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martedì 13 agosto 2019

INTORNO A LINGUA MATER DI ANGELO GACCIONE


Amici e personalità del mondo letterario da me stimate, poeti e letterati (ma non solo), hanno scritto della mia raccolta poetica in lingua dialettale Lingua mater su alcuni organi di stampa, o mi hanno fatto, con delicata sensibilità, pervenire per posta o via email le loro opinioni. Sono ovviamente grato a tutti loro. Ho deciso di pubblicare queste valutazioni come una sorta di ringraziamento collettivo e per l’affetto e l’ammirazione che io nutro verso di loro. [A.G.]

Gaccione a Montichiari
luglio 2019

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Scritti tra il 4 e il 10 luglio del 2017, i 30 testi che compongono Lingua Mater, hanno voluto prepotentemente uscire dalla penna dell’autore, in dialetto. “Nella lingua che avevo usato per tutta la vita solo parlata” come dice Gaccione. Scrive Dante Maffìa nella sua introduzione al libro: “Non c’è una sola composizione che soffra di astrazione, tutte sono dense, anzi direi pregne, di un calore e di una coralità che, senza straripare in ripiegamenti nostalgici, trova il modo diretto di affabulare, fare sentire la necessità che lo ha spinto a cercare la lingua madre”. Una pulsione urgente, arrivata tardi, ma indilazionabile.
(Bonifacio Vincenzi, editore e poeta, da una nota apparsa su “Odissea” venerdì 19 ottobre 2018)

Bonifacio Vincenzi

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Carissimo Angelo,

Ho aperto il ‘Lingua Mater’ (...) L’esperimento, da come ho potuto notare, è riuscito alla perfezione, tanto che io ho avvertito più sensazioni e brividi particolari nel leggere la versione dialettale che quella in lingua. Impeccabile, bellissima ed azzeccatissima nelle sue annotazioni ed esplicazioni storiche e filologiche, l’autorevolissima Premessa del Maffia. Complimenti vivissimi, caro Angelo, e ad maiora.
(Nicolino Longo, poeta, 3 novembre 2018). San Nicola Arcella


Nicolino Longo

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Caro Angelo,

credo che il carattere più vistoso della tua raccolta sia la capacità comunicativa che si traduce in souplesse sempre in progress, capace di incuriosire e di coinvolgere di volta in volta l’“umano” e le sue aspettative. Sempre notevole la capacità espressiva, laddove l'oralità, fatta salva dal significante, privilegia il significato per quello che giustamente merita. L'approccio “critico” alla realtà, privata e collettiva, non radicalizza mai il discorso, ma si affida all'acribia antagonista e realista in grado di oggettivarlo in direzione di una possibile “verità”. Credo che questa concretezza sia la costante del tuo lavoro, in uno con il dettato asciutto e luminoso che mi ricorda il miglior Scotellaro. A questi risultati guardo con sincera ammirazione.
Leopoldo 
(Leopoldo Attolico, poeta, 6 Novembre 2018) Roma

Leopoldo Attolico

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Caro Angelo,

Davvero interessante la tua “avventura” dialettale: sono versi in cui circola il respiro (non benevolo) del fato e in cui il dialetto conferisce alla scrittura un di più di antico e di amaramente saggio. Bene! È un esperimento che merita di essere continuato.
Un saluto cordiale da Tiziano
(Tiziano Rossi, poeta, 13- 11- 2018) Milano

Tiziano Rossi

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Caro Angelo,

sto leggendo con delizia il tuo “Lingua Mater”. Belli i suoni, l’accostamento della durezza delle consonanti, e il latino non è poi tanto lontano.
(Claudia Azzola, poetessa e saggista, 14 novembre 2018) Milano

Claudia Azzola

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Sono i segni della meglio gioventù...
(Guido Oldani, poeta, 16 novembre 2018) Melegnano

Guido Oldani

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Caro Angelo, 

la tua vulcanica attività mi sgomenta! Sei una forza della natura malgrado disgrazie e acciacchi.
Non devi scusarti per il dialetto! Ogni nuova opera è benvenuta!
(Donatella Bisutti, novembre 2018) Milano

Donatella Bisutti

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Caro Gaccione

Sto leggendo le sue poesie... che si interrogano sulla lingua, se sappia catturare bene il dolore... e con quell’ira sacrosanta gridata contro l’uomo che ha rovinato tutto, a differenza dell’innocente natura che nulla ha violato ... e quel volere essere o un albero o una madre, se non fosse quello che lei è... si sente un forte sentire... che mi tocca... vado avanti con piacere, anche se non è la parola giusta questa, perché in lei si avverte una sottesa corda civile di protesta che a volte mi rammenta quella del Leopardi del contrasto Natura/Storia ... a presto
Roberto Pazzi (Scrittore e poeta, 18 novembre 2018) Ferrara

