in quelle cosiddette Regioni infelici per non avere mezzi aerei sufficienti, tali da poter
intervenire allo spegnimento degli incendi.
Dicono sono le Regioni ad essere del tutto sguarnite di
mezzi: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia, Umbria e Sicilia,
a cui mancano elicotteri antincendio. Infatti interi territori sono costretti
poveramente a mobilitarsi ed a evacuare alla meno peggio, decine e decine di
ettari, in preda a fiamme assatanate,
nella maggior parte dei casi sempre di natura dolosa.
Il fuoco è avviluppatore:
due vittime calabresi morti per asfissia mentre tentavano di avere ragione
delle fiamme che devastavano case e terreni. Impietose telecamere che
riprendevano i cittadini di San Pietro in Guarano mentre, aiutati da polizia,
carabinieri e Croce rossa, abbandonavano le loro case in preda al panico,
soffocavano l’aria non più tersa e cristallina.
Situazione tanto
drammatica, quanto parossistica. E per fronteggiare un’emergenza per la quale
si è mobilitato finanche l’esercito, udite, udite,
sono operativi solo cinque
elicotteri. Certo bisognerebbe far sapere ad Eraclito che invocava la
forza del fuoco come principio primo, che la flotta aerea
dello Stato Italiano che si accompagna alle flotte regionali con 16 Canadair e 12 elicotteri della Difesa,
dislocati su 14 basi, contempla delle falle più grosse dei buchi di un corredo
di groviera.
Sin anche al
fondatore dell’ermeneutica contemporanea Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900, Heidelberg 2002), avremmo dovuto far
sapere così pure come ai grandi
metafisici come Hegel, così attratti da Eraclito, e dal mistero dell’unità del molteplice, che ci si confonde spesso, pensando ai soli 32
elicotteri antincendio complessivi, del Corpo forestale dello stato in forze in
questa emergenza, 28 velivoli dei quali
non possono in alcun modo ancora alzarsi in volo per spegnere fiamme
altissime, che divampano, divorano ed avviluppano. Giacché questa singolare
armata di Elicotteri è Inutilizzata anche in ragione dalla recente
riforma Madia, la quale ha tagliato per
così dire i viveri ai forestali, accorpando mezzi e personale ad altre forze dell’ordine. Gli elicotteri dei
quali, sono stati divisi, 16 velivoli in
dotazione all’Arma dei carabinieri e 16 al Corpo dei vigili del fuoco, che per
mancanza di brevetti e adeguamento ai nuovi criteri imposti dalla legge, soltanto
in quattro sono stati messi attualmente in volo. Parrebbe
semplicemente perché ancora non sono stati riverniciati con la scritta del
nuovo corpo di appartenenza.
Sarebbe in ogni modo
anche interessante intrattenersi pure con gli amabili filosofi, per non tener
da conto, che su circa ottomila forestali, 6.400 sono andati a rimpolpare l’organico
dei carabinieri, 1.240 sono finiti a vari livelli nella pubblica
amministrazione e solo 361 sono andati ai vigili del fuoco. Una sproporzione
piuttosto evidente, aggravata dal fatto che le competenze proprio sugli incendi
boschivi sono finite agli stessi vigili
del fuoco, i quali sempre privi di mezzi e ancor più di organici, sono
stati di fatto abbandonati dallo Stato
che li generati per partenogenesi.
In questi giorni a sorvolare il Sud Italia per
spegnere gli incendi che sono appiccati in ogni dove, sono per lo più i Canadair, che specie in
Sicilia, ma del resto anche in Calabria e altrove, hanno per lo più il costo di
14 mila euro l’ora e sono
inoltre del tutto gestiti da privati, che (felicemente) sopperiscono per meri
fini di lucro, alla paralisi ordita
nella macchina organizzativa dello stato; stante alla medesima situazione che
riguarda anche tutti gli elicotteri utili per il salvataggio e la lotta agli
incendi. Questo è il dato macroscopico di quanto accade oggi in questo paese
strano detto stivale, in cui il suo mezzogiorno tanto “sfigato” è tanto isolato
e sempre più abbandonato e lasciato inerme anche in balia delle proprie fiamme,
sebbene ruggisca esattamente come un cucciolo che s’avvezza al gioco del
massacro.
