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martedì 28 luglio 2020

AUTOSTRADE
di Marco Vitale


Una riflessione a bocce ferme 
ora che la vicenda si è conclusa.

L’operazione Autostrade presenta troppi aspetti importanti ancora da definire per permettere un giudizio professionale serio e completo nel merito del suo esito. Tuttavia, l’impostazione dell’accordo è definita ed è chiara e, ipotizzando che i fattori ancora da definire, vengano conclusi ragionevolmente, è possibile riflettere sul suo significato, soprattutto dopo che, ancora una volta, si sono lette, in molta stampa, delle fantastiche sciocchezze.
Innanzi tutto, si è incominciato con il solito futile gioco di: chi ha vinto? Coppi o Bartali? Lo Stato o i Benetton? Giuseppe o Luciano? E invece abbiamo perso tutti, perché ha perso l’Italia. Ha perso l’Azienda che si è trovata in condizioni prefallimentari. Ha perso lo Stato che ha dovuto registrare un nuovo fallimento di una importante privatizzazione. Hanno perso i morti del ponte Morandi. Ha perso la città di Genova. Ha perso la scuola di ingegneria italiana. Ha perso il management italiano che ha espresso alla guida di una importante azienda italiana una qualità desolante. Ha perso il gruppo familiare Benetton che pure è stato, nella prima fase della sua vita, un gruppo innovatore, bandiera della nuova industria italiana (e che per questo passato merita l’onore delle armi) prima di essere travolto dall’avidità della finanza.
Ciò detto, l’intervento di salvataggio da parte del Governo è stato, professionalmente, una scelta corretta, necessaria e utile per tutti. Di fronte a un disastro come il crollo del ponte Morandi, di altri minori incidenti sulla rete autostradale, di comportamenti da parte del management e degli azionisti di maggioranza del Gruppo, a dir poco, discutibili e inaccettabili, la revoca della concessione era inevitabile. Quelli che dicono che prima bisognava attendere che la magistratura penale decidesse le eventuali responsabilità penali, non possono dire questo in buona fede. Ma la revoca esercitata verso una società quotata sui mercati finanziari con molti azionisti di diversa natura avrebbe comportato dei costi economici e di immagine paese altissimi che, insieme alle inevitabili azioni legali da parte del concessionario revocato, avrebbe portato a un mezzo disastro economico con un danno altissimo distribuito tra azionisti di maggioranza e di minoranza, creditori, fornitori, dipendenti, Stato.
E, dunque, l’intervento di salvataggio da parte dello Stato, attraverso la CDP, con la graduale e negoziata uscita dei soci di maggioranza, è stata, parlando da un punto di vista professionale, una decisione saggia, responsabile e utile per il bene comune. Che, di rimbalzo, siano cresciute le azioni di Atlanta può stupire e rattristare solo persone in mala fede. I mercati, temendo il peggio, avevano penalizzato terribilmente i titoli che si sono giustamente ripresi appena l’incubo del fallimento è stato accantonato.
Certamente questa operazione chiude una privatizzazione mal fatta e peggio gestita sin dall’inizio, la cui responsabilità risale, se non vado errato, al Governo D’Alema e al Ministro Letta (Enrico) e a tutti quelli, dopo di lui, che hanno permesso che l’esercizio della concessione si traducesse in una “bonanza” per il concessionario, senza verificare e assicurare le necessarie manutenzioni e investimenti. Si passò allora da un monopolio pubblico ad un monopolio privato senza assicurarsi che il monopolista privato non come tale si comportasse ma come un normale concessionario, con diritti ma anche con tanti doveri.
Molti hanno gridato al lupo al lupo, urlando che questo intervento evidenzia una rinnovata volontà di statalismo, che la CDP si sta trasformando in un nuovo IRI e simili. Io non so se nella testa dei governanti stia maturando un nuovo desiderio di statalismo. Non mancano segnali di questo rischio che, per me, è un pericolo. Ma questa operazione in sé non è un intervento di questo tipo. È un intervento di salvataggio nell’interesse comune ed ha, semplicemente, evitato il peggio per tutti. Era, quindi, necessaria ed è stata una buona operazione.

Il nuovo ponte di Genova

Lo statalismo come politica e come modello è un male e va combattuto, ma non con letture improprie di casi di interventi di salvataggio, come quello in esame. In altri casi, come l’ILVA, sarebbe stato assai meglio per tutti (e io lo suggerii) se lo Stato fosse entrato da subito nel capitale con un intervento di salvataggio magari insieme a qualche imprenditore operativo nell’ambito di uno schema per razionalizzare e rafforzare la filiera siderurgica, piuttosto che concludere un accordo perdente con gli indiani. L’accordo con gli indiani è stato una cosa peggiore della privatizzazione di D’Alema e Letta. Cose analoghe si potrebbero dire per l’Alitalia.
Ma non bisogna essere vittime di pregiudizi. In Germania e Svizzera la rete autostradale è a gestione pubblica e assicura un servizio all’utenza di alta qualità e a costi nettamente inferiori a quelli italiani. Il costo di un solo viaggio di andata e ritorno Milano - Venezia Mestre è ampiamente superiore al costo della “vignette” svizzera che vale per 14 mesi di libera circolazione su una rete di 1382 km.  
L’errore di prospettiva nasce quando verso la fine del secolo scorso la classe politica italiana nella sua interezza, coadiuvata dalla complicità del mondo degli economisti accademici e dei giornalisti, in nome di un fantomatico “efficientamento” del sistema, ha coltivato la fiaba che ciò che è privato è per definizione buono e ciò che è pubblico è per definizione cattivo. Che questo credo sia stato coltivato soprattutto dagli uomini di sinistra, diventati entusiasti e puerili neoliberisti, dimostra che aveva ragione Goethe quando diceva che la storia è l’arcano laboratorio di Dio.
Dobbiamo risvegliarci da questa ondata di ebetismo e la vicenda Autostrade può essere un utile scossone per tale risveglio. Purché non ci ricamiamo su delle nuove sciocchezze.
Ma con l’ingresso in maggioranza di CDP si apre il tema della responsabilità imprenditoriale e manageriale. La presenza di eventuali altri investitori di mercato non deve trarre in inganno. C’è solo una cosa peggiore dei “padroni”, ed è la mancanza di padroni cioè di chi esercita la responsabilità imprenditoriale. Il pubblico può essere un padrone intelligente e responsabile, purché faccia il padrone per davvero e non si comporti da monopolista irresponsabile, pubblico o privato che sia.