Amici e personalità del
mondo letterario da me stimate, poeti e letterati (ma non solo), hanno scritto
della mia raccolta poetica in lingua dialettale Lingua mater su alcuni
organi di stampa, o mi hanno fatto, con delicata sensibilità, pervenire per
posta o via email le loro opinioni. Sono ovviamente grato a tutti loro. Ho
deciso di pubblicare queste valutazioni come una sorta di ringraziamento collettivo
e per l’affetto e l’ammirazione che io nutro verso di loro. [A.G.]
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Scritti tra il 4 e il 10 luglio
del 2017, i 30 testi che compongono Lingua
Mater, hanno voluto prepotentemente uscire dalla penna dell’autore, in
dialetto. “Nella lingua che avevo usato
per tutta la vita solo parlata” come dice Gaccione. Scrive Dante Maffìa
nella sua introduzione al libro: “Non c’è una sola composizione che soffra di
astrazione, tutte sono dense, anzi direi pregne, di un calore e di una coralità
che, senza straripare in ripiegamenti nostalgici, trova il modo diretto di
affabulare, fare sentire la necessità che lo ha spinto a cercare la lingua
madre”. Una pulsione urgente, arrivata tardi, ma indilazionabile.
(Bonifacio
Vincenzi, editore e poeta, da una nota apparsa
su “Odissea” venerdì 19 ottobre 2018)
Bonifacio Vincenzi |
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Carissimo
Angelo,
Ho
aperto il ‘Lingua Mater’ (...)
L’esperimento, da come ho potuto notare, è riuscito alla perfezione, tanto che
io ho avvertito più sensazioni e brividi particolari nel leggere la versione
dialettale che quella in lingua. Impeccabile, bellissima ed azzeccatissima
nelle sue annotazioni ed esplicazioni storiche e filologiche, l’autorevolissima
Premessa del Maffia. Complimenti vivissimi, caro Angelo, e ad maiora.
(Nicolino Longo, poeta, 3 novembre 2018).
San Nicola Arcella
Nicolino Longo |
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Caro
Angelo,
credo
che il carattere più vistoso della tua raccolta sia la capacità comunicativa
che si traduce in souplesse sempre in progress, capace di incuriosire e di coinvolgere
di volta in volta l’“umano” e le sue aspettative. Sempre notevole la capacità
espressiva, laddove l'oralità, fatta salva dal significante, privilegia il
significato per quello che giustamente merita. L'approccio “critico” alla
realtà, privata e collettiva, non radicalizza mai il discorso, ma si affida
all'acribia antagonista e realista in grado di oggettivarlo in direzione di una
possibile “verità”. Credo che questa concretezza sia la costante del tuo
lavoro, in uno con il dettato asciutto e luminoso che mi ricorda il miglior
Scotellaro. A questi risultati guardo con sincera ammirazione.
Leopoldo
(Leopoldo Attolico, poeta, 6 Novembre
2018) Roma
Leopoldo Attolico |
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Caro
Angelo,
Davvero
interessante la tua “avventura” dialettale: sono versi in cui circola il
respiro (non benevolo) del fato e in cui il dialetto conferisce alla scrittura
un di più di antico e di amaramente saggio. Bene! È un esperimento che merita di essere continuato.
Un
saluto cordiale da Tiziano
(Tiziano Rossi, poeta, 13- 11- 2018)
Milano
Tiziano Rossi |
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Caro
Angelo,
sto
leggendo con delizia il tuo “Lingua Mater”. Belli i suoni, l’accostamento della
durezza delle consonanti, e il latino non è poi tanto lontano.
(Claudia Azzola, poetessa e saggista, 14
novembre 2018) Milano
Claudia Azzola |
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Sono
i segni della meglio gioventù...
(Guido Oldani, poeta, 16 novembre 2018)
Melegnano
Guido Oldani |
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Caro
Angelo,
la tua vulcanica attività mi sgomenta! Sei una forza della natura
malgrado disgrazie e acciacchi.
Non
devi scusarti per il dialetto! Ogni nuova opera è benvenuta!