Magari chissà qualche buon tempone avrà forse immaginato
che le fiamme purificatrici, potessero almeno questo: estirpare esattamente
alla radice il suo male antico quel problema cioè vecchio quanto il cucco, che
oramai si ripropone identico e drammatico nelle proprie forme disperatissime,
quasi ogni estate; e che forse una massaia o un mezzadro del primo ‘900, determinerebbero con certo meno errori ed
orrori, rispetto a quanti ne ha combinati quella cattiva inadempiente politica,
che è stata e continua ad essere madre dei soliti ritardi e delle colpe nei
confronti dei suoi beni pubblici, nelle amministrazioni locali.
A Sud dopo la soppressione dei forestali, esattamente
nello scorso maggio con una nuova legge, le cui norme ancora non hanno visto luce, perché prive
dei propri decreti attuativi nel numero di 15, (ancora inapprovati); tutto è più
grigio e cupo nella cenere, anche dopo che le fiamme hanno arse le dorsali
pedemontane ed appenniniche, ed hanno avviluppato
anche nelle sporche coscienze, le responsabilità collettive. È quasi un
girone dell’inferno Dantesco in queste ore l’Italia centromeridionale. Appare
come quello in cui certi dannati degli ultimi tre cerchi dell’inferno, si
rendono i più colpevoli di aver posto la malizia nelle loro cattive azioni:
come accendere e dar fuoco e fiamme, ai boschi alle sterpaglie ed ai paesaggi
antichi ed incontaminati ancora con la stessa mano armata che brandisce il
cerino.
Tutti i “custodi” di
questo inverecondo moderno cerchio di fuochi e fiamme, si identificano con un
Minotauro mostruoso, che rappresenta la «matta bestialità», ovvero quella violenza che avvicina l’uomo
agli esseri più meschini e bruti, più spregevoli, ben oltre l’orrore delle “bestie” .
Aver appiccato le scintille o alimentato l’imponderabile imprevisto della
mano “umana” è roba da professionisti, giammai di improvvisati fuochisti dell’ultima
ora,
che attoniti saprebbero ritrovare nelle carcasse dei loro stessi animali
divorati dalle fiamme, tutti gli spettri
delle loro sporche coscienze, che li costringerebbero altresì almeno alla
dannazione quasi eterna, di essersi resi violenti contro essi stessi, prima che
con gli altri.
Un poco come quei
suicidi preterintenzionali, che magari poi,
e solo per la mitologia, verrebbero trasformati in alberi per pura legge
del contrappasso, resa più improbabile
la pena per un ripopolamento, ed averne altresì cagionato volontarietà a rinunciare alla natura
umana,
di custodi della morte, piuttosto che non di vita.
Tra gli Italiani i
meridionali in queste circostanze appaiono come ombre, gravate dall’utopia
disincantata che si portano dentro, attraverso cioè una insana forma
malinconica di parca speranza, che
magari vorrebbe ritrovare esattamente proprio in quelle proprie sacre ceneri,
per provare anche a far risorgere quell’araba
fenice, tanto improbabile e vaga, che magari potrebbe riscattarli tutti, e
saprebbe anche come renderli felici.
In fin dei conti
forse a meglio riscattarli, non è dunque solo quello strano uccello piumato,
connesso alla ciclicità della vita, come morte e resurrezione quindi come eternità dello spirito; ma
potrebbero esserlo piuttosto quelle
salamandre cioè quelle creature più prossime agli esseri umani, sia come
sostanza pensante del fuoco, sia come unicum capace di sviluppare il
principio invisibile dell’Io identitario, che invece occorrerebbe piuttosto
definire per tutti i meridionali, che
numerosi ne restano ancora sprovvisti.
La verità della
questione è forse anche quella che ad onor del vero considera la misura di un buco di organico in forze all’anti incendio, di circa
3.500 unità rispetto a quanto previsto, che
assicura cioè un servizio del tutto scadente e quasi inconcludente, circa le complesse
problematiche dei fuochi. Varrebbe a
dire che quasi ogni 15mila abitanti,
cioè ben al di sotto della media europea, si accresce e giganteggia il rischio
che possa più facilmente accadere un nuovo focolaio, a cui si sarebbe soliti
assistere impotenti, senza cioè poter fronteggiare una qualunque grave
evenienza, sui gradi dell'unità in scala di misura della temperatura. La domanda corretta
allora è dunque la seguente: perché Non
“sfruttare” adeguatamente gli ex
forestali per rimpolpare, senza costi aggiuntivi, gli organici?
