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lunedì 25 febbraio 2019

Taccuino
ANTONELLO  
di Angelo Gaccione

Ritratto di giovane (1474)

C’è, in questa mostra che Milano dedica ad Antonello da Messina nelle Sale di Palazzo Reale fino al 2 giugno di quest’anno, un elemento che non dovrebbe essere trascurato, e che ai miei occhi riveste - per significati cultuali e appassionata dedizione - un’importanza pari ai dipinti del grande e sfortunato ritrattista. Mi riferisco al corredo con cui Giovan Battista Cavalcaselle ci guida, opera per opera, dettaglio per dettaglio, dentro la cronologia dell’artista; ai suoi sette preziosi taccuini e fogli sciolti ricchi di fitte annotazioni e di disegni, che a questa esposizione fanno da controcanto. Cavalcaselle è andato in ogni dove, spesso con difficoltà logistiche scoraggianti, per documentare, munito di matite e penne, quanto vedeva delle singole opere del pictore ceciliano, come lo connota Cicco Simonetta, segretario del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza che lo avrebbe voluto alla sua corte. Galeazzo alla corte milanese non lo avrà, e in fondo ad Antonio de Antonio (questo era il nome di Antonello) andò bene; il duca il 26 dicembre dell’anno successivo (1477), precisamente il giorno di Santo Stefano, e proprio dentro l’omonima chiesa (a me molto cara non solo perché è quasi di fianco all’Università “Statale), cadrà assassinato, vittima di una oscura congiura. Cavalcaselle alla sua acribia e rigore di studioso, unisce un’abilità straordinaria per il disegno tanto che il confronto con le figure e i singoli elementi presenti nelle tavole di Antonello, ci appare sorprendente. 


G. B. Cavalcaselle
Uno dei suoi appunti
esposti in mostra.
L’analisi accurata di queste riproduzioni, e soprattutto gli appunti di scrittura, si rivelano una preziosa miniera per la filologia e per lo stile del pittore messinese. E dunque non si ringrazierà mai abbastanza questo indefesso cultore dell’arte, e devotissimo al “non umano” pictoris. E a me è divenuto ancora più simpatico nell’apprendere che non era stato solo un grande storico dell’arte ammirato da Roberto Longhi, ma un carbonaro e rivoluzionario che aveva preso parte all’insurrezione del Lombardo-Veneto contro la dominazione austriaca, e che dovette scappare a Londra per evitare la fucilazione. Se si esclude la tela ottocentesca di Roberto Venturi raffigurante un Giovanni Bellini che spia Antonello al lavoro per carpirne i segreti (la tela proviene dalla Pinacoteca di Brera), i taccuini e fogli di Cavalcaselle e un paio di documenti quattrocenteschi conservati all’archivio di Stato di Milano, la mostra si compone di 20 opere fra tempere e oli, tutte realizzate su tavole, per lo più pioppo e noce. Ci sono stati risparmiati, per fortuna, gli eccessivi confronti, vezzo negli ultimi tempi molto diffuso (come se non sapessimo che l’arte si contamina di arte, la scrittura di scrittura, la musica di musica e via elencando), ed è con riposata misura che le dodici Sale di Palazzo Reale si offrono a noi per gustare questi gioielli, uscendone, come dev’essere, con il giusto appagato desiderio e non con la sazietà. 

Ritratto d'uomo
(detto anche Trivulzio) 1476

Le opere provengono fondamentalmente da Musei e istituzioni culturali italiani, ma c’è una suggestiva Crocifissione proveniente da Sibiu (Romania), un San Girolamo nello studio da Londra, un Ritratto di giovane da Filadelfia, una Madonna con Bambino da Washington, un altro Ritratto di giovane conservato a Berlino. I pezzi forti, quelli in cui Antonello eccelle, sono i ritratti. In queste piccole tavole comprese fra i 20 centimetri per 14 e i 37 per 29, i volti dei committenti e di coloro che hanno funto da modelli, non sono mai ripresi in posa rigidamente frontale; sono fissati con una leggera torsione del capo in modo che non vi guardino diritti negli occhi, in tralice, come diciamo noi letterati, e così lo sguardo assume una traiettoria enigmatica, carica di un sentimento ora di rimprovero, ora beffardo, a seconda dell’increspatura delle labbra. Sono figure che pur nel loro intenso realismo, nascondono una interiorità psicologica complessa e tutta da decifrare. È il loro fascino e la loro modernità, ed è per questo che continuano ad avere una presa così forte su noi contemporanei. Privi di qualsiasi orpello e ritratti nella essenzialità dei loro panni, il silenzio in cui sono fissati e gli sfondi scuri da cui si stagliano, sono tanto evocativi quanto eloquenti, e raccontano brandelli di vita che possiamo immaginare, dal momento che come tante altre forme d’arte, la pittura è racconto. 
Ecce Homo 1475

