ANTONELLO
di Angelo Gaccione
Ritratto di giovane (1474) |
C’è,
in questa mostra che Milano dedica ad Antonello da Messina nelle Sale di
Palazzo Reale fino al 2 giugno di quest’anno, un elemento che non dovrebbe
essere trascurato, e che ai miei occhi riveste - per significati cultuali e
appassionata dedizione - un’importanza pari ai dipinti del grande e sfortunato
ritrattista. Mi riferisco al corredo con cui Giovan Battista Cavalcaselle ci
guida, opera per opera, dettaglio per dettaglio, dentro la cronologia dell’artista;
ai suoi sette preziosi taccuini e fogli sciolti ricchi di fitte annotazioni e
di disegni, che a questa esposizione fanno da controcanto. Cavalcaselle è
andato in ogni dove, spesso con difficoltà logistiche scoraggianti, per
documentare, munito di matite e penne, quanto vedeva delle singole opere del pictore ceciliano, come lo connota Cicco
Simonetta, segretario del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza che lo avrebbe
voluto alla sua corte. Galeazzo alla corte milanese non lo avrà, e in fondo ad
Antonio de Antonio (questo era il nome di Antonello) andò bene; il duca il 26
dicembre dell’anno successivo (1477), precisamente il giorno di Santo Stefano,
e proprio dentro l’omonima chiesa (a me molto cara non solo perché è quasi di
fianco all’Università “Statale”), cadrà assassinato, vittima di una oscura
congiura. Cavalcaselle alla sua acribia e rigore di studioso, unisce un’abilità
straordinaria per il disegno tanto che il confronto con le figure e i singoli
elementi presenti nelle tavole di Antonello, ci appare sorprendente.
G. B. Cavalcaselle Uno dei suoi appunti esposti in mostra. |
L’analisi
accurata di queste riproduzioni, e soprattutto gli appunti di scrittura, si
rivelano una preziosa miniera per la filologia e per lo stile del pittore
messinese. E dunque non si ringrazierà mai abbastanza questo indefesso cultore
dell’arte, e devotissimo al “non umano” pictoris.
E a me è divenuto ancora più simpatico nell’apprendere che non era stato solo
un grande storico dell’arte ammirato da Roberto Longhi, ma un carbonaro e
rivoluzionario che aveva preso parte all’insurrezione del Lombardo-Veneto
contro la dominazione austriaca, e che dovette scappare a Londra per evitare la
fucilazione. Se si esclude la tela ottocentesca di Roberto Venturi raffigurante
un Giovanni Bellini che spia Antonello al lavoro per carpirne i segreti (la
tela proviene dalla Pinacoteca di Brera), i taccuini e fogli di Cavalcaselle e
un paio di documenti quattrocenteschi conservati all’archivio di Stato di
Milano, la mostra si compone di 20 opere fra tempere e oli, tutte realizzate su
tavole, per lo più pioppo e noce. Ci sono stati risparmiati, per fortuna, gli
eccessivi confronti, vezzo negli ultimi tempi molto diffuso (come se non
sapessimo che l’arte si contamina di arte, la scrittura di scrittura, la musica
di musica e via elencando), ed è con riposata misura che le dodici
Sale di Palazzo Reale si offrono a noi per gustare questi gioielli, uscendone,
come dev’essere, con il giusto appagato desiderio e non con la sazietà.
Ritratto d'uomo (detto anche Trivulzio) 1476 |
Le
opere provengono fondamentalmente da Musei e istituzioni culturali italiani, ma
c’è una suggestiva Crocifissione
proveniente da Sibiu (Romania), un San
Girolamo nello studio da Londra, un Ritratto
di giovane da Filadelfia, una Madonna
con Bambino da Washington, un altro Ritratto
di giovane conservato a Berlino. I pezzi forti, quelli in cui Antonello
eccelle, sono i ritratti. In queste piccole tavole comprese fra i 20 centimetri
per 14 e i 37 per 29, i volti dei committenti e di coloro che hanno funto da
modelli, non sono mai ripresi in posa rigidamente frontale; sono fissati con
una leggera torsione del capo in modo che non vi guardino diritti negli occhi,
in tralice, come diciamo noi letterati, e così lo sguardo assume una
traiettoria enigmatica, carica di un sentimento ora di rimprovero, ora beffardo,
a seconda dell’increspatura delle labbra. Sono figure che pur nel loro intenso
realismo, nascondono una interiorità psicologica complessa e tutta da
decifrare. È il loro fascino e la loro modernità, ed è per questo che
continuano ad avere una presa così forte su noi contemporanei. Privi di
qualsiasi orpello e ritratti nella essenzialità dei loro panni, il silenzio in
cui sono fissati e gli sfondi scuri da cui si stagliano, sono tanto evocativi
quanto eloquenti, e raccontano brandelli di vita che possiamo immaginare, dal
momento che come tante altre forme d’arte, la pittura è racconto.