In verità credo che operai della Forestale, pastori e allevatori non abbiano nulla da guadagnare dal
fuoco; forse con ogni probabilità ad
avere possibili interessi dalle fiamme sono piuttosto altri soggetti, interessati
ai grassi e grossi appetiti, con interventi previsti per la ricostituzione delle aree verdi, ed in fin dei conti anche per il grande giro di affari su elicotteri e
Canadair. Ma è risaputo finanche che a queste latitudini, siamo facili
prede di quelle creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna,
quelle stesse arpie che nell’Eneide
profetizzavano ai troiani più fame e sciagure; e per i meridionali di oggi, più
povertà e desolazione intrepide per lunghi ancora anni da venire.
Se piuttosto che i
boschi, e la salvaguardia delle aree paesaggistiche, si preferiscono gli
orribili scialacquatori, e gli indisturbati ladri che distruggono e dilaniano
le “sostanze” cioè quei patrimoni naturali ricchissimi, senza esserne lacerati
come da “cagne fameliche” con la stessa
medesima ferocia; allora il grado di trasfigurazione dello sciagurato popolo
meridionale sarà inevitabilmente smarrito per sempre. Nessun altro riscatto sarà
più possibile.
Del resto noialtri
si perdona tutto, finanche il più devastante deserto di fuoco, di fiamme e
cenere che improvvide amministrazioni scellerate, che magari immaginano di “abbellire”
con meschini Km di pale eoliche, “piantate” magari sia pure ben mimetizzate,
per smerllettare gli scempi e ripianare i debiti di pubbliche amministrazioni
trafitte dagli strali dei debiti.
E lo stesso delitto
al territorio, il ratto e la rapina, si perpetuano silenziosi e tristi, come la
mancanza di acque e di prevenzione oculata dei territori erosi e corrosi, nel
cancro di società omertose e complici, di organizzazioni del malaffare, che
avvelenano acque, terre, fiumi, laghi, del tutto indisturbati e famelici,
vampiri del nostro stesso sangue vivo.
Del resto poi si sa,
c’è chi non solo non ha misura nel gestire il proprio patrimonio, ma riesce con
egual ferocia ad infierire su quello degli altri, distruggendo attraverso le
proprie sostanze, in una caccia infernale, contro le altrui bellezze naturali
di ognuno.
E poi saremmo anche
capaci di riversare i mali e le colpe della comunità, sugli operai della Forestale si sente spesso
dire “non fanno niente” omettendo
di ricordare, che in genere questa categoria s’avvia al lavoro magari proprio in giugno, senza che le necessarie
opere di prevenzione degli incendi siano state effettuate per tempo, cioè senza
la ripulitura delle erbe secche e delle sterpaglie.
Ora se è vero che le
relazioni, cambiano sovente le morfologie dell’abitare, del vivere nel senso
stesso dei luoghi, allora resta incontrovertibile che ferite così, che sono
tanto lente, lentissime a sparire, sono il manifestarsi di cancro devastante.
È pur vero che ciò che
appartiene al tempo, trascorso o
vissuto, può sempre essere riscattato, anche oltre le cesure e le discontinuità di un mondo carsico
di potenzialità sommerse, e in un paese come l’Italia meridionale, che come è noto
non è per nulla capace di esprimere potenzialità diverse, se non per
le incompiute, “suscettibili” magari auspicabilmente di incontrovertibili
realizzazioni a doppio binario.
L’Italia intera
brucia, e con essa non solo il suo desolato mezzogiorno.
Vuoti di cenere e
ombre, di un morire lento ed asfissiante di un paese, che non riesce nemmeno a
concepire il patrimonio naturalistico oltre che quello culturale, come il
volano preziosissimo del suo miglior
sviluppo.
