Gaza. Qualcosa
si muove. Ma in che verso?
di Patrizia Cecconi
Forse le fucilazioni in
diretta di dimostranti disarmati da parte degli snipers israeliani hanno mosso
la coscienza giuridica del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite
(UNHCR) perché, nonostante le manipolazioni mediatiche basate su veline
israeliane, le testimonianze documentate in diretta non lasciavano dubbi. Infatti
alcuni giorni fa i 47 membri del Consiglio si sono espressi a larga maggioranza
condannando i crimini israeliani e chiedendo l’apertura di una commissione
d’inchiesta per indagare sulle violazioni del diritto internazionale nel
contesto delle proteste di massa in Cisgiordania e lungo i confini della
Striscia di Gaza. La Risoluzione ha visto 2 voti contrari, tra cui quello degli
USA, come ovvio visto che con le sue dichiarazioni e con le sue azioni il
presidente USA si è posto non più come ipotetico arbitro ma come rivendicato
“goodfather” di Israele. Sebbene la sentenza di questa Commissione non avrà
alcun potere dirimente sull’operato futuro di Israele, così come mostrano le
esperienze passate, lo Stato imputato di crimini ha respinto la Risoluzione con
sdegno e il ministro Lieberman, uno dei falchi ancor più a destra del premier
Netanyahu, nella sua indignazione ha addirittura toccato il ridicolo chiedendo
che il suo Stato esca dal Consiglio dei diritti umani, dimenticando che non ne
fa parte e quindi non può uscirne!
Un
breve ripasso sulla struttura del Consiglio è d’obbligo per comprendere, al di
là del contingente, il senso di questo rifiuto. Dunque, il Consiglio per i
diritti umani, è stato costituito nel 2006 in sostituzione della Commissione
per i diritti umani istituita nel 1946 e più debole in quanto ad efficacia per
garantire, o tentare di garantire, il rispetto dei diritti umani nel mondo. I
membri che lo compongono sono 47, estratti a sorte nel rispetto del peso
numerico dei vari continenti. Alla sua costituzione, nel 2006, non tutti i paesi
membri dell’ONU votarono a favore, infatti USA ed Israele si dichiararono
contro. Il loro voto contrario all’istituzione di un organismo basato sui
criteri fondamentali della Dichiarazione universale dei Diritti Umani, emanata
nel 1948, pochi mesi dopo la proclamazione della nascita dello Stato di Israele,
non è certo un buon segnale, pur tuttavia è un dato storico che viene
regolarmente sottaciuto, ma che noi riteniamo sia bene tener presente. È pure
bene tener presente che aver votato contro non pone uno schermo contro la
supervisione delle eventuali violazioni in quanto questa riguarda tutti gli
stati facenti parte delle Nazioni Unite. Va pure precisato che la Risoluzione
che deriva dalla Commissione d’inchiesta autorizzata ad indagare sulle violazioni
osservate, per quanto significativa, non è vincolante in quanto non prevede
sanzioni per i paesi accusati di violazioni dei diritti umani. In realtà si
limita ad una funzione informativa dell’opinione pubblica mondiale così come
successo per la Birmania, il Congo, la Corea del Nord ed altri paesi tra cui lo
stesso Israele, più volte ma inutilmente condannato per violazione dei diritti
umani, producendo come unica risposta quella di fornire un ulteriore attacco
difensivo da parte degli Usa e dello stesso Israele con la dichiarazione
pubblica che il Consiglio dei diritti umani ha “un’ossessione patologica contro
Israele”.
Il
passaggio da oppressore ad oppresso (rispetto ai palestinesi) da parte di
Israele è ormai una costante e lo si è visto anche nei giorni scorsi a Ginevra
dove la dura accusa pronunciata dall’Alto commissario per i diritti umani ha
avuto la replica scontata della rappresentante israeliana Aviva Raz Shechter la
quale, buttandosi dietro le spalle i circa 110 morti palestinesi fucilati a freddo
al momento della sua dichiarazione, nonché gli oltre 6000 feriti compresi ben
110 giornalisti e 200 paramedici con unica funzione di osservatori i primi e di
soccorritori i secondi, ha accusato l’organismo delle Nazioni Unite di “voler
sostenere Hamas e la sua strategia terroristica”. Negando sia l’evidenza, sia
le dichiarazioni del portavoce dell’IDF (le forze armate israeliane), la
signora Shechter ha persino dichiarato che Israele ha fatto di tutto per
evitare vittime tra i civili palestinesi, il che in fondo è in linea con le
dichiarazioni del “falchi” israeliani i quali avevano dichiarato che non ci
sono civili tra i palestinesi. La conclusione quindi, nella narrazione israeliana,
risulta persino logica. Ma mentre il Consiglio dei diritti umani si esprimeva
chiedendo una commissione d’inchiesta per indagare sulle uccisioni dei
palestinesi lungo i confini della Striscia di Gaza, indagine che già nella sua
definizione ha una involontaria e macabra ironia, anche paesi non certo
ascrivibili alla categoria democratica si esprimevano contro Israele, sia per
l’uso delle armi sia, soprattutto, per il tentativo di espropriazione di
Gerusalemme al di fuori di ogni legittimità e di ogni legalità internazionale.
Il
presidente Erdogan da Istanbul, non certo paladino dei diritti umani nel suo
Paese, esprimeva una forte condanna verso Usa e Israele, in sintonia con l’OCI,
l’Organizzazione della Cooperazione Islamica i cui 57 stati membri si sono
riuniti in assemblea a Istanbul per condannare verbalmente in modo durissimo
(più di quanto fatto dalla Lega araba al Cairo) il tentativo di appropriazione
di Gerusalemme e il massacro di Gaza.
Nonostante
queste dure condanne, molti palestinesi temono che restino parole in quanto la
richiesta di ritirare tutti gli ambasciatori arabi da Washington non ha avuto
adeguata risposta. Intanto la diplomazia sta lavorando. Forse la marcia, che è
stata prolungata fino al 5 giugno, si spegnerà gradualmente grazie al
raggiungimento di alcuni compromessi tra il governo della Striscia e il Cairo
con la forte impronta anche del Qatar. Non si parla solo di apertura del valico
di Rafah, cosa che comunque toglierebbe forza alle richieste palestinesi,
lasciando intatto l’assedio israeliano. Si parla anche di miglioramenti delle
condizioni di vita dei gazawi, quali la fornitura di acqua e di elettricità e
la presa in carico da parte del Qatar degli stipendi che l’Anp ha smesso di
pagare. Tutto questo sarebbe di sicuro un miglioramento a breve della vita
all’interno della Striscia, ma sarebbe la vittoria di chi, fin dal primo
momento e in totale negazione della verità, ha attribuito ad Hamas la paternità
di quest’immensa manifestazione popolare, distorcendone il significato e, in
ultima analisi, rischiando di farne fallire l’obiettivo primario, cioè
l’applicazione della Risoluzione Onu 194 per il ritorno dei profughi e la fine
dell’assedio. Ma Gaza riserva sempre sorprese e poi, in chiusura è bene
ricordarlo, Gaza non è soltanto Hamas. Hamas è la forza politica che governa la
Striscia ma non è l’unica forza politica della Striscia. Questo la grande
marcia del ritorno l’ha abbondantemente dimostrato, nonostante i media
mainstream abbiano fatto di tutto per nasconderlo, finendo per regalare ad
Hamas la paternità di questa grande iniziativa che il partito al governo,
consapevole o meno della trappola mediatica, ha fatto propria provando a
gestirla sia all’interno sia negli accordi diplomatici che si stanno
concretizzando.