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lunedì 17 luglio 2017

Si fossi Foco Arderei perciò Lasciate che arda
di Angela Maria Spina

Tutta l'Italia è in fiamme. Mani criminali e insipienza governativa ad ogni livello fanno il resto. Ogni anno la solita storia e non si provvede per tempo. Non si è voluto trasformare le Forze Armate in un corpo utile a questa bisogna come da anni predichiamo. Non si è voluto introdurre un articolo unico, più volte da noi sollecitato, che equipari questo reato a una vera e propria strage e come tale da punire con mezzo secolo di carcere, senza possibilità di patteggiamento ed esclusione di qualsiasi beneficio. Quanto gli fa comodo (in occasione dei loro vertici ai massimi livelli) i Governi e gli Stati attivano satelliti spia, blindano spazi aerei, creano cinture di sicurezza su interi territori, infiltrano spie in ogni dove. Il patrimonio boschivo collettivo, le bellezze paesaggistiche che creano ricchezza, salute, stabilità , a lor signori non interessano, e così non muovo un dito. Dalla vecchia Democrazia Cristiana al "nuovo corso" leghista e berlusconiano, fino al disgustoso renzismo del Partito Democratico, non è cambiato nulla su questo fronte. Tutto è rimasto drammaticamente e sconsolatamente come prima.
   


Che il fuoco sia il primo dei 4 elementi fondamentali secondo le cosmogonie  occidentali e le tradizioni sapienziali dell’antichità, è un dato  ben noto ed acclarato a tanti. Ma che nell’estate del 2017 il fuoco potesse diventare uno degli elementi più devastanti del paese, non certo nell’accezione di energia e passione, era forse immaginabile. Il fuoco dunque, come punto cardine e metafora di un paese, specie nella sua cinta centromeridionale, che letteralmente  si sta consumando tra le fiamme del proprio inferno, nel suo verosimile girone dantesco, da cui è quasi possibile scorgere simbolicamente un cartello:  “Lasciate che si arda”.
Nelle zone in cui si elevano alte le fiamme ed i roghi infatti, si è trafitti ogni volta come quelle zanzare che fanno colare il sangue nutrendo la terra piena di vermi. Qui si rende possibile quel balzo metaforico pur sempre necessario, verso ciò che associa al genere umano di soli carnefici, che sanno sempre bene come annientare e distruggere la vita. Rappresentazione esagitata di un  genere tutto maschile, che sa come piangere con lacrime asciutte di fieri uomini, invece che non quelle delle madri che versano lacrime amare per i figli infelici e tristi, defunti oppure randagi come cani nel mondo. Giovinezze disperse ed allontanate che oggi come ieri cercano asilo, ancora nelle nuove moderne americhe.
Quel fuoco è spaventoso ed orribile,  assimilabile all'elemento fecondante paterno, che mutua dal calore del cielo, il suo tentativo di operare una sterilità annichilente, quella cioè che non riesce ad essere feconda di un vero cambiamento e malgrado voglia, sa di non potersi unire all'elemento tutto femminile, di terra fertile concepita come archetipo, generato non come un giovane germoglio o essere vivente, che irrora e distilla trasformazioni e magari inviterebbe anche a berne al calice della propria sana prolificità. L’Italia centro meridionale combatte e si dimena come può, tra le fiamme alte ed i roghi, in cui solo alle salamandre, sarebbe dato sopravvivere, come nei rimandi letterari mitologici di creature alchemiche, che proprio perché considerate immortali e resistenti al fuoco, intessono quando possibile, poveri e miseri pensieri, quelli di disperati uomini perennemente in cerca anche storicamente sempre di un altrove, dove vivere meglio e bene, piuttosto che in quella loro propria terra amarissima, dove è più facile rincorrere vuote schegge e ombre di un abitare il sud che oramai da tempo è divenuto buio, afono di  suoni ormai del tutto muti ed inerti; specie nei tanti paesi minuscoli e piccoli, abbandonati ad un isolamento inesorabile, in cui solo il suono dell’emigrazione e dello spopolamento, echeggia altero e fiero.