Bella la poesia del gatto... sapevo anche io che quando i gatti si fregano dietro l’orecchio vuol dire che farà brutto tempo... una sola osservazione... non avrei usato “volto” per il gatto ma “muso”, forse lei lo ha fatto perché aveva già usato “faccia” e non trovava un sinonimo... mi permetto di segnalarglielo io... posso?

“Dov’è? Che fine ha fatto/ quell’ombra meridiana” ... bellissima, la lirica che più mi ha toccato ...

Bella anche quella del biondo che era nero... saggio, che aveva un proverbio per ogni cosa... mai mossosi da casa eppure sembrava che il mondo lo avesse girato tutto... e anche quella successiva sui giovani morti che ha un retrogusto di Spoon River.
Le sue poesie sulla madre e sul padre, in specie quella dedicata a quest’ultimo, con quel lamento del mestiere che nessuno vuole più imparare, mi hanno davvero commosso. Bravo, Gaccione, una bella raccolta davvero. Un caro saluto
Roberto Pazzi

Roberto Pazzi

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Caro Angelo

ho letto il testo con interesse profondo e con in più l’emozione di ricordare l’incontro in Porta Romana (che pure tu rammenti) durante il quale ho avuto  il privilegio e l’onore di poter ascoltare e gustare in anteprima  dalla tua viva voce, la appassionata, illuminante e coinvolgente illustrazione di “Lingua Mater”. Grazie Angelo (ho molto apprezzato anche la magnifica e autorevole introduzione - sapiente, incisiva… e coraggiosa - di Dante Maffia)
Affettuosamente, Fabiano                                                                                    (Fabiano Braccini, poeta e fotografo, 27 novembre 2018) Milano

Fabiano Braccini

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(…) Sono immagini vivide e forti quelle che si riscontrano in Lingua Mater, la nuova silloge di poesie in dialetto acrese con traduzione a fronte in italiano che lo scrittore e drammaturgo Angelo Gaccione ha dato alle stampe per la casa editrice Macabor, introdotta da un acuto testo di Dante Maffìa.          
(Federico Migliorati, giornalista e poeta, dalla recensione apparsa su  
“Il Gazzettino Nuovo” di Mantova, giovedì 29 novembre 2018)                                                                                                                                                   
Federico Migliorati
                         
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La fine del dialetto coincide con quello della propria mamma. Tutto si compie, si sfa a brandelli, ogni cosa si trasforma in nulla e non restano parole, ma il silenzio di generazioni nella raccolta Lingua mater di Angelo Gaccione. Facendo uso del carnale e fragrante vernacolo di Acri, l’autore visita come in un sogno i luoghi dell’infanzia, senza trovare più la casa materna. Solo migranti più disperati di lui”
(Franco Manzoni, poeta,
Corriere della Sera –La Lettura 16 Dicembre 2018) Milano

Franco Manzoni

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Caro Angelo,

ho letto le tue poesie, che sono state una piacevole sorpresa, scritte nel tuo dialetto acrese che ho cercato di leggere e pronunciare con qualche difficoltà, ma io sono comunque un sostenitore della cosiddetta poesia dialettale, che è poesia a tutto tondo, allo stesso modo della poesia non dialettale... anzi nel tuo caso come in quello di tanti altri è la poesia dell'anima e del cuore più profondi... io ho un mio caro e grande amico, Gianni Zambianchi, che scrive splendide poesie in dialetto piacentino - ma lui preferisce giustamente dire lingua piacentina... (...) un saluto affettuoso e grazie per le emozioni e per il calore procuratimi dalle tue poesie, Franco                                     
(Franco Toscani, saggista e filosofo, 6 dicembre 2018) Piacenza

Franco Toscani

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Caro Angelo,

mi sono piaciute le tue poesie, in particolare quando evocano la natura, la donna e il tempo: “S’u ffussi nn’omu /vodìssa esser n’arburu /”; “In chissa notti funna, / vasta cumi d’uocchi tua”, “È smessu e avìri desideriji”/ “Eccu cum’a giovendù è morta”. In dialetto i versi acquistano la massima autenticità. Quando sarà possibile (abbiamo già un programma) vorrei invitarti alla Casa della Poesia. Tomaso                                                                       
(Tomaso Kemeny, poeta, lunedì 3 dicembre 2018). Milano

