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lunedì 22 luglio 2019

Taccuino
MONLUÈ
di Angelo Gaccione

L'abbazia di Monluè

Ho sempre immaginato che le abbazie disseminate lungo quelle ampie distese e quelle pianure scarsamente abitate ricche di campi un tempo poco coltivati, con i loro campanili in cotto svettanti verso il cielo, fungessero da veri e propri segnali visivi, da mappe, da tracce di orientamento per viandanti e pellegrini. In lontananza li si sarebbe potuti vedere ergersi da un terreno piatto come una placida, immobile, distesa marina, e stagliarsi sullo sfondo azzurro estivo, o schermati da un velo di nebbia ai primi umori autunnali. Proprio così mi sono immaginato spesso la fuga da Milano di Renzo Tramaglino dopo l’assalto ai forni, per sfuggire alla cattura e riparare in quel di Bergamo: una serie di campanili di abbazie che lo hanno guidato, che lo hanno condotto. Ancora oggi da Città Alta, dalla parte che guarda sul fondovalle, se la giornata e limpida e sgombra, è possibile scorgere all’orizzonte il profilo dei grattacieli di Milano, i suoi campanili, la sua “foresta” verticale. E così mi sono sempre immaginato quella meraviglia che è l’abbazia di Chiaravalle con il suo imponente campanile che emergendo improvviso dava conforto e rassicurava lo sguardo al suo apparire. Così l’abbazia di Morimondo col suo minuscolo borgo protetto tra le mura, così quella di Viboldone, così quella di San Lorenzo in Monluè, dove non ero più stato da anni, e dove sono ritornato in un pomeriggio di luglio vinto da un ineffabile, strano, malinconico, doloroso sentimento di affetto. 

L'antico borgo

Monluè, detto Mons luparium, era stato per secoli un armonico, minuscolo, fertilissimo, autosufficiente borgo agricolo fondato nel lontano 1267 da mercanti e religiosi Umiliati, in quella parte di campagna che l’urbanizzazione selvaggia ha successivamente inglobato, e poi schiacciato, tra un fianco della via Mecenate, la Tangenziale Est, la via Fantoli che ha aperto un varco per raggiungere il paesino di Linate costeggiando una dorsale della pista dell’Aeroporto Forlanini e le acque inquinate del Lambro. Non lontano da qui, nel quartiere chiamato appunto Ponte Lambro, c’è tuttora una Via degli Umiliati a ricordo della loro presenza e della loro intraprendenza di frati agricoltori e mercanti, prima che Carlo Borromeo secoli più tardi ne scioglierà l’ordine e ne incamererà i beni. All’epoca il Lambro doveva essere limpido e le sue acque benedette per le varie attività del borgo, fra cui la tessitura della lana ed il funzionamento del mulino. Per fortuna la Seconda guerra mondiale lo ha risparmiato: gli stabilimenti di produzione aeronautica della Caproni in zona, avrebbero potuto far sorgere qualche malsano pensiero. Io questa zona ho potuto vederla ancora nel suo pieno vigore, con le tante piccole industrie, la Montecatini, la Fabbri editore e poi la Bompiani, la Sip, le case per i lavoratori. Nelle sere d’estate non c’era ancora l’illuminazione lungo i campi che portavano a Monluè, e per le coppiette di innamorati era una gioia. Non si sentiva parlare di maniaci e di violentatori, e l’incoscienza giovanile e la baldanza facevano il resto. 


Io quel campanile così ardito l’ho amato subito, come le sue cascine disposte a corte, il parco circostante, le casette a un solo piano con l’orto o un piccolo giardino attorno, l’odore dello stallatico, alcuni vecchi mestieri che resistevano, l’Antica Trattoria Monluè che risale al 1450, per me la più romantica di Milano, assieme all’Antica Trattoria Bagutto che era quasi attaccata all’ospedale “Le Quattro Marie” (ora Centro Cardiologico Monzino) col suo enorme camino, fantastico d’inverno. E poi il pioppo secolare nel centro della corte che gareggiava in verticale con il campanile di San Lorenzo, il bell’edificio scolastico cinto di prati, le stradine che percorrevamo al sicuro con biciclette improbabili. L’arrivo della Tangenziale ne ha decretato l’agonia. Ha tagliato in mezzo il borgo, ha reso triste e disperato l’edificio scolastico, ha lasciato l’abbazia come sospesa in un limbo, nascosta dalle barriere in plexiglass anti-rumori che tuttavia continuano con il loro sottofondo fastidioso e ossessivo, assalita com’è da un traffico inarrestabile e perenne, oppressa dal rombo di auto, camion, tir, se già non bastasse quello minaccioso degli aerei della vicina pista di Linate. E pensare che questo borgo con la sua abbazia era simbolo di laboriosità e di raccoglimento; di meditazione e di preghiera; di acque che fluivano quiete, di piante che stormivano, di suoni di campane, di dolci cinguettii di volatili. 

La corte con le cascine

Lo sviluppo ha cancellato tutto questo, ha mortificato gli orti, fatto decadere le attività, disperso gli abitanti. Non ci sono ora più di venti residenti, mi dice suor Gabriella, in questo complesso rurale. Parti delle strutture, scuola compresa, sono occupate da associazioni che si occupano di accoglienza per stranieri, di protezione per richiedenti asilo. Per Salvatore, anziano pensionato di Acerra che si prende cura di un ordinatissimo e lussureggiante orto e che mi ha regalato un cespo di basilico, i residenti non arrivano a quindici. Ci vive dal 1974 e per lui qui è come un angolo di paradiso. Decentrato com’è, dovete arrivarci per espressa volontà: ora è più noto ai milanesi per l’Antica Trattoria e per le sue prelibatezze culinarie, più che per l’abbazia. Chi viene da queste parti ci viene per gli Studi Rai e televisivi, per gli show room degli stilisti, per i locali alla moda. La via Mecenate è in parte sfigurata: i vecchi stabilimenti, anche quelli bassi e dai tetti spioventi a mattoni che erano una preziosa archeologia industriale, sono stati fatti alterare e sono divenuti irriconoscibili. 

Il pioppo secolare al centro della corte

Manomissioni ed azzardi si susseguono senza sosta. Da parte sua l’abbazia è tenuta male; agli antichi fasti è subentrata un’aria dimessa e di provvisorietà. Vi ho avvertito come una sinecura e ritornarvi mi ha fatto male, me ne sono tornato più triste e più deluso. È un oltraggio alla memoria e alla bellezza la marginalità a cui è stata ridotta e temo che ben poco venga fatto anche dal circuito dei beni culturali. La lastra marmorea murata all’interno con la scritta che rivela i restauri del tempio “dagli Umigliati nel 1267 fatto sede della parrocchia nel 1584 alla prima forma restituita… onde sia più augusto e caro…” suona come una beffa. Col tempo le sue condizioni sono destinate a peggiorare, e se non si interverrà con sollecitudine, la città tutta sarà responsabile di un tale disinvolto abbandono. È immorale che noi posteri non sappiano preservare e custodire, i tesori che le generazioni precedenti ci hanno così splendidamente consegnati.

ALBUM


Foto 1


Il campanile

La lapide interna all'abbazia

Particolare delle cascine


L'Antica Trattoria vista da fuori

Scorcio dell'Antica Trattoria

Grigliata alle Cascine Monluè