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domenica 6 gennaio 2019

Migranti in mare
di Valentina Tatti Tonni

Valentina Tatti Tonni

Nessun accordo: ecco cosa rivela l’indice di disumanità.
Una riflessione ironica e filosofica.

La Sea Watch 3 e la Sea Eye restano in mare. Non c’è al momento un accordo serio tra Paesi della UE per far attraccare le imbarcazioni in un porto sicuro”, dopo aver passato rispettivamente due e una settimana al largo. Uomini, donne, bambini. Forse questi ultimi due potrebbero arrivare in Italia, come ha espresso di recente il Ministro del Lavoro Luigi Di Maio, trovando però tutti contrariati a partire dal suo doppio che risiede al Viminale, Matteo Salvini. Una folie à deux non concessa.
I Paesi Bassi si fanno avanti a patto che qualcun altro divida lo sforzo, mentre Malta se ne lava le mani. I negoziati dunque continuano e quello che colpisce, passate le festività natalizie in totale indifferenza tra la manovra di bilancio e l’inizio dei saldi invernali, è l’astrazione di quello che siamo diventati. Tranne rari momenti di rabbia repressa sui social, l’elettorato convinto, ignorando cosa significhi disprezzare o amare, si lascia cullare in un letargico accentramento del potere non rendendosi neanche più conto, forse, di quale forma abbia preso il proprio consenso. Una rappresentanza fatta di sterile sarcasmo manchevole persino di contegno. Una rappresentanza che resta a guardare mentre un uomo si getta in mare, disperato.
È fin dai primi anni dell’unificazione che il nostro Paese, intimorito e ossessivo, tenta di salvaguardare la propria identità da un presunto nemico che più spesso rivede nell’Altro. Tradita e impigrita l’azione, ecco che la disobbedienza civile di due Sindaci, Orlando e De Magistris, sorprende. La discussione allora si accende e si inasprisce su temi caotici e per nulla egualitari, quello che viene presentato al pubblico attraverso i media non ha neanche bisogno di essere filtrato per dimostrarsi per quello che è: inadeguato e privo di diritti. La prospettiva di Habermas fallisce sotto l’ultima confutata verità che vede nella percezione autorevole il massimo grado di emancipazione.
Le motivazioni di questo despota, le cui simili fattezze ricordano ai più gli orrori della guerra, sembrano essere stimolate da una ingombrante e spremuta emotività, distorta e non più sinergica, non più plurale, non più dinamica, semmai lo fosse stata. L’Altro con le sue differenze deve contagiare il pensiero dell’italianità e della sua rilevanza sociale: per essere salvato va distrutto come un’opera d’arte saccheggiata, violentata nello spirito. 
Non è nuova l’idea che il continente dovesse proteggersi dagli intrusi, dalle migrazioni. Ciò era già insito negli accordi ratificati nel 1985 sull’area di Schengen e ben spiegati da Stefano Galieni nel sito della sua associazione “Diritti e Frontiere”: <<[…] Già prevista nella definizione dell’UE, le merci si muovono come vogliono, i capitali anche, le persone no. Da ricordare che l’Italia sottoscrive “Schengen” nel 1990 e vi entra 7 anni dopo in cambio di un Testo Unico sull’immigrazione (legge 40 detta anche Turco Napolitano) che insieme a generiche garanzie di tutela e di investimenti sull’integrazione, definisce le procedure per il controllo delle persone irregolarmente presenti, il loro eventuale trattenimento fino al rimpatrio forzato>>. Eppure il cambiamento a lungo espresso da questi governanti si infrange nel manierismo dell’ignoranza. L’intolleranza radicale progredisce sotto i fasti di una nazione che soccombe al recupero di sé stessa.


Oggi è ancora più distante e incompreso il pensiero dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss che nel 2002 sosteneva: <<Quel che va salvato è la diversità e non il contenuto storico che ogni epoca le ha conferito e che nessuna può perpetuare. […] La diversità delle culture umane è dietro, attorno e davanti a noi. La sola esigenza che possiamo far valere nei suoi confronti è che essa si realizzi in forme ciascuna delle quali sia un contributo alla maggior generosità delle altre>>. L’ideale della tolleranza infatti elude e si infrange contro i classici e in-umanesimi prototipi di nuova democrazia, forse studiati in laboratorio e altamente sostenibili su carta, ma interdetti nelle sue forme più acute di privazione individuale.
Se è vero che l’Italia, nei fatti al momento, non ha un vero piano di accoglienza tale da garantire non solo il salvataggio e le prime e necessarie cure, ma anche una vita dignitosa alla persona (migrante), è tuttavia inconciliabile con la nostra Costituzione un comportamento atto a ledere e ad impedire a quella stessa persona di poter scegliere. Di fatto, da due settimane la Sea Watch 3 è bloccata in mezzo al mar Mediterraneo e con lei non solo le lamiere, ma anche uomini, donne, bambini. Privati di sostegno e umanità da una democrazia che abolisce i propri diritti civili. 
Il pensiero critico, così ben espresso nelle scuole di ricerca sociale e sperimentale del Novecento, non trova allora più riscontro in questa società. Poche le menti che riescono ancora, pur mancando il terreno sotto i piedi, difendere le libertà e la memoria storica, sottratta da una società chiusa e negativa che non condivide più la percezione comune della Giustizia e che preferisce manipolarla a suo uso e consumo.
Chissà quale spazio stanno assumendo i pensieri rarefatti di quelle persone (migranti) in balia delle onde da giorni, vedere la terra ferma oltre la linea blu ma non poterla toccare a causa di un indolente progetto politico. Un piano del cambiamento che si contorce su sé stesso: essendo irragionevole non accetta le critiche, superficialmente logica nella sua struttura fa tacere la nostra memoria sovvertendone il significato in una coerenza, per dirla con Hannah Arendt, che non esiste affatto nel regno della realtà.