(Donatella Bisutti, novembre 2018)
Milano
Donatella Bisutti |
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Caro
Gaccione
Sto
leggendo le sue poesie... che si interrogano sulla lingua, se sappia catturare
bene il dolore... e con quell’ira sacrosanta gridata contro l’uomo che ha
rovinato tutto, a differenza dell’innocente natura che nulla ha violato ... e
quel volere essere o un albero o una madre, se non fosse quello che lei è... si
sente un forte sentire... che mi tocca... vado avanti con piacere, anche se non
è la parola giusta questa, perché in lei si avverte una sottesa corda civile di
protesta che a volte mi rammenta quella del Leopardi del contrasto
Natura/Storia ... a presto
Roberto Pazzi (Scrittore e poeta, 18
novembre 2018) Ferrara
Bella
la poesia del gatto... sapevo anche io che quando i gatti si fregano dietro
l’orecchio vuol dire che farà brutto tempo... una sola osservazione... non
avrei usato “volto” per il gatto ma “muso”, forse lei lo ha fatto perché aveva
già usato “faccia” e non trovava un sinonimo... mi permetto di segnalarglielo
io... posso?
“Dov’è?
Che fine ha fatto/ quell’ombra meridiana” ... bellissima, la lirica che più mi
ha toccato ...
Bella
anche quella del biondo che era nero... saggio, che aveva un proverbio per ogni
cosa... mai mossosi da casa eppure sembrava che il mondo lo avesse girato
tutto... e anche quella successiva sui giovani morti che ha un retrogusto di Spoon
River.
Le
sue poesie sulla madre e sul padre, in specie quella dedicata a quest’ultimo,
con quel lamento del mestiere che nessuno vuole più imparare, mi hanno davvero
commosso. Bravo, Gaccione, una bella raccolta davvero. Un caro saluto
Roberto Pazzi
Roberto Pazzi |
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Caro
Angelo
ho
letto il testo con interesse profondo e con in più l’emozione di ricordare
l’incontro in Porta Romana (che pure tu rammenti) durante il quale ho
avuto il privilegio e l’onore di poter ascoltare
e gustare in anteprima dalla tua viva
voce, la appassionata, illuminante e coinvolgente illustrazione di “Lingua
Mater”. Grazie Angelo (ho molto apprezzato anche la magnifica e
autorevole introduzione - sapiente, incisiva… e coraggiosa - di Dante Maffia)
Affettuosamente, Fabiano (Fabiano Braccini, poeta e fotografo, 27 novembre 2018) Milano
Fabiano Braccini |
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(…)
Sono immagini vivide e forti quelle che si riscontrano in Lingua Mater,
la nuova silloge di poesie in dialetto acrese con traduzione a fronte in
italiano che lo scrittore e drammaturgo Angelo Gaccione ha dato alle stampe per
la casa editrice Macabor, introdotta da un acuto testo di Dante Maffìa.
(Federico Migliorati, giornalista e poeta, dalla recensione apparsa su
(Federico Migliorati, giornalista e poeta, dalla recensione apparsa su
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La
fine del dialetto coincide con quello della propria mamma. Tutto si compie, si
sfa a brandelli, ogni cosa si trasforma in nulla e non restano parole, ma il
silenzio di generazioni nella raccolta Lingua
mater di Angelo Gaccione. Facendo uso del carnale e fragrante vernacolo di
Acri, l’autore visita come in un sogno i luoghi dell’infanzia, senza trovare
più la casa materna. Solo migranti più disperati di lui”
(Franco Manzoni, poeta,
Corriere
della Sera –La Lettura 16 Dicembre 2018) Milano
Franco Manzoni |
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Caro
Angelo,
ho letto le tue poesie, che sono state una piacevole sorpresa,
scritte nel tuo dialetto acrese che ho cercato di leggere e pronunciare con
qualche difficoltà, ma io sono comunque un sostenitore della cosiddetta poesia
dialettale, che è poesia a tutto tondo, allo stesso modo della poesia non
dialettale... anzi nel tuo caso come in quello di tanti altri è la poesia
dell'anima e del cuore più profondi... io ho un mio caro e grande amico, Gianni
Zambianchi, che scrive splendide poesie in dialetto piacentino - ma lui
preferisce giustamente dire lingua piacentina... (...) un saluto affettuoso e
grazie per le emozioni e per il calore procuratimi dalle tue poesie, Franco
(Franco Toscani, saggista e filosofo, 6
dicembre 2018) Piacenza
Franco Toscani |
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Caro Angelo,
mi sono piaciute le tue poesie, in particolare quando evocano
la natura, la donna e il tempo: “S’u
ffussi nn’omu /vodìssa esser n’arburu /”; “In chissa notti funna, / vasta cumi d’uocchi tua”, “È smessu e avìri desideriji”/ “Eccu cum’a
giovendù è morta”. In dialetto i versi acquistano la massima autenticità.
Quando sarà possibile (abbiamo già un programma) vorrei invitarti alla Casa
della Poesia. Tomaso
(Tomaso Kemeny, poeta, lunedì 3 dicembre 2018). Milano
Tomaso Kemeny |
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Caro
Angelo,
belle
le tue poesie.
