di Marzia Borzi
Gibellini in primo piano |
“La memoria è
tesoro e custode di tutte le cose” affermava Cicerone; “Solo una cosa
non hay. Es el olvido” gli faceva eco Jorge Luis Borges. Eppure non
passa giorno che non si dimentichi. Si dimentica continuamente, costantemente e
quasi tutto. Perfino quegli episodi che nella vita pensiamo possano essere
significativi finiscono per sfumare via, per poi accorgersi, all’improvviso,
magari scrivendo o anche solo in un pomeriggio qualsiasi, che forse non si era
dimenticato affatto. L’incendio di Roccabruna di Angelo Gaccione è un
esempio lampante della «dimenticanza» che prepotentemente torna a farsi
«memoria», di come un’opera letteraria sappia trasformarsi in «macchina del
tempo», della capacità delle storie, delle vicende, dei racconti di riemergere
dalle profondità inermi di chissà quale passato per presentarsi di nuovo come
«voce viva». Un testo che, per una serie di fortuiti motivi, è stato «strumento
attivo» per riaprire anche le mie di ricordanze. In occasione del Premio
Nazionale Letterario e di Cultura Franciacorta, infatti, dove il libro di
Gaccione si è aggiudicato il primo premio, il mio passato, relegato da
tantissimo tempo in chissà quale angolo della memoria, mi si è parato davanti
con tutta la sua prepotenza. È accaduto quando a prendere la parola tra il
pubblico è stato il professor Pietro Gibellini, mio indimenticato docente
universitario negli anni all’Università Cattolica.
La copertina del libro |
Mentre Gibellini parlava con
Gaccione sul ruolo del racconto nella Letteratura moderna, lo confesso, io
divagavo con la mente e riapparivano davanti ai miei occhi i pomeriggi
silenziosi nell’ateneo bresciano, i corridoi che risuonavano dei versi
dell’Alcyone, le aule cullate delle righe de Il piacere, la mente di una
giovinetta stracolma di quell’ostinata difesa della bellezza dannunziana che
tanto spesso mi ha portato in seguito, durante la maturità, a rifugiarmi al
Vittoriale degli Italiani per cercare risposte che forse non troveranno mai
soluzione. Insieme al professor Gibellini, a chiudere il cerchio del mio
passato formativo, era apparso poco prima anche Franco Ziliani, l’uomo che ha
inventato la Franciacorta del docg, il patron di Berlucchi a cui il Premio
Franciacorta è stato giustamente dedicato e il cui ricordo per me sarà sempre
collegato al sapore fruttato del suo vino straordinario.
Castello di Bornato Da sinistra Ziliani, