di
Marco Vitale
Una
riflessione a bocce ferme
ora che la vicenda si è conclusa.
ora che la vicenda si è conclusa.
L’operazione
Autostrade presenta troppi aspetti importanti ancora da definire per permettere
un giudizio professionale serio e completo nel merito del suo esito. Tuttavia,
l’impostazione dell’accordo è definita ed è chiara e, ipotizzando che i fattori
ancora da definire, vengano conclusi ragionevolmente, è possibile riflettere
sul suo significato, soprattutto dopo che, ancora una volta, si sono lette, in
molta stampa, delle fantastiche sciocchezze.
Innanzi
tutto, si è incominciato con il solito futile gioco di: chi ha vinto? Coppi o
Bartali? Lo Stato o i Benetton? Giuseppe o Luciano? E invece abbiamo perso
tutti, perché ha perso l’Italia. Ha perso l’Azienda che si è trovata in
condizioni prefallimentari. Ha perso lo Stato che ha dovuto registrare un nuovo
fallimento di una importante privatizzazione. Hanno perso i morti del ponte
Morandi. Ha perso la città di Genova. Ha perso la scuola di ingegneria
italiana. Ha perso il management italiano che ha espresso alla guida di una
importante azienda italiana una qualità desolante. Ha perso il gruppo familiare
Benetton che pure è stato, nella prima fase della sua vita, un gruppo
innovatore, bandiera della nuova industria italiana (e che per questo passato merita
l’onore delle armi) prima di essere travolto dall’avidità della finanza.
Ciò
detto, l’intervento di salvataggio da parte del Governo è stato,
professionalmente, una scelta corretta, necessaria e utile per tutti. Di fronte
a un disastro come il crollo del ponte Morandi, di altri minori incidenti sulla
rete autostradale, di comportamenti da parte del management e degli azionisti
di maggioranza del Gruppo, a dir poco, discutibili e inaccettabili, la revoca
della concessione era inevitabile. Quelli che dicono che prima bisognava
attendere che la magistratura penale decidesse le eventuali responsabilità
penali, non possono dire questo in buona fede. Ma la revoca esercitata verso
una società quotata sui mercati finanziari con molti azionisti di diversa natura
avrebbe comportato dei costi economici e di immagine paese altissimi che,
insieme alle inevitabili azioni legali da parte del concessionario revocato,
avrebbe portato a un mezzo disastro economico con un danno altissimo
distribuito tra azionisti di maggioranza e di minoranza, creditori, fornitori,
dipendenti, Stato.
E,
dunque, l’intervento di salvataggio da parte dello Stato, attraverso la CDP,
con la graduale e negoziata uscita dei soci di maggioranza, è stata, parlando
da un punto di vista professionale, una decisione saggia, responsabile e utile
per il bene comune. Che, di rimbalzo, siano cresciute le azioni di Atlanta può
stupire e rattristare solo persone in mala fede. I mercati, temendo il peggio,
avevano penalizzato terribilmente i titoli che si sono giustamente ripresi
appena l’incubo del fallimento è stato accantonato.
Certamente
questa operazione chiude una privatizzazione mal fatta e peggio gestita sin
dall’inizio, la cui responsabilità risale, se non vado errato, al Governo
D’Alema e al Ministro Letta (Enrico) e a tutti quelli, dopo di lui, che hanno
permesso che l’esercizio della concessione si traducesse in una “bonanza” per
il concessionario, senza verificare e assicurare le necessarie manutenzioni e
investimenti. Si passò allora da un monopolio pubblico ad un monopolio privato
senza assicurarsi che il monopolista privato non come tale si comportasse ma
come un normale concessionario, con diritti ma anche con tanti doveri.
Molti
hanno gridato al lupo al lupo, urlando che questo intervento evidenzia una
rinnovata volontà di statalismo, che la CDP si sta trasformando in un nuovo IRI
e simili. Io non so se nella testa dei governanti stia maturando un nuovo
desiderio di statalismo. Non mancano segnali di questo rischio che, per me, è
un pericolo. Ma questa operazione in sé non è un intervento di questo tipo. È
un intervento di salvataggio nell’interesse comune ed ha, semplicemente,
evitato il peggio per tutti. Era, quindi, necessaria ed è stata una buona
operazione.
Il nuovo ponte di Genova |
Lo
statalismo come politica e come modello è un male e va combattuto, ma non con
letture improprie di casi di interventi di salvataggio, come quello in esame.
In altri casi, come l’ILVA, sarebbe stato assai meglio per tutti (e io lo
suggerii) se lo Stato fosse entrato da subito nel capitale con un intervento di
salvataggio magari insieme a qualche imprenditore operativo nell’ambito di uno
schema per razionalizzare e rafforzare la filiera siderurgica, piuttosto che concludere
un accordo perdente con gli indiani. L’accordo con gli indiani è stato una cosa
peggiore della privatizzazione di D’Alema e Letta. Cose analoghe si potrebbero
dire per l’Alitalia.
Ma
non bisogna essere vittime di pregiudizi. In Germania e Svizzera la rete
autostradale è a gestione pubblica e assicura un servizio all’utenza di alta
qualità e a costi nettamente inferiori a quelli italiani. Il costo di un solo
viaggio di andata e ritorno Milano - Venezia Mestre è ampiamente superiore al
costo della “vignette” svizzera che vale per 14 mesi di libera circolazione su
una rete di 1382 km.
L’errore
di prospettiva nasce quando verso la fine del secolo scorso la classe politica
italiana nella sua interezza, coadiuvata dalla complicità del mondo degli
economisti accademici e dei giornalisti, in nome di un fantomatico “efficientamento”
del sistema, ha coltivato la fiaba che ciò che è privato è per definizione
buono e ciò che è pubblico è per definizione cattivo. Che questo credo sia
stato coltivato soprattutto dagli uomini di sinistra, diventati entusiasti e
puerili neoliberisti, dimostra che aveva ragione Goethe quando diceva che la
storia è l’arcano laboratorio di Dio.
Dobbiamo
risvegliarci da questa ondata di ebetismo e la vicenda Autostrade può essere un
utile scossone per tale risveglio. Purché non ci ricamiamo su delle nuove
sciocchezze.
Ma
con l’ingresso in maggioranza di CDP si apre il tema della responsabilità
imprenditoriale e manageriale. La presenza di eventuali altri investitori di
mercato non deve trarre in inganno. C’è solo una cosa peggiore dei “padroni”,
ed è la mancanza di padroni cioè di chi esercita la responsabilità
imprenditoriale. Il pubblico può essere un padrone intelligente e responsabile,
purché faccia il padrone per davvero e non si comporti da monopolista
irresponsabile, pubblico o privato che sia.