FAVORI , TRASFORMISMO,
AUTONOMIA DEL POLITICO
di Franco Astengo
Favori reciproci, trasformismo,
autoconservazione, uso distorto dell’“autonomia del politico”, sono queste le
caratteristiche fondative del sistema politico italiano, ormai da molto tempo:
ben oltre il tanto lamentato “consociativismo” indicato, un tempo, quale
conseguenza diretta della “conventio ad
excludendum” e quindi causa principale dei mali della Repubblica tra gli
anni ’80 e ’90 del XX secolo.
Mali che
avrebbero dovuto essere combattuti attraverso il sistema elettorale
maggioritario che avrebbe consentito l’alternanza di governo e soprattutto fare
in modo che la “domenica sera delle elezioni si sapesse chi aveva vinto”.
I risultati
sono sotto gli occhi di tutti e non è il caso di inoltrarci ulteriormente nelle
rievocazioni: ne è venuto fuori il ceto politico più feroce e vorace della
storia e sono sorti, nel contrasto di questo stato di cose, spazi per raccolti
di consenso tali da consentire scalate verso il potere a improvvisati
arruffapopoli pronti a introdursi nelle più viete logiche di palazzo.
Sotto questo
aspetto l’itinerario compiuto dal M5S nel corso di questa legislatura e
modalità e forme del passaggio nella candidatura alla Presidenza del Consiglio
(questione che giuridicamente non esiste) sono del tutto indicative della
introiettazione più profonda, all’interno del ceto politico espresso dal
Movimento, delle logiche più negative comparse nei modelli di comportamento
all’interno del sistema politico italiano con l’avvento del trio: “democrazia
diretta” / personalizzazione / maggioritario.
Nel nostro
caso le notizie più recenti da sottolineare sono due, diverse tra di loro ma
entrambe dimostrative della natura trasformistica e familistica (dal familismo
amorale di Banfield) dominante nel nostro sistema politico:
1)Contemporaneamente al lancio di
una “offensiva di disgelo a sinistra” da parte del PD, la Commissione affari
costituzionali della Camera ha approvato due modifiche alla legge elettorale :
la prima prevede l’esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione
del simbolo per un’eventuale lista rappresentativa di un gruppo parlamentare
formatosi entro il 15 aprile del 2017. Senza verifica elettorale si considera
un’operazione di palazzo come quella di una transumanza parlamentare come un
fatto politico trasposto sul piano elettorale. Si tratta di una norma “salva
MDP – articolo 1” che il PD sta tentando di far rientrare in una logica di tipo
coalizionale usando anche questa merce di scambio. Non solo, sempre promotore
il PD, sono ridotte alla metà il numero delle firme necessarie per presentare
le candidature nei singoli collegi per i
“nuovi movimenti”(750 in luogo di 1.500: altra norma comunque legata alla dimensione
dei collegi, la cui entità ancora non si conosce) : operazione di evidente
facilitazione per un’eventuale presentazione autonoma (e non unitaria con MDP:
una sorta di “piano B” del PD per cercare comunque di coprirsi a sinistra) di
“Campo Progressista”.” Campo Progressista”: un altro soggetto virtuale per ora
del tutto campato per aria che, di nuovo, dispone di una rappresentanza
parlamentare non conseguita attraverso le elezioni ma attraverso la rottura di
gruppi parlamentari eletti in altro modo .In “Campo progressista” ci sono veri
e propri specialisti in questo campo che siedono in Parlamento dai tempi di
“Rifondazione Comunista” e da quell’epoca in marcia verso i più sicuri luoghi
di conferma del laticlavio. Questi provvedimenti (delle vere e proprie
“provvidenze”) devono comunque passare
per le aule della Camera e del Senato. Naturalmente va tenuto conto che il
tutto appare coperto dai reciproci tatticismi: in caso di rifiuto dell’alleanza
dopo aver elargito facilitazioni, il PD è pronto alla campagna per il “voto
utile”, mentre dall’altra parte il solo scopo delle manfrine in atto è quello
di arrivare ad un Def approvato con il soccorso di Forza Italia e quindi di
fare la campagna elettorale all’insegna dell’incauto “connubio” tra PD e FI.