Dunque una scintilla
in un regno buio ed oscuro nel quale si accusa il male di vivere. Qui l’aria è sempre
densa, e quando riecheggiano voci, rumori e frastuoni, anche quei suoni inerti e le
specie faunistiche dilaniate, dei paesi di quel centro-Sud in fiamme, sempre più
abbandonato al proprio destino, gridano vendetta. Magari sarà anche possibile pensare tracce, scarti,
frammenti, rovine, paesaggi come una geografia a tutti gli effetti di un
presente dissennato e dissoluto, ma
oltre le ombre, gravate dall’utopia disincantata di una pessimismo
assoluto, si dovrebbero portare dentro le colpe politiche ed amministrative verso queste terre,
colpe ancora tutte da espiare. Non basteranno perciò
le forme malinconiche, oppure quelle agguerrite e prive della speranza, a ristabilire il
riscatto.
I pompieri - ad
esempio - sono il corpo meno pagato in Italia: gli stessi forestali
percepiscono in media circa 700 euro in più al mese rispetto a un vigile del
fuoco. Tanto che a tutt’oggi i 361 ex
forestali prendono un’indennità diversa rispetto ai vigili. Insomma, il dubbio è che per evitare squilibri troppo evidenti e il rischio di dover poi alzare le
indennità a tutti i vigili del fuoco, si sia preferito scegliere un’altra strada e
un’altra destinazione.
In fin dei conti però se non bastasse, vi è sempre un altro modo per colmare
il gap di organico in questo settore, come ed esempio poter attingere alla lista di tremila idonei di un
concorso svolto nel 2010 che da anni in molti attendono invano possa tornare ad
assumere.
Peccato che, al di là di mille promesse,
nulla sia stato finora fatto, più dei proclami vuoti ed asfittici. Perciò accanto ai ritardi nazionali, regionali
magari anche locali, restano sempre le
responsabilità di una politica inconcludente e meschina che è ad esempio
incapace e lenta nell’approvare il Piano antincendio boschivo (Aib) 2017 e
dunque le relative modalità attuative per organizzare la prevenzione, il
lavoro a terra e gli accordi con i vigili del fuoco e con la Protezione civile. La conseguenza è che
gli operatori lavorano senza direttive
ed esposti a turni massacranti, come in qualsiasi situazione emergenziale, in
cui il paese è da sempre campione. Mobilitare l’esercito nelle zone roventi, espone al rischio di mandare
persone impreparate, prive di competenze specifiche, come quelle in
forze proprio ad esempio all’antincendio boschivo. Mentre i cosiddetti
discontinui cioè quei precari dei
vigili del fuoco, i quali potrebbero tornare utili ed essere chiamati al
servizio vista l’emergenza, sono ritardati perché non è stata siglata alcuna
convenzione con le Regioni.
Tutto questo mentre
il fuoco continua a divorare qualcosa come ettari ed ettari di boschi e verde
dello stivale. Vorrei dunque esser io stessa foco per avviluppare
gli stolti e ridurli in cenere, magari “natura” e “principio” archè e physis, potrebbero proprio coincidere,
giacché la natura non è mai statica, ma altresì dinamica, e come tale è una
forza, è la forza che genera ogni cosa, compresi gli esseri viventi, che
muovono sempre il tutto.
Le mafie utilizzano l'alfabeto dei simboli, lanciano messaggi più o meno
cifrati, più o meno comprensibili anche a noi altri, per ricordare che nei
territori loro sono certe autorità di
riferimento, affatto affrancate da certa
dittatura criminale, che lottizza certe opportunità di terre sulle quali edificare oppure magari
cominciare palificare nel mito maldestro dell’energia eolica. Allora, porre e
riproporre per tutti la questione meridionale sarà sempre sempre meglio che negarla, giacché gli speculatori non
ci privano soltanto di un bene che è il paesaggio italiano, avvelenano e
minacciano la nostra salute e vita, ma distruggono e depauperano, la nostra
stessa identità.
Amerei dunque ci
fossero eserciti pacifici di meridionali che sappiano porre domande, proprio
perché vivono sui crinali infuocati in cui da una parte si hanno aspettative, che
il fuoco riesca a poter fare “pulizia di tutto il male e dell’orrore in corso” che
si continua a subire ancora in queste aree; e dall’altra qualcosa di diverso,
di nuovo, forse più banalmente una nuova strada da percorrere esattamente direzione
onestà, per far spiccare il volo ad nuova araba fenice che deve risorgere dalle
sue stesse ceneri.