Ecce Homo 1475 |
Persino il
ritratto dell’Ecce Homo non guarda
frontalmente in faccia i suoi fustigatori: ha lo sguardo spento e distante, il
capo leggermente reclinato, le labbra atteggiate in una smorfia di
commiserazione. È un Cristo umanissimo e che più terreno non si può; più che
afflitto è rassegnato, indifferente alla sua sorte. Sono
compresi in questa esposizione vari ritratti, fra cui il celebre Ritratto d’uomo del 1470 circa (cm. 30,5 x 26,3),
quello più noto come Ritratto di ignoto
marinaio dal beffardo sorriso, a cui Vincenzo Consolo dedicò un romanzo (Il sorriso dell’ignoto marinaio), e che
tanto aveva indispettito Roberto Longhi. In una lettera del 1969 dava a Consolo
il giusto merito del valore letterario, ma contestava con veemenza la
condizione di marinaio della figura di Antonello. Consolo teneva incorniciato
sulla parete della sua abitazione di Milano un’acquaforte del ritratto
antonelliano realizzata da Renato Guttuso e tirata in una cartella di 150
esemplari, di cui andava fierissimo, assieme ad un disegno di Pasolini. Ogni
volta che mi recavo da lui si finiva per parlare di quella acquaforte. Che ne
andasse fiero era più che legittimo, dal momento che Consolo era nato a
Sant’Agata di Militello, comune del messinese, come messinese era Antonello.
Ritratto d'uomo 1470 circa (detto anche di ignoto marinaio) |
Nella ritrattistica tardo-umanistica questo ritratto di Antonello, che sia o no
un marinaio, segna un vero e proprio spartiacque. Le sue fattezze, così come il
suo incarnato ed il suo ironico sorriso, celebrano quella mediterraneità tutta
meridionale, realistica e filosoficamente scettica, che in pittura rimarrà ineguagliata.
Ma l'icona, a livello di immaginario collettivo, resta l’Annunciata, la
celeberrima tempera e olio su tavola di 45 x 34,5 centimetri realizzata tra il
1475 e il 1476 e custodita nella Galleria di Palazzo Abatellis di Palermo. Da tempo sognavo di vederla dal vero.
Annunciata 1475-1476 |
Davanti ad un dipinto così spoglio
nella sua semplicità, tutta la tradizione figurativa “madonnara” ci appare di
colpo insopportabile. È così familiare, domestica e priva di simboli, la scena; così imperturbata la figura...
Nessun afflato mistico, nessun rapimento estatico. Ci troviamo davanti ad una giovane donna dalla bellezza tipicamente mediterranea, avvolta in un semplice e leggero velo azzurro che le cinge il capo, intenta a leggere su un leggio posato su un tavolo un po’ tarlato, forse un passo del Vangelo. Non è colpita da alcuna luce soprannaturale, non c’è alcun Angelo, ed è il suo primo piano a riempire tutto lo spazio. Non avvertiamo alcuna presenza dello Spirito Santo in questa Annunciazione così essenziale. È il suo sguardo leggermente reclinato a dirci di una possibile presenza, ed è il lieve gesto della mano a contenere qualcosa che si muove. Il gesto è di chi intende ristabilire il silenzio, per un raccoglimento che è stato improvvidamente turbato. La perfezione del capolavoro di Antonello consiste proprio nella sobrietà assoluta con cui è risolto, e dall’alone di partecipata terrena purezza, che pare spirare dal raccolto silenzio della Vergine.
Nessun afflato mistico, nessun rapimento estatico. Ci troviamo davanti ad una giovane donna dalla bellezza tipicamente mediterranea, avvolta in un semplice e leggero velo azzurro che le cinge il capo, intenta a leggere su un leggio posato su un tavolo un po’ tarlato, forse un passo del Vangelo. Non è colpita da alcuna luce soprannaturale, non c’è alcun Angelo, ed è il suo primo piano a riempire tutto lo spazio. Non avvertiamo alcuna presenza dello Spirito Santo in questa Annunciazione così essenziale. È il suo sguardo leggermente reclinato a dirci di una possibile presenza, ed è il lieve gesto della mano a contenere qualcosa che si muove. Il gesto è di chi intende ristabilire il silenzio, per un raccoglimento che è stato improvvidamente turbato. La perfezione del capolavoro di Antonello consiste proprio nella sobrietà assoluta con cui è risolto, e dall’alone di partecipata terrena purezza, che pare spirare dal raccolto silenzio della Vergine.
Antonello - Jacobello Madonna col Bambino 1480 |
Quella che nel percorso espositivo è contrassegnata
come ventesima e ultima opera, è una Madonna
col Bambino del 1480. Non è però tutta fattura di Antonello morto nel
febbraio dell’anno prima; a completarla sarà il figlio Jacobello anche se da
questi attribuita interamente al defunto genitore. Con sentimento di amorevole
rispetto, Jacobello metterà una scritta in latino che così recita: non humani pictoris me fecit. Una
singolare anticipazione per anni più tardi quando il Vasari userà per Raffaello il medesimo concetto di
sovrumano, di divino. Al pari di Michelangelo e Leonardo, anche loro “pittori non umani”.
***
Antonello da
Messina
Palazzo Reale di
Milano
21 febbraio- 2
giugno 2019
Curatore della mostra: Carlo
Federico Villa