Tomaso Kemeny

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Caro Angelo,

belle le tue poesie.
(Mario Capanna, saggista, dicembre 2018) Umbria

Mario Capanna

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Densa, scabra, questa lingua mater di Angelo Gaccione; chiusa nel suono cupo delle u, nell’asprezza dei gruppi consonantici, di cui, pure, solo in modo approssimativo la parola scritta riesce a rendere la musicalità originaria, come bene spiega l’autore nella sua Ouverture. Una lingua carica di echi ancestrali, che la traduzione in lingua italiana, opportunamente collocata accanto al testo in acrese, sa in larga misura conservare. Ed ecco allora prendere forma immagini archetipiche: il lume, la notte, la casa, gli avi, la madre, il pane; soprattutto, il dolore, onnipresente, quasi la quintessenza stessa, il fondamento, immutabile, di tutte le cose. Una lingua, tuttavia, che nella penna di Gaccione si mostra duttile, capace di esprimere le proprie potenzialità fino a misurarsi con luoghi, tempi, situazioni che sembrerebbero non appartenerle, pur senza mai perdere il legame con le proprie radici e il loro humus mitologico (piove col sole, la volpe si marita): come nella poesia, bellissima, che chiude la raccolta, dove un presente senza speranza si dispiega sotto i nostri occhi nella forma di una sequela di gesti frivoli senza spessore.
(Luca Marchesini, drammaturgo, domenica 23 dicembre 2018). Milano

Luca Marchesini

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Lingua Mater è una metafora all’interno di un linguaggio che diventa vocabolario della propria vita. L’ultimo testo di Angelo Gaccione si sofferma su un viaggio a ritroso. Quel viaggio proustiano in cui ogni sapore, colore, ogni piccolo ricordo portano un segno tangibile di una rimembranza leopardiana che custodisce al suo interno la visione della madre. Madre come paese. Un legame tra madre e paese che trova la sua sublimazione nella lingua, ovvero nel dialetto. Angelo Gaccione si serve, infatti, del dialetto per scavare all’interno di un processo esistenziale, radicato nella cultura. (...) 
(Pierfranco Bruni, poeta e saggista, dalla recensione su 
“Ophelia” dicembre 2018)

Pierfranco Bruni

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Una piccola grande opera (mi si passi l’ossimoro) ma soprattutto preziosa, l’ultima fatica dell’instancabile scrittore Angelo Gaccione. Lingua mater, Macabor editore, una raccolta di poesie in dialetto acritano, con traduzione a fronte dello stesso autore. La presentazione di Dante Maffia ci consegna un poeta che ci porta in un viaggio che si compie in un tempo breve ma in uno spazio immenso: la memoria. L’introduzione di Maffia contiene inoltre alcuni strumenti di aiuto necessari al lettore per meglio entrare in quel viaggio onirico che svelano, a nostro avviso, quei suoni peculiari che questa lingua richiede”.
(Francesco Curto, poeta, dalla recensione su 
“Il Sogno di Orez” mercoledì 13 febbraio)

Francesco Curto

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Caro Angelo,

grazie per Lingua mater.
È scritto in una lingua docile e salda, che sa arrivare alle cose e raccontare l'essenziale di un mondo (in disfacimento) e della condizione di esiliato del poeta, voce narrante. 
Dolore e pacatezza, entro una misura di cui la lingua è duca e ospite.
Più delle altre, mi sono piaciute le poesie alle pagine: 36/37, 42/43, 46/47, 48/49, 52/53, 56/57, 58/59, 60/61, 62/63, 64/65, 66/67 e 68/69.
Ancora grazie.
Un caro saluto
(Giancarlo Consonni, poeta, 3 marzo 2019) Milano

Giancarlo Consonni

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“Molto belle le tue poesie Angelo: belle in italiano e ancora più saporite in un dialetto che non conosco ma intuisco. Questo a una prima lettura, dove ho privilegiato le poesie; ma ci tornerò
grazie! 
un saluto caro”, 
(Gabriele Scaramuzza, filosofo, 4 aprile 2019) Milano

