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mercoledì 19 dicembre 2018

DISARTICOLAZIONE DEL CONSENSO E DEL DISSENSO
di Franco Astengo

L. Di Maio in una elaborazione grafica
di Giuseppe Denti


Non è vero quello che scrive oggi Giovanni Belardelli in un commento apparso sul “Corriere della Sera”: “Rappresentanza in crisi. La classe dirigente tende sempre più a seguire passivamente le opinioni della maggioranza (forse soltanto quelle di chi urla di più).”.
Intendiamoci bene: non c’è nessuna maggioranza che urla, bensì un esercizio anche piuttosto rozzo ma favorito dalle circostanze storiche dell’autonomia del politico estesa fino a non contemplare più il meccanismo di adesione o di rifiuto da parte del pubblico.
Tutto questo avviene in tempi di sbandierata “democrazia diretta”, del resto principio mai disatteso come in questo momento. Anzi negato completamente proprio da chi la sta proponendo. In realtà attorno alla vicenda, non ancora conclusa, della manovra finanziaria abbiamo fin qui visto l’emergere di due fenomeni:
1) La miglior rappresentazione della “democrazia recitativa” da quando questa forma di agire politico si è imposta sulla scena per il tramite dei fenomeni emersi nel corso degli ultimi 30 anni: dalla fine cioè di quella che Scoppola aveva definito “Repubblica dei Partiti”;
2) Ci troviamo di fronte ad una vera e propria disarticolazione nelle espressioni sia di consenso, sia di dissenso portate avanti da minoranze in un quadro di complessiva passivizzazione sociale.



La passivizzazione sociale, il presentarsi di un’enorme “zona grigia” pare rappresentare il fenomeno saliente di questa fase: masse indistinte che attendono provvedimenti calati dall’alto. Questo, ad esempio, il senso del rapporto tra voto al Movimento 5 stelle e proposta del reddito di cittadinanza che ha rappresentato la vera novità in atto trasformando addirittura in un fenomeno di massa il “voto di scambio”.
Per converso gli elementi di attivizzazione sociale hanno assunto appunto la caratteristica di una reciproca disarticolazione tra il consenso e il dissenso, senza assumere mai la dimensione di una iniziativa politica.
Ne è prova di quest’affermazione la tipologia delle diverse manifestazioni organizzate su vari fronti ma tutte destinate a una “single issue”, (“madamine” e NO TAV, artigiani, Confindustria, pro migranti, anti migranti) nessuna in grado di esprimere una qualche ipotesi d’interesse generale.
Fa fede di questo stato di cose la totale assenza dall’agone del Sindacato.
La maggiore delle tre sigle confederali- la CGIL - appare impegnata quasi esclusivamente sul fronte delle proprie dinamiche interne al riguardo dell’elezione del nuovo segretario generale. Il Sindacato, un tempo il soggetto principalmente portatore di quell’interesse generale cui si è fatto cenno, è stato presente alle cronache soltanto per iniziative riguardanti momenti di sacrosanta difesa del posto di lavoro in diverse situazioni di difficoltà evidenziatesi in tutto il Paese. A questo punto diventerebbe stucchevole rimarcare l’assenza della soggettività politiche e sottolineare ancora come il luogo del massimo di passivizzazione espressa sia stato il Parlamento. Anche in questo caso, all’interno del Parlamento, la maggior forza di opposizione al governo appare del tutto ripiegata nella ricerca di nuovi equilibri interni e di conseguenza in una lotta che appare caratterizzata dalla pura dimensione del potere fine a se stesso. Ci sarebbe da rispolverare un discorso riguardante l’estensione delle contraddizioni sociali e la necessità di rivolgersi a esse per il tramite di una capacità di sintesi e proposta politica, ma anche muoversi in questa direzione apparirebbe anacronistico. Forse il nocciolo vero della questione sociale e politica di questa fase è stato colto dal filosofo Maurizio Iacono sulle colonne del “Tirreno”: si è scollato il rapporto fra conoscenza, critica e politica”.
Insomma è prioritario il nodo tanto evocato e mai affrontato della cultura politica che non si esprime in un Paese in evidente crisi.