Pagine

martedì 10 ottobre 2017

FAVORI , TRASFORMISMO, AUTONOMIA DEL POLITICO
di Franco Astengo


Favori reciproci, trasformismo, autoconservazione, uso distorto dell’“autonomia del politico”, sono queste le caratteristiche fondative del sistema politico italiano, ormai da molto tempo: ben oltre il tanto lamentato “consociativismo” indicato, un tempo, quale conseguenza diretta della “conventio ad excludendum” e quindi causa principale dei mali della Repubblica tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo.
Mali che avrebbero dovuto essere combattuti attraverso il sistema elettorale maggioritario che avrebbe consentito l’alternanza di governo e soprattutto fare in modo che la “domenica sera delle elezioni si sapesse chi aveva vinto”.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non è il caso di inoltrarci ulteriormente nelle rievocazioni: ne è venuto fuori il ceto politico più feroce e vorace della storia e sono sorti, nel contrasto di questo stato di cose, spazi per raccolti di consenso tali da consentire scalate verso il potere a improvvisati arruffapopoli pronti a introdursi nelle più viete logiche di palazzo.
Sotto questo aspetto l’itinerario compiuto dal M5S nel corso di questa legislatura e modalità e forme del passaggio nella candidatura alla Presidenza del Consiglio (questione che giuridicamente non esiste) sono del tutto indicative della introiettazione più profonda, all’interno del ceto politico espresso dal Movimento, delle logiche più negative comparse nei modelli di comportamento all’interno del sistema politico italiano con l’avvento del trio: “democrazia diretta” / personalizzazione / maggioritario.
Nel nostro caso le notizie più recenti da sottolineare sono due, diverse tra di loro ma entrambe dimostrative della natura trasformistica e familistica (dal familismo amorale di Banfield)  dominante  nel nostro sistema politico:
1)Contemporaneamente al lancio di una “offensiva di disgelo a sinistra” da parte del PD, la Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato due modifiche alla legge elettorale : la prima prevede l’esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione del simbolo per un’eventuale lista rappresentativa di un gruppo parlamentare formatosi entro il 15 aprile del 2017. Senza verifica elettorale si considera un’operazione di palazzo come quella di una transumanza parlamentare come un fatto politico trasposto sul piano elettorale. Si tratta di una norma “salva MDP – articolo 1” che il PD sta tentando di far rientrare in una logica di tipo coalizionale usando anche questa merce di scambio. Non solo, sempre promotore il PD, sono ridotte alla metà il numero delle firme necessarie per presentare le candidature nei singoli collegi  per i “nuovi movimenti”(750 in luogo di 1.500: altra norma comunque legata alla dimensione dei collegi, la cui entità ancora non si conosce) : operazione di evidente facilitazione per un’eventuale presentazione autonoma (e non unitaria con MDP: una sorta di “piano B” del PD per cercare comunque di coprirsi a sinistra) di “Campo Progressista”.” Campo Progressista”: un altro soggetto virtuale per ora del tutto campato per aria che, di nuovo, dispone di una rappresentanza parlamentare non conseguita attraverso le elezioni ma attraverso la rottura di gruppi parlamentari eletti in altro modo .In “Campo progressista” ci sono veri e propri specialisti in questo campo che siedono in Parlamento dai tempi di “Rifondazione Comunista” e da quell’epoca in marcia verso i più sicuri luoghi di conferma del laticlavio. Questi provvedimenti (delle vere e proprie “provvidenze”) devono  comunque passare per le aule della Camera e del Senato. Naturalmente va tenuto conto che il tutto appare coperto dai reciproci tatticismi: in caso di rifiuto dell’alleanza dopo aver elargito facilitazioni, il PD è pronto alla campagna per il “voto utile”, mentre dall’altra parte il solo scopo delle manfrine in atto è quello di arrivare ad un Def approvato con il soccorso di Forza Italia e quindi di fare la campagna elettorale all’insegna dell’incauto “connubio” tra PD e FI. Miserie elettoralistiche su entrambi i fronti non disponendo di uno straccio di progettualità, complessiva di visione della società e programmatica, da presentare ad elettrici ed elettori.