(Mario Capanna, saggista, dicembre 2018)
Umbria
Mario Capanna |
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Densa,
scabra, questa lingua mater di Angelo Gaccione; chiusa nel suono cupo delle u,
nell’asprezza dei gruppi consonantici, di cui, pure, solo in modo
approssimativo la parola scritta riesce a rendere la musicalità originaria,
come bene spiega l’autore nella sua Ouverture. Una lingua carica di echi
ancestrali, che la traduzione in lingua italiana, opportunamente collocata
accanto al testo in acrese, sa in larga misura conservare. Ed ecco allora
prendere forma immagini archetipiche: il lume, la notte, la casa, gli avi, la
madre, il pane; soprattutto, il dolore, onnipresente, quasi la quintessenza
stessa, il fondamento, immutabile, di tutte le cose. Una lingua, tuttavia, che
nella penna di Gaccione si mostra duttile, capace di esprimere le proprie
potenzialità fino a misurarsi con luoghi, tempi, situazioni che sembrerebbero
non appartenerle, pur senza mai perdere il legame con le proprie radici e il
loro humus mitologico (piove col sole, la volpe si marita): come nella poesia,
bellissima, che chiude la raccolta, dove un presente senza speranza si dispiega
sotto i nostri occhi nella forma di una sequela di gesti frivoli senza
spessore.
(Luca
Marchesini, drammaturgo, domenica 23 dicembre 2018). Milano
Luca Marchesini |
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Lingua
Mater è
una metafora all’interno di un linguaggio che diventa vocabolario della propria
vita. L’ultimo testo di Angelo Gaccione si sofferma su un viaggio a ritroso.
Quel viaggio proustiano in cui ogni sapore, colore, ogni piccolo ricordo
portano un segno tangibile di una rimembranza leopardiana che custodisce al suo
interno la visione della madre. Madre come paese. Un legame tra madre e paese
che trova la sua sublimazione nella lingua, ovvero nel dialetto. Angelo
Gaccione si serve, infatti, del dialetto per scavare all’interno di un processo
esistenziale, radicato nella cultura. (...)
(Pierfranco Bruni, poeta e saggista, dalla recensione su
“Ophelia” dicembre
2018)
Pierfranco Bruni |
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Una piccola grande opera (mi si passi
l’ossimoro) ma soprattutto preziosa, l’ultima fatica dell’instancabile
scrittore Angelo Gaccione. Lingua mater, Macabor editore, una raccolta
di poesie in dialetto acritano, con traduzione a fronte dello stesso autore. La
presentazione di Dante Maffia ci consegna un poeta che ci porta in un viaggio
che si compie in un tempo breve ma in uno spazio immenso: la memoria.
L’introduzione di Maffia contiene inoltre alcuni strumenti di aiuto necessari
al lettore per meglio entrare in quel viaggio onirico che svelano, a nostro
avviso, quei suoni peculiari che questa lingua richiede”.
(Francesco Curto, poeta, dalla recensione
su
“Il Sogno di Orez” mercoledì 13 febbraio)
Francesco Curto |
*
Caro Angelo,
grazie per Lingua mater.
È scritto in una lingua docile e salda,
che sa arrivare alle cose e raccontare l'essenziale di un mondo (in
disfacimento) e della condizione di esiliato del poeta, voce narrante.
Dolore e pacatezza, entro una misura
di cui la lingua è duca e ospite.
Più delle altre, mi sono piaciute le
poesie alle pagine: 36/37, 42/43, 46/47, 48/49, 52/53, 56/57, 58/59, 60/61,
62/63, 64/65, 66/67 e 68/69.
Ancora grazie.
Un caro saluto
(Giancarlo Consonni, poeta, 3 marzo 2019) Milano
Giancarlo Consonni |
*
“Molto belle le tue poesie Angelo: belle
in italiano e ancora più saporite in un dialetto che non conosco ma intuisco.
Questo a una prima lettura, dove ho privilegiato le poesie; ma ci tornerò
grazie!
un saluto caro”,
(Gabriele Scaramuzza, filosofo, 4 aprile
2019) Milano
Gabriele Scaramuzza |
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(…) La lingua nella quale scrivi le poesie non ha scrittura e
quindi non ha regole codificate che derivano dalla tradizione e dalla
contemporaneità e che, nell’astrazione, definiscono il significato. Ma, com’è
ovvio, una lingua non è mai chiusa, come non sono chiusi i significati. Una
lingua orale ha processi simili ma con un ritmo temporale diverso, a meno che
da altre influenze linguistiche non venga sollecitata. Lo scritto in una prosa
non poetica può essere sbagliato poiché ha conformità. L’orale non sbaglia mai
perché il suo controllo è sociale, sta nello scambio. La tua poesia ovviamente
non sbaglia mai, non può sbagliare e tuttavia, sebbene abbia la sua verità
nello scambio delle forme di esistenza dominanti, è pur tuttavia soggetta a una
memoria.