C’è un Sud apparentemente perduto, che ancora cerca di capire il perché di tanto accanimento, di sì tanto scempio proprio col fuoco, quello che altresì  nell’anima povera dei suoi contadini si sapeva sempre come trattare e rispettare, per tradizione antica.
C’è anche un Sud attonito ed arrabbiato che spiega come può l’oltraggio ai suoi stessi figli e con tanto, tanto orrore, si adopera per rispondere come i filosofi agli interrogativi dell’arche, cioè a quell’origine o principio, che è l’inizio e ne è certo la causa di tanto indicibile male.
Ma sempre aperti restano i dubbi e le risposte vaghe o forse sempre ancor di più afone come sempre in questi casi, s’intonano con misera efficacia, tutte le tristi litanie di nenie da troppo tempo in lutto. Avviene quando a bruciare sono i boschi, è come se si udisse un triste ed accorato pianto dell’anima degli alberi; perciò si dovrebbero commemorare la flora e fauna polverizzate, andate tutte letteralmente in cenere, le quali impiegheranno millenni lunghi e lenti,  prima di potersi elevare al nuovo rango di bellezza paesaggistica naturale.
A questo funerale, partecipa l’alter-ego dell’anima del sud, quella  che cerca invece di strappare e difendere alla morte, non solo la vita dei suoi boschi, come quella dei propri luoghi, come delle sue montagne nella sua storia, pensando a tracce, scarti, frammenti, polvere e cenere, alle rovine di quei paesaggi e di una certa geografia tutta meridionale, che nel suo stato attuale è veramente desolante.


Quel tale Eraclito di Efeso, (550 a.C./480 a.C. ca) secondo cui, il fuoco è stata un’entità che mutando resta simile, non immaginava che questo fuoco estivo  potesse tanto nel Sud Italia nell’anno domini 2017, specie in Campania, Sicilia ed in Calabria; cioè in quelle cosiddette Regioni infelici per non avere mezzi aerei sufficienti, tali da poter intervenire allo spegnimento degli incendi.
Dicono sono le  Regioni ad essere del tutto sguarnite di mezzi: Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia, Umbria e Sicilia, a cui mancano elicotteri antincendio. Infatti interi territori sono costretti poveramente a mobilitarsi ed a evacuare alla meno peggio, decine e decine di ettari, in preda  a fiamme assatanate, nella maggior parte dei casi sempre di natura dolosa.  
Il fuoco è avviluppatore: due vittime calabresi morti per asfissia mentre tentavano di avere ragione delle fiamme che devastavano case e terreni. Impietose telecamere che riprendevano i cittadini di San Pietro in Guarano mentre, aiutati da polizia, carabinieri e Croce rossa, abbandonavano le loro case in preda al panico, soffocavano l’aria non più tersa e cristallina.
Situazione tanto drammatica, quanto parossistica. E per fronteggiare un’emergenza per la quale si è mobilitato finanche l’esercito, udite, udite, 
sono operativi solo cinque elicotteri. Certo bisognerebbe far sapere ad Eraclito che invocava la forza del fuoco come principio primo, che la flotta aerea dello Stato Italiano che si accompagna alle flotte regionali con 16 Canadair e 12 elicotteri della Difesa, dislocati su 14 basi, contempla delle falle più grosse dei buchi di un corredo di groviera.
Sin anche al fondatore dell’ermeneutica contemporanea Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900, Heidelberg 2002), avremmo dovuto far sapere così pure come ai grandi  metafisici come Hegel, così attratti da Eraclito, e dal mistero dell’unità del molteplice, che ci si confonde spesso, pensando ai soli 32 elicotteri antincendio complessivi, del Corpo forestale dello stato in forze in questa emergenza,  28 velivoli dei quali non possono in alcun modo ancora alzarsi in volo per spegnere fiamme altissime, che divampano, divorano ed avviluppano. Giacché questa singolare armata di Elicotteri è  Inutilizzata anche in ragione dalla recente riforma Madia, la quale ha tagliato per così dire i viveri ai forestali, accorpando mezzi e personale ad altre forze dell’ordine. Gli elicotteri dei quali,  sono stati divisi, 16 velivoli in dotazione all’Arma dei carabinieri e 16 al Corpo dei vigili del fuoco, che per mancanza di brevetti e adeguamento ai nuovi criteri imposti dalla legge, soltanto  in quattro sono stati messi attualmente in volo. Parrebbe semplicemente perché ancora non sono stati riverniciati con la scritta del nuovo corpo di appartenenza.
Sarebbe in ogni modo anche interessante intrattenersi pure con gli amabili filosofi, per non tener da conto,  che su circa ottomila forestali, 6.400 sono andati a rimpolpare l’organico dei carabinieri, 1.240 sono finiti a vari livelli nella pubblica amministrazione e solo 361 sono andati ai vigili del fuoco. Una sproporzione piuttosto evidente, aggravata dal fatto che le competenze proprio sugli incendi boschivi sono finite agli stessi vigili del fuoco, i quali sempre privi di mezzi e ancor più di organici, sono stati di fatto abbandonati dallo Stato che li generati per partenogenesi.


