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martedì 9 giugno 2020

LA CONTRADDIZIONE SANITARIA
di Franco Astengo


L’universalizzazione della “contraddizione sanitaria”.
Isolamento fisico, distanziamento sociale.  

La “contraddizione sanitaria” fatta emergere dalla pandemia che in questi giorni sta attraversando il mondo può ben essere definita come “universalistica”: la malattia ha colpito senza confini, senza distinzioni sociali o di classe. Anche se poi, ovviamente, la capacità di risposta degli Stati e dei singoli cittadini è risultata assolutamente asimmetrica a seconda delle condizioni economiche, delle scelte politiche e sociali, delle diverse condizioni di agibilità del quotidiano. Potrebbe sorgere un nuovo interrogativo: l’universalizzazione della contraddizione sanitaria potrebbe costituire occasione di rilancio di una nuova qualità della globalizzazione, ponendo all’ordine del giorno un vero e proprio complessivo spostamento d’asse nella proposta (e nella richiesta) di utilizzo a livello locale delle risorse globali?
Così si presenterebbe una possibilità di recupero per una forte spinta verso la democrazia e di ritorno alle sedi sovranazionali quali luoghi di mediazione e di risoluzione delle problematiche globali e locali (la vecchia sigla del “glocal”) in luogo del restringimento di visione all’interno delle specificità nazionali o di ristretta area geografica come pareva fattore emergente nella dinamica geopolitica pre-pandemia. Non disponiamo però in questo senso di elementi che ci autorizzino all’ottimismo, anzi.
Almeno fino alla vigilia dell’esplosione epidemica la fine del processo di globalizzazione avvenuta con la crisi del 2008 e la conclusione del “ciclo atlantico”, emblematizzata dalla presidenza Trump, con l’evidenziarsi di tendenze sovraniste in Europa, sembravano aver lasciato spazio a un duro confronto tra:
1). Una posizione di “ritorno alla guerra fredda” come individuato ad esempio dallo storico scozzese Niall Ferguson che prefigura  appunto una nuova “guerra fredda” tra Occidente e Oriente intesa come occasione ad un ritorno di competizione per lo sviluppo. Si aprirebbe, infatti, una guerra commerciale, strategica, tecnologica, cyber, competitiva. L’Occidente, comprensivo dell’Europa almeno nella sua parte fondatrice e della Gran Bretagna, si troverebbe raccolto ancora attorno alla bandiera americana non potendo lasciare alla Cina la supremazia tecnologica e dell’intelligenza artificiale. Una variante di questo disegno potrebbe essere rappresentata da una sorta di “ridisegno” sovranista di cui circolerebbero ipotesi di ridefinizione degli equilibri attraverso la costruzione di una ristretta “élite” di concentrazioni sovranazionali, delle quali l’Europa a guida tedesca rappresenterebbe un primo esempio. Il quadro generale che si presenterebbe in questo senso sarebbe quello dell’allargamento delle disuguaglianze e l’allineamento verso tendenze oligarchiche nelle forme di governo.
2). La costruzione di un nuovo ordine, inevitabilmente multilaterale e policentrico come sostiene, ad esempio, Massimo D’Alema, nel suo ultimo “Grande la confusione è sotto il cielo”. Un nuovo ordine fondato sulla ricerca del superamento della “violenza delle disuguaglianze sociali”, come scrive Thomas Piketty nel suo Capitale e ideologia.
Potrà essere che ci si trovi davanti, tra un paio d’anni magari, a dover scegliere: l’Italia e l’Europa saranno chiamate a decidere da che parte stare.
Risulterà decisivo, in quel momento, l’orientamento dell’Europa continentale.
Smaltite le sbornie iconoclaste ci si accorgerà della debolezza delle nostre posizioni in materia di politica estera e di dimensione sovranazionale.
Il dato di cui sarà necessario tener conto, anche rispetto all’obiettivo di un assetto multilaterale e policentrico, sarà quello del rilascio più lento del previsto del processo di cessione di sovranità da parte dello “Stato nazione”.
A quel punto sarà necessaria una ricontrattazione generale dei rapporti tra gli Stati. Una ricontrattazione tra gli Stati che potrebbe avere come traguardo parziale un recupero e una riedificazione dell’ONU.


Un rilancio dell’organizzazione delle Nazioni Unite potrebbe apparire in questo momento un grande passo avanti ma non appare sorretto e auspicato da alcuna delle grandi potenze, tutte impegnate sul piano del rafforzamento militare e delle guerre commerciali. In gioco scelte antropologiche e di destinazione delle risorse: su questo punto si misureranno l’universalizzazione della “contraddizione sanitaria” e il processo di ulteriore velocizzazione nell’innovazione tecnologica nel senso dell’utilizzo di “date – base” universali e dell’intelligenza artificiale.
Innovazione tecnologica al riguardo della quale buona parte del mondo rischia di rimanere completamente tagliato fuori riproducendosi nuove forme di dominio generatrici di ulteriore crescita nelle diseguaglianze.
Come possono le forze democratiche, progressiste, socialiste in questa situazione avviare una riflessione su temi delle forme moderne della sovranzionalità e dell’internazionalizzazione?
Da tener conto che i soggetti progressisti e socialisti presenti nei punti che un tempo avevamo definito come i più avanzati nello sviluppo, appaiono intimiditi e quasi silenti nella loro piena fragilità di sistema davanti alla grande difficoltà universale.
Nell’ipotesi di ricostruzione della sinistra che si sta cercando di perseguire è necessario riflettere sulle scelte di fondo che il quadro internazionale ci presenta proprio in questa fase di rapidi e complicati cambiamenti fondati su di uno spostamento d’asse nella qualità delle contraddizioni.
L’universalità della contraddizione sanitaria rappresenta la cartina di tornasole per verificare una urgente necessità di ridefinizione del nostro tradizionale quadro di riferimento, proprio nel momento in cui i colossi del digitale stanno usando il virus per intrecciarsi con la politica e imporre un futuro a loro immagine e somiglianza.
Comincia da questo punto il tema del socialismo del XXI secolo, nel momento in cui le priorità diventano la sanità, l’istruzione in remoto, la banda larga tanto da farci pensare come l’antica contraddizione principale si sposti sullo “sfruttamento da smart working” e la difesa del pianeta sarebbe proposta attraverso la strutturazione dell’isolamento fisico, base indispensabile per l’auspicato “distanziamento sociale”.
L’orizzonte si presenterebbe così come determinato da un processo di integrazione delle priorità sociali all’interno della tecnologia.
 La politica sarebbe ridotta a puro ruolo di rappresentanza, simulacro di una “fu democrazia”.
 A quel punto le scelte sarebbero governate dai pochi in possesso degli strumenti per orientare un sistema fondato sul controllo ossessivo delle singole esistenze imponendo scelte culturali, consumi, stili di vita.
Uno scenario nel quale computer e robot eserciterebbero la funzione di massificare un irreversibile isolamento individualistico, certamente non esorcizzabile attraverso la “movida”.