(Fulvio Papi, filosofo, dalla lettera-recensione apparsa su
(Fulvio Papi, filosofo, dalla lettera-recensione apparsa su
“Odissea” domenica 7 aprile 2019) Milano
Fulvio Papi |
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Non sono un critico e quindi racchiudo
tutto con una sola frase: grato, ben vengano altre raccolte dialettali di
Angelo Gaccione.
(Gaetano Capuano, poeta dialettale,
8 aprile 2019) Milano
Gaetano Capuano |
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(…) È difficile, più di quel che si
pensa scrivere nella lingua dell’infanzia: quella che si assume col latte
materno e si consolida nei tessuti connettivi da cui prendono le mosse i
pensieri che poi diventano parole. (…) Una vera e propria sorpresa per quanti
seguono da tempo il lavoro letterario dello scrittore. Una lingua fatta di
molti impasti, molte contaminazioni, tante quante sono state le dominazioni che
hanno riguardato nel tempo, quella parte di Calabria del Nord, quella Calabria
cosentina, e in particolare quella di Acri che rappresenta una miniera
linguistica interessante di cui Gaccione, abilmente, sa dosarne gli elementi
per conferire ai suoi versi una tragica dolorosa bellezza.
(Eugenio Orrico, giornalista,
dalla recensione apparsa su
la “Gazzetta del Sud” venerdì 26 aprile 2019)
Castello normanno-svevo di Cosenza |
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Caro Gaccione,
grazie, sono rientrato da un viaggio e ho trovato il
suo libro, Lingua mater, che ho cominciato ora a leggere rimanendo molto
colpito dalla forza lirica e evocativa dei suoi versi che si
sprigiona dal dialetto materno, ma anche dalla ricca e felice versione
italiana, grazie, un cordiale saluto
(Giuseppe Conte, poeta, lunedì 29 aprile
2019)
Giuseppe Conte |
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(…) Sono versi dettati da un’urgenza pulsionale, versi
nati non da una categoria astratta (l’idea che la lingua sia un organismo
mummificato, cui obbedire), ma dalla consapevolezza che a dar loro sangue e
corpo, a dar timbri e movenze inconfondibili, sia la storia dei parlanti, di
cui l’autore si fa consapevolmente interprete: sto parlando delle poesie di
Angelo Gaccione, autore di multiforme ingegno, che a molti ambiti s’è sempre
applicato con generosità ed entusiasmo, e che ora affronta la sua lingua
“materna”, il suo dialetto acrese, in questa raccolta significativamente
intitolata Lingua Mater, pubblicata nella prestigiosa Collana di poesia
“I Fiori di Macabor” per dar voce, in età “diversamente giovane”, a ciò che
“gli ditta dentro” obbedendo a ritmi antichi, intraducibili e senza altri
galatei espressivi se non i propri, per un’esigenza di testimonianza delle
verità delle parole e dei sentimenti più profondi, come mette in evidenza anche
il poeta Dante Maffia nella sua introduzione.
(Vincenzo Guarracino, critico e poeta, dalla
recensione apparsa su
“Echi Liberi” nel luglio del 2019 a. XV n. 78)
Vincenzo Guarracino |
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Caro Angelo,
con molto ritardo - la mia vecchiaia è lenta e anche perfida -
mi sono impossessato di Lingua Mater, ho letto tutto con voluttà a
precipizio. Bellissime le parole di Maffìa (finalmente non esita ad elevarti
tra i grandissimi). Bellissime le tue spiegazioni, la tua voglia di respirare
con la difficile lingua delle tue origini. (…) Per me il lavoro dello studioso
scompare quando leggo le poesie (sia in dialetto, sia in italiano), Hai una
forza dolente che mi commuove e ti scrivo a parte l’emozione che mi ha fatto
stendere di getto alcune righe di commento. Intanto ti ringrazio per quello che
dici sempre di me e ti auguro di tuffarti ancora - in questi tempi crudeli -
nella freschezza e pulizia della nostra cara terra.
(Luigi Bianco, poeta, dalla lettera-recensione
pubblicata su
“Odissea” lunedì 5 agosto 2019) Squillace
Luigi Bianco |