In questi giorni a sorvolare il Sud Italia per spegnere gli incendi che sono appiccati in ogni dove, sono per lo più i Canadair,  che specie in Sicilia, ma del resto anche in Calabria e altrove, hanno per lo più il costo di 14 mila euro l’ora e sono inoltre del tutto gestiti da privati, che (felicemente) sopperiscono per meri fini di lucro,  alla paralisi ordita nella macchina organizzativa dello stato; stante alla medesima situazione che riguarda anche tutti gli elicotteri utili per il salvataggio e la lotta agli incendi. Questo è il dato macroscopico di quanto accade oggi in questo paese strano detto stivale, in cui il suo mezzogiorno tanto “sfigato” è tanto isolato e sempre più abbandonato e lasciato inerme anche in balia delle proprie fiamme, sebbene ruggisca esattamente come un cucciolo che s’avvezza al gioco del massacro.
Magari chissà  qualche buon tempone avrà forse immaginato che le fiamme purificatrici, potessero almeno questo: estirpare esattamente alla radice il suo male antico quel problema cioè vecchio quanto il cucco, che oramai si ripropone identico e drammatico nelle proprie forme disperatissime, quasi ogni estate; e che forse una massaia o un mezzadro del primo ‘900,  determinerebbero con certo meno errori ed orrori, rispetto a quanti ne ha combinati quella cattiva inadempiente politica, che è stata e continua ad essere madre dei soliti ritardi e delle colpe nei confronti dei suoi beni pubblici, nelle amministrazioni locali.


A Sud dopo la soppressione dei forestali, esattamente nello scorso maggio con una nuova legge, le cui  norme ancora non hanno visto luce, perché prive dei propri decreti attuativi nel numero di 15, (ancora inapprovati); tutto è più grigio e cupo nella cenere, anche dopo che le fiamme hanno arse le dorsali pedemontane ed appenniniche, ed hanno avviluppato anche nelle sporche coscienze, le responsabilità collettive. È quasi un girone dell’inferno Dantesco in queste ore l’Italia centromeridionale. Appare come quello in cui certi dannati degli ultimi tre cerchi dell’inferno, si rendono i più colpevoli di aver posto la malizia nelle loro cattive azioni: come accendere e dar fuoco e fiamme, ai boschi alle sterpaglie ed ai paesaggi antichi ed incontaminati ancora con la stessa mano armata che brandisce il cerino.
Tutti i “custodi” di questo inverecondo moderno cerchio di fuochi e fiamme, si identificano con un Minotauro mostruoso, che rappresenta la «matta bestialità», ovvero quella violenza che avvicina l’uomo agli esseri più meschini e bruti, più spregevoli, ben oltre l’orrore delle “bestie” .
Aver appiccato le scintille o alimentato l’imponderabile imprevisto della mano “umana” è roba da professionisti, giammai di improvvisati fuochisti dell’ultima ora, che attoniti saprebbero ritrovare nelle carcasse dei loro stessi animali divorati dalle fiamme, tutti  gli spettri delle loro sporche coscienze, che li costringerebbero altresì almeno alla dannazione quasi eterna, di essersi resi violenti contro essi stessi, prima che con gli altri.
Un poco come quei suicidi preterintenzionali, che magari poi,  e solo per la mitologia, verrebbero trasformati in alberi per pura legge del contrappasso, resa più  improbabile la pena per un ripopolamento, ed averne altresì cagionato volontarietà a rinunciare alla natura umana, di custodi della morte, piuttosto che non di vita.