Gabriele Scaramuzza

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(…) La lingua nella quale scrivi le poesie non ha scrittura e quindi non ha regole codificate che derivano dalla tradizione e dalla contemporaneità e che, nell’astrazione, definiscono il significato. Ma, com’è ovvio, una lingua non è mai chiusa, come non sono chiusi i significati. Una lingua orale ha processi simili ma con un ritmo temporale diverso, a meno che da altre influenze linguistiche non venga sollecitata. Lo scritto in una prosa non poetica può essere sbagliato poiché ha conformità. L’orale non sbaglia mai perché il suo controllo è sociale, sta nello scambio. La tua poesia ovviamente non sbaglia mai, non può sbagliare e tuttavia, sebbene abbia la sua verità nello scambio delle forme di esistenza dominanti, è pur tuttavia soggetta a una memoria. 
(Fulvio Papi, filosofo, dalla lettera-recensione apparsa su 
“Odissea” domenica 7 aprile 2019) Milano

Fulvio Papi

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Non sono un critico e quindi racchiudo tutto con una sola frase: grato, ben vengano altre raccolte dialettali di Angelo Gaccione.
(Gaetano Capuano, poeta dialettale, 8 aprile 2019) Milano

Gaetano Capuano

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(…) È difficile, più di quel che si pensa scrivere nella lingua dell’infanzia: quella che si assume col latte materno e si consolida nei tessuti connettivi da cui prendono le mosse i pensieri che poi diventano parole. (…) Una vera e propria sorpresa per quanti seguono da tempo il lavoro letterario dello scrittore. Una lingua fatta di molti impasti, molte contaminazioni, tante quante sono state le dominazioni che hanno riguardato nel tempo, quella parte di Calabria del Nord, quella Calabria cosentina, e in particolare quella di Acri che rappresenta una miniera linguistica interessante di cui Gaccione, abilmente, sa dosarne gli elementi per conferire ai suoi versi una tragica dolorosa bellezza.
(Eugenio Orrico, giornalista, dalla recensione apparsa su 
la “Gazzetta del Sud” venerdì 26 aprile 2019)

Castello normanno-svevo di Cosenza

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Caro Gaccione,

grazie, sono rientrato da un viaggio e ho trovato il suo libro, Lingua mater, che ho cominciato ora a leggere rimanendo molto colpito dalla forza lirica e evocativa dei suoi versi che si sprigiona dal dialetto materno, ma anche dalla ricca e felice versione italiana, grazie, un cordiale saluto
(Giuseppe Conte, poeta, lunedì 29 aprile 2019)

Giuseppe Conte

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(…) Sono versi dettati da un’urgenza pulsionale, versi nati non da una categoria astratta (l’idea che la lingua sia un organismo mummificato, cui obbedire), ma dalla consapevolezza che a dar loro sangue e corpo, a dar timbri e movenze inconfondibili, sia la storia dei parlanti, di cui l’autore si fa consapevolmente interprete: sto parlando delle poesie di Angelo Gaccione, autore di multiforme ingegno, che a molti ambiti s’è sempre applicato con generosità ed entusiasmo, e che ora affronta la sua lingua “materna”, il suo dialetto acrese, in questa raccolta significativamente intitolata Lingua Mater, pubblicata nella prestigiosa Collana di poesia “I Fiori di Macabor” per dar voce, in età “diversamente giovane”, a ciò che “gli ditta dentro” obbedendo a ritmi antichi, intraducibili e senza altri galatei espressivi se non i propri, per un’esigenza di testimonianza delle verità delle parole e dei sentimenti più profondi, come mette in evidenza anche il poeta Dante Maffia nella sua introduzione.
(Vincenzo Guarracino, critico e poeta, dalla recensione apparsa su 
“Echi Liberi” nel luglio del 2019 a. XV n. 78)

Vincenzo Guarracino

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Caro Angelo,

con molto ritardo - la mia vecchiaia è lenta e anche perfida - mi sono impossessato di Lingua Mater, ho letto tutto con voluttà a precipizio. Bellissime le parole di Maffìa (finalmente non esita ad elevarti tra i grandissimi). Bellissime le tue spiegazioni, la tua voglia di respirare con la difficile lingua delle tue origini. (…) Per me il lavoro dello studioso scompare quando leggo le poesie (sia in dialetto, sia in italiano), Hai una forza dolente che mi commuove e ti scrivo a parte l’emozione che mi ha fatto stendere di getto alcune righe di commento. Intanto ti ringrazio per quello che dici sempre di me e ti auguro di tuffarti ancora - in questi tempi crudeli - nella freschezza e pulizia della nostra cara terra.
(Luigi Bianco, poeta, dalla lettera-recensione pubblicata su 
“Odissea” lunedì 5 agosto 2019) Squillace

Luigi Bianco