Miserie elettoralistiche su entrambi i fronti non disponendo di uno straccio di
progettualità, complessiva di visione della società e programmatica, da
presentare ad elettrici ed elettori.
2)L’altra notizia viene dalla
Sicilia in preparazione delle elezioni regionali di novembre. In questo caso il
trasformismo sta assumendo dimensioni davvero massicce. Mentre il PD (in forte difficoltà almeno
secondo i sondaggi) non riesce a compilare le liste succede che un terzo (16)
degli eletti che stavano con l’ex pci Crocetta (presidente uscente della
Regione e non ricandidato) sono passati nelle liste del candidato del centro
destra Musumeci, ex msi, portando in dote un potenziale di 76 mila preferenze.
C’è anche chi nel frattempo è passato dal centrosinistra al centrodestra,
successivamente alla lista di Orlando e adesso con Forza Italia. Trasformismo
siciliano che avviene in un quadro generale da record in Parlamento, con 524
passaggi di gruppo avvenuti nel corso della legislatura per il 35,37% dei
parlamentari in carica.
Pare non ci
sia bisogno di ulteriore commento, per entrambe le notizie.
Attenzione
però: la giusta denuncia di questo stato di cose non può risiedere all’interno
della categoria del moralismo oppure collocarsi sulla presunta ( e fasulla)
frontiera della cosiddetta “antipolitica”.
L’analisi
deve riguardare, invece, il tema dell’ autonomia del politico e della
distorsione profonda avvenuto nell’uso di questa categoria che, nella sua
accezione originaria, risulterebbe fondamentale per l’esercizio dell’azione sia
di governo, sia di rappresentanza politica. L’uso distorto dell’autonomia
deriva essenzialmente dell’assunzione della funzione politica esclusivamente
come fatto amministrativo di “gestione” del presente e quindi di questione
meramente “tattica” oltre che di marginalità utilitaristica e/o di convenienza
corporativa. L’autonomia del politico viene così destinata esclusivamente alla
“gestione del presente”.
Una gestione
mediata attraverso la personalizzazione e delegando l’appartenenza alla
presenza in “cordate” formate (
riformate) da utilizzarsi (e contrastare, facendo e disfacendo alleanze)
esclusivamente in funzione della propria presenza personale o di altri
occasionalmente legati allo stesso gruppo d’interesse nell’apparato
istituzionale.
Qualcosa di
più e di diversamente strutturato rispetto all’organizzazione di una “lobby”.
Il punto su
questa questione dirimente dell’autonomia del politico risiede quindi essenzialmente nell’assenza di
rappresentatività politica e non tanto e non solo da una espressione malsana di
volontà soggettiva o di logica – appunto – di tipo “familistico” (come pare accadere, invece, ad esempio
nell’assegnazione delle cattedre e degli incarichi universitari). Non si tratta
quindi di “questione morale” magari
risolvibile attraverso un mutamento di regole (magari toccando, per quel che
concerne il trasformismo, l’art.67 della Costituzione: un’operazione che alla
fine si risolverebbe semplicemente in una lesione di libertà) ma di un tema
squisitamente politico che concerne la costruzione collettiva della
soggettività : tanto per intenderci la tematizzazione non può che riguardare il
sistema dei partiti, la loro funzione specifica, le forme del loro rapporto di
massa, le regole di interscambio con la società, i corpi intermedi, le
espressioni delle mediazione culturale.
Infine
sarebbe opportuno rivolgere un invito ai giornali: quando trattano delle
miserie riguardanti le vicende di Pisapia e altri in relazione a presunte liste
unitarie, divisioni, personalismi: Non si tirino in ballo, per una mera
questione di dignità, le presunte
vocazioni scissioniste della sinistra e soprattutto non si citino Livorno ’21,
Palazzo Barberini, lo PSIUP, il Manifesto : quelle erano grandi questioni
politiche, addirittura di valenza epocale che richiamavano la Rivoluzione
d’Ottobre, l’appartenenza della sinistra al campo occidentale, il governo di
centro-sinistra, i carri armati di Praga. Per favore non confondiamo quegli
avvenimenti di politica vera con le miserie opportunistiche di oggi.