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venerdì 28 giugno 2019

Taccuino
PAVESE E VACCANEO
Un destino incrociato
di Angelo Gaccione

L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale.
Il ricordo che porta e il ricordo che lascia
Cesare Pavese

Franco Vaccaneo a destra
con Gaccione a Santo Stefano Belbo

L’invidia è un sentimento che mi è estraneo: che senso ha invidiare ad altri qualità che non si possiedono? Quanto alla ricchezza ed agli “averi”, so da dove nascono e come nascono, e quanto dolore hanno causato lungo la loro strada, perciò mi tengo stretta la mia dignitosa povertà. Dietro ogni grande fortuna c’è il delitto, non l’ho scritto io, lo ha scritto Balzac. E tuttavia mi è capitato, raramente ma mi è capitato, di provare una gioiosa commovente invidia, davanti alla devozione, all’attaccamento, alla preziosa custodia della memoria e della loro opera da parte di alcuni uomini verso altri uomini. Credo non si possa desiderare niente di meglio dal destino. Per uno scrittore, poi, una tale fortuna ha del miracoloso. Questa lunga digressione per raccontarvi di un legame di fedeltà potente e totale che da oltre quarant’anni Franco Vaccaneo, bibliotecario, saggista e intellettuale di Santo Stefano Belbo, ha intrecciato con il suo più illustre concittadino: lo scrittore e poeta Cesare Pavese. Praticamente da quando era poco più che un ragazzo. In tutto questo ampio arco di tempo, Vaccaneo è diventato il più tenace messaggero del poeta: ha portato Pavese in mezzo mondo con convegni, mostre, scambi culturali di ogni sorta; ha contribuito in mondo risolutivo alla costituzione del Centro Studi prima e della Fondazione pavesiana dopo; ha istituito festival, giornate di studi, corsi universitari estivi, ha preso contatti con pittori, scultori, letterati, registi, attori, teatranti, fotografi, critici, studiosi; ha riordinato la nuova Biblioteca nel centro storico dopo la rovinosa alluvione del Belbo nel 1994; ha tenuto costanti rapporti con i familiari del poeta, soprattutto con la sorella Maria, riuscendo ad ottenerne foto, oggetti, documenti, libri appartenuti allo scrittore, fra cui la copia personale dei Dialoghi con Leucò sul cui frontespizio Pavese scrisse il famoso messaggio finale “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono…”, prima di togliersi la vita a solo 42 anni, in una giornata di fine agosto del 1950 in una stanza dell’Albergo Roma di Torino. 


Ha cercato gli amici di Pavese e a loro si è legato di amicizia: in particolare con il costruttore di bigonce Pinolo Scaglione che il narratore ha immortalato nel personaggio di Nuto ne La luna e i falò, con il conte Carlo Grillo (il personaggio di Poli descritto ne Il diavolo sulle colline) ricevendo da tutti loro consigli, confidenze, materiali preziosi. Ha introdotto o scritto libri (a parte questo recentissimo, ricco e documentatissimo dal titolo Cesare Pavese e gli altri, Priuli & Verlucca Editori, voglio ricordare il più volte ristampato Cesare Pavese. La vita, le opere, i luoghi, Gribaudo Editore, che è un prezioso volume stracolmo di foto), ma soprattutto si deve a lui, a Franco Vaccaneo, se il 7 settembre del 2002 i resti del poeta dal cimitero di Torino, dove erano rimasti per oltre mezzo secolo, sono stati trasferiti in quello minuscolo di Santo Stefano Belbo, ritornando nel luogo di nascita, a quei “quattro tetti” che Pavese aveva sempre amato, e da cui aveva attinto la materia viva della sua creatività. Tornava dove era nato, Pavese, nel luogo della sua spensierata adolescenza, dove in piazza della Confraternita ci sono la chiesa dei santi Giacomo e Cristoforo dove fu battezzato, la Biblioteca e la sede della Fondazione dove ho dormito in compagnia dei suoi libri, della sua pipa, della sua stilografica. Dove più in là del cimitero c’è la casa paterna, ora visitabile grazie all’amore che gli portano due meravigliose volontarie: Rosetta Molinaris e Maria Vola tanto disponibili e gentili con me, e tanto legate alla sua memoria e alla loro comune terra. 


Tornava dove Franco Vaccaneo ha voluto che tornasse, ai piedi delle loro dolci colline, del loro Belbo, dei loro vigneti, dell’Albergo dell’Angelo sede dei suoi soggiorni santostefanesi: in verità si chiamava Albergo delle Poste, ed oggi è divenuto più prosaicamente un banale Bar Sport. Tornava dove i loro destini si sono incontrati tanti anni fa e si sono fusi. E davvero mi chiedo che ne sarebbe stato di Vaccaneo, di Pavese, di Santo Stefano Belbo, se questo incontro fatato non fosse avvenuto. Se Franco non avesse deciso di restare qui, nella terra degli avi e dei familiari che riposano proprio di fronte alla tomba di Pavese. 

La lapide sulla casa natale

Mi chiedo quale e quanta straordinaria ricchezza avremmo irrimediabilmente perduto, quanta umanità, quanto patrimonio intellettuale. E allora doppiamente grazie, caro Franco, grazie per quanto hai fatto per Pavese, grazie per quanto hai fatto per tutti noi e per quelli che verranno.  

La tomba di Pavese