2)L’altra notizia viene dalla Sicilia in preparazione delle elezioni regionali di novembre. In questo caso il trasformismo sta assumendo dimensioni davvero massicce.  Mentre il PD (in forte difficoltà almeno secondo i sondaggi) non riesce a compilare le liste succede che un terzo (16) degli eletti che stavano con l’ex pci Crocetta (presidente uscente della Regione e non ricandidato) sono passati nelle liste del candidato del centro destra Musumeci, ex msi, portando in dote un potenziale di 76 mila preferenze. C’è anche chi nel frattempo è passato dal centrosinistra al centrodestra, successivamente alla lista di Orlando e adesso con Forza Italia. Trasformismo siciliano che avviene in un quadro generale da record in Parlamento, con 524 passaggi di gruppo avvenuti nel corso della legislatura per il 35,37% dei parlamentari in carica.
Pare non ci sia bisogno di ulteriore commento, per entrambe le notizie.
Attenzione però: la giusta denuncia di questo stato di cose non può risiedere all’interno della categoria del moralismo oppure collocarsi sulla presunta ( e fasulla) frontiera della cosiddetta “antipolitica”.


L’analisi deve riguardare, invece, il tema dell’ autonomia del politico e della distorsione profonda avvenuto nell’uso di questa categoria che, nella sua accezione originaria, risulterebbe fondamentale per l’esercizio dell’azione sia di governo, sia di rappresentanza politica. L’uso distorto dell’autonomia deriva essenzialmente dell’assunzione della funzione politica esclusivamente come fatto amministrativo di “gestione” del presente e quindi di questione meramente “tattica” oltre che di marginalità utilitaristica e/o di convenienza corporativa. L’autonomia del politico viene così destinata esclusivamente alla “gestione del presente”.
Una gestione mediata attraverso la personalizzazione e delegando l’appartenenza alla presenza in  “cordate” formate ( riformate) da utilizzarsi (e contrastare, facendo e disfacendo alleanze) esclusivamente in funzione della propria presenza personale o di altri occasionalmente legati allo stesso gruppo d’interesse nell’apparato istituzionale.
Qualcosa di più e di diversamente strutturato rispetto all’organizzazione di una “lobby”.
Il punto su questa questione dirimente dell’autonomia del politico risiede quindi  essenzialmente nell’assenza di rappresentatività politica e non tanto e non solo da una espressione malsana di volontà soggettiva o di logica – appunto – di tipo “familistico” (come  pare accadere, invece, ad esempio nell’assegnazione delle cattedre e degli incarichi universitari). Non si tratta quindi di “questione morale”  magari risolvibile attraverso un mutamento di regole (magari toccando, per quel che concerne il trasformismo, l’art.67 della Costituzione: un’operazione che alla fine si risolverebbe semplicemente in una lesione di libertà) ma di un tema squisitamente politico che concerne la costruzione collettiva della soggettività : tanto per intenderci la tematizzazione non può che riguardare il sistema dei partiti, la loro funzione specifica, le forme del loro rapporto di massa, le regole di interscambio con la società, i corpi intermedi, le espressioni delle mediazione culturale.
Infine sarebbe opportuno rivolgere un invito ai giornali: quando trattano delle miserie riguardanti le vicende di Pisapia e altri in relazione a presunte liste unitarie, divisioni, personalismi: Non si tirino in ballo, per una mera questione di dignità,  le presunte vocazioni scissioniste della sinistra e soprattutto non si citino Livorno ’21, Palazzo Barberini, lo PSIUP, il Manifesto : quelle erano grandi questioni politiche, addirittura di valenza epocale che richiamavano la Rivoluzione d’Ottobre, l’appartenenza della sinistra al campo occidentale, il governo di centro-sinistra, i carri armati di Praga. Per favore non confondiamo quegli avvenimenti di politica vera con le miserie opportunistiche di oggi.