Persino il ritratto dell’Ecce Homo non guarda frontalmente in faccia i suoi fustigatori: ha lo sguardo spento e distante, il capo leggermente reclinato, le labbra atteggiate in una smorfia di commiserazione. È un Cristo umanissimo e che più terreno non si può; più che afflitto è rassegnato, indifferente alla sua sorte. Sono compresi in questa esposizione vari ritratti, fra cui il celebre Ritratto d’uomo del 1470 circa (cm. 30,5 x 26,3), quello più noto come Ritratto di ignoto marinaio dal beffardo sorriso, a cui Vincenzo Consolo dedicò un romanzo (Il sorriso dell’ignoto marinaio), e che tanto aveva indispettito Roberto Longhi. In una lettera del 1969 dava a Consolo il giusto merito del valore letterario, ma contestava con veemenza la condizione di marinaio della figura di Antonello. Consolo teneva incorniciato sulla parete della sua abitazione di Milano un’acquaforte del ritratto antonelliano realizzata da Renato Guttuso e tirata in una cartella di 150 esemplari, di cui andava fierissimo, assieme ad un disegno di Pasolini. Ogni volta che mi recavo da lui si finiva per parlare di quella acquaforte. Che ne andasse fiero era più che legittimo, dal momento che Consolo era nato a Sant’Agata di Militello, comune del messinese, come messinese era Antonello. 

Ritratto d'uomo 1470 circa
(detto anche di ignoto marinaio)


Nella ritrattistica tardo-umanistica questo ritratto di Antonello, che sia o no un marinaio, segna un vero e proprio spartiacque. Le sue fattezze, così come il suo incarnato ed il suo ironico sorriso, celebrano quella mediterraneità tutta meridionale, realistica e filosoficamente scettica, che in pittura rimarrà ineguagliata. Ma l'icona, a livello di immaginario collettivo, resta l’Annunciata, la celeberrima tempera e olio su tavola di 45 x 34,5 centimetri realizzata tra il 1475 e il 1476 e custodita nella Galleria di Palazzo Abatellis di Palermo. Da tempo sognavo di vederla dal vero. 

Annunciata 1475-1476

Davanti ad un dipinto così spoglio nella sua semplicità, tutta la tradizione figurativa “madonnara” ci appare di colpo insopportabile. È così familiare, domestica e priva di simboli, la scena; così imperturbata la figura...  
Nessun afflato mistico, nessun rapimento estatico. Ci troviamo davanti ad una giovane donna dalla bellezza tipicamente mediterranea, avvolta in un semplice e leggero velo azzurro che le cinge il capo, intenta a leggere su un leggio posato su un tavolo un po’ tarlato, forse un passo del Vangelo. Non è colpita da alcuna luce soprannaturale, non c’è alcun Angelo, ed è il suo primo piano a riempire tutto lo spazio. Non  avvertiamo alcuna presenza dello Spirito Santo in questa Annunciazione così essenziale. È il suo sguardo leggermente reclinato a dirci di una possibile presenza, ed è il lieve gesto della mano a contenere qualcosa che si muove. Il gesto è di chi intende ristabilire il silenzio, per un raccoglimento che è stato improvvidamente turbato. La perfezione del capolavoro di Antonello consiste proprio nella sobrietà assoluta con cui è risolto, e dall’alone di partecipata terrena purezza, che pare spirare dal raccolto silenzio della Vergine. 

Antonello - Jacobello
Madonna col Bambino  1480

Quella che nel percorso espositivo è contrassegnata come ventesima e ultima opera, è una Madonna col Bambino del 1480. Non è però tutta fattura di Antonello morto nel febbraio dell’anno prima; a completarla sarà il figlio Jacobello anche se da questi attribuita interamente al defunto genitore. Con sentimento di amorevole rispetto, Jacobello metterà una scritta in latino che così recita: non humani pictoris me fecit. Una singolare anticipazione per anni più tardi quando il Vasari userà per Raffaello il medesimo concetto di sovrumano, di divino. Al pari di Michelangelo e Leonardo, anche loro “pittori non umani”.


 
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Antonello da Messina
Palazzo Reale di Milano
21 febbraio- 2 giugno 2019
Curatore della mostra: Carlo Federico Villa