Tra gli Italiani i meridionali in queste circostanze appaiono come ombre, gravate dall’utopia disincantata che si portano dentro, attraverso cioè una insana forma malinconica di parca  speranza, che magari vorrebbe ritrovare esattamente proprio in quelle proprie sacre ceneri, per provare anche  a far risorgere quell’araba fenice, tanto improbabile e vaga, che magari potrebbe riscattarli tutti, e saprebbe anche come renderli felici.
In fin dei conti forse a meglio riscattarli, non è dunque solo quello strano uccello piumato, connesso alla ciclicità della vita, come morte e resurrezione quindi come eternità dello spirito; ma potrebbero esserlo piuttosto quelle  salamandre cioè quelle creature più prossime agli esseri umani, sia come sostanza pensante del fuoco, sia come unicum capace di sviluppare il principio invisibile dell’Io identitario, che invece occorrerebbe piuttosto definire  per tutti i meridionali, che numerosi ne restano ancora sprovvisti.
La verità della questione è forse anche quella che ad onor del vero considera  la misura di un buco di organico in forze all’anti incendio, di circa 3.500 unità rispetto a quanto previsto, che assicura cioè un servizio del tutto scadente e quasi inconcludente, circa le complesse problematiche  dei fuochi. Varrebbe a dire che quasi ogni 15mila abitanti, cioè ben al di sotto della media europea, si accresce e giganteggia il rischio che possa più facilmente accadere un nuovo focolaio, a cui si sarebbe soliti assistere impotenti, senza cioè poter fronteggiare una qualunque grave evenienza, sui gradi dell'unità in scala di misura della temperatura. La domanda corretta allora è dunque la seguente: perché Non sfruttare” adeguatamente gli ex forestali per rimpolpare, senza costi aggiuntivi,  gli organici?


In verità credo che operai della Forestale, pastori e allevatori non abbiano nulla da guadagnare dal fuoco; forse con ogni probabilità ad  avere possibili interessi dalle fiamme sono piuttosto altri soggetti, interessati ai grassi e grossi appetiti, con interventi previsti per la ricostituzione delle aree verdi, ed in fin dei conti anche per il grande giro di affari su elicotteri e Canadair. Ma è risaputo finanche che a queste latitudini, siamo facili prede di quelle creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, quelle stesse arpie  che nell’Eneide profetizzavano ai troiani più fame e sciagure; e per i meridionali di oggi, più povertà e desolazione intrepide per lunghi ancora anni da venire.
Se piuttosto che i boschi, e la salvaguardia delle aree paesaggistiche, si preferiscono gli orribili scialacquatori, e gli indisturbati ladri che distruggono e dilaniano le “sostanze” cioè quei patrimoni naturali ricchissimi, senza esserne lacerati come da “cagne fameliche” con la stessa medesima ferocia; allora il grado di trasfigurazione dello sciagurato popolo meridionale sarà inevitabilmente smarrito per sempre. Nessun altro riscatto sarà più possibile.
Del resto noialtri si perdona tutto, finanche il più devastante deserto di fuoco, di fiamme e cenere che improvvide amministrazioni scellerate, che magari immaginano di “abbellire” con meschini Km di pale eoliche, “piantate” magari sia pure ben mimetizzate, per smerllettare gli scempi e ripianare i debiti di pubbliche amministrazioni trafitte dagli strali dei debiti.
E lo stesso delitto al territorio, il ratto e la rapina, si perpetuano silenziosi e tristi, come la mancanza di acque e di prevenzione oculata dei territori erosi e corrosi, nel cancro di società omertose e complici, di organizzazioni del malaffare, che avvelenano acque, terre, fiumi, laghi, del tutto indisturbati e famelici, vampiri del nostro stesso sangue vivo.
Del resto poi si sa, c’è chi non solo non ha misura nel gestire il proprio patrimonio, ma riesce con egual ferocia ad infierire su quello degli altri, distruggendo attraverso le proprie sostanze, in una caccia infernale, contro le altrui bellezze naturali di ognuno.
E poi saremmo anche capaci di riversare i mali e le colpe della comunità, sugli operai della Forestale si sente spesso dire  “non fanno niente” omettendo di ricordare, che in genere questa categoria s’avvia al lavoro magari  proprio in giugno, senza che le necessarie opere di prevenzione degli incendi siano state effettuate per tempo, cioè senza la ripulitura delle erbe secche e delle sterpaglie.
Ora se è vero che le relazioni, cambiano sovente le morfologie dell’abitare, del vivere nel senso stesso dei luoghi, allora resta incontrovertibile che ferite così, che sono tanto lente, lentissime a sparire, sono il manifestarsi di  cancro devastante.
È pur vero che ciò che appartiene al tempo,  trascorso o vissuto, può sempre essere riscattato, anche oltre le cesure e le discontinuità di un mondo carsico di potenzialità sommerse, e in un paese come l’Italia meridionale, che come è noto non è per nulla capace di esprimere potenzialità diverse, se non per le incompiute,suscettibili” magari auspicabilmente di incontrovertibili realizzazioni a doppio binario.
L’Italia intera brucia, e con essa non solo il suo desolato mezzogiorno.
Vuoti di cenere e ombre, di un morire lento ed asfissiante di un paese, che non riesce nemmeno a concepire il patrimonio naturalistico oltre che quello culturale, come il volano preziosissimo del  suo miglior sviluppo.


Dunque una scintilla in un regno buio ed oscuro nel quale si accusa il male di vivere. Qui l’aria è sempre densa, e quando riecheggiano voci, rumori  e frastuoni, anche quei suoni inerti e le specie faunistiche dilaniate, dei paesi di quel centro-Sud in fiamme, sempre più abbandonato al proprio destino, gridano vendetta.  Magari sarà anche possibile pensare tracce, scarti, frammenti, rovine, paesaggi come una geografia a tutti gli effetti di un presente dissennato e dissoluto, ma  oltre le ombre, gravate dall’utopia disincantata di una pessimismo assoluto, si dovrebbero portare dentro le colpe politiche ed amministrative verso queste terre, colpe ancora tutte da espiare.  Non basteranno perciò le forme malinconiche, oppure quelle agguerrite e  prive della speranza, a ristabilire il riscatto.
I pompieri - ad esempio - sono il corpo meno pagato in Italia: gli stessi forestali percepiscono in media circa 700 euro in più al mese rispetto a un vigile del fuoco. Tanto che a tutt’oggi i 361 ex forestali prendono un’indennità diversa rispetto ai vigili. Insomma, il dubbio è che per evitare squilibri troppo evidenti e il rischio di dover poi alzare le indennità a tutti i vigili del fuoco, si sia preferito scegliere un’altra strada e un’altra destinazione.
In fin dei conti però se non bastasse, vi è sempre un altro modo per colmare il gap di organico in questo settore, come ed esempio poter attingere alla lista di tremila idonei di un concorso svolto nel 2010 che da anni in molti attendono invano possa tornare ad assumere.
Peccato che, al di là di mille promesse, nulla sia stato finora fatto, più dei proclami vuoti ed asfittici. Perciò accanto ai ritardi nazionali, regionali magari anche locali,  restano sempre le responsabilità di una politica inconcludente e meschina che è ad esempio incapace e lenta nell’approvare il Piano antincendio boschivo (Aib) 2017 e dunque le relative modalità attuative per organizzare la prevenzione, il lavoro a terra e gli accordi con i vigili del fuoco e con la Protezione civile. La conseguenza è che gli operatori lavorano senza direttive ed esposti a turni massacranti, come in qualsiasi situazione emergenziale, in cui il paese è da sempre campione.  Mobilitare l’esercito nelle zone roventi, espone al rischio di mandare persone impreparate, prive di competenze specifiche, come quelle in forze proprio ad esempio all’antincendio boschivo. Mentre i cosiddetti discontinui cioè quei precari dei vigili del fuoco, i quali potrebbero tornare utili ed essere chiamati al servizio vista l’emergenza, sono ritardati perché non è stata siglata alcuna convenzione con le Regioni.


Tutto questo mentre il fuoco continua a divorare qualcosa come ettari ed ettari di boschi e verde dello stivale. Vorrei dunque esser io stessa foco per avviluppare gli stolti e ridurli in cenere, magari natura” e principioarchè e physis, potrebbero proprio coincidere, giacché la natura non è mai statica, ma altresì dinamica, e come tale è una forza, è la forza che genera ogni cosa, compresi gli esseri viventi, che muovono sempre il tutto.
Le mafie utilizzano l'alfabeto dei simboli, lanciano messaggi più o meno cifrati, più o meno comprensibili anche a noi altri, per ricordare che nei territori loro sono certe autorità di riferimento, affatto affrancate da certa  dittatura criminale, che lottizza certe opportunità di terre sulle quali edificare oppure magari cominciare palificare nel mito maldestro dell’energia eolica. Allora, porre e riproporre per tutti la questione meridionale sarà sempre sempre meglio che negarla, giacché gli speculatori non ci privano soltanto di un bene che è il paesaggio italiano, avvelenano e minacciano la nostra salute e vita, ma distruggono e depauperano, la nostra stessa identità.
Amerei dunque ci fossero eserciti pacifici di meridionali che sappiano porre  domande, proprio perché  vivono sui crinali infuocati in cui da una parte si hanno aspettative, che il fuoco riesca a poter fare “pulizia di tutto il male e dell’orrore in corso” che si continua a subire ancora in queste aree; e dall’altra qualcosa di diverso, di nuovo, forse più banalmente una nuova strada da percorrere esattamente direzione onestà, per far spiccare il volo ad nuova araba fenice che deve risorgere dalle sue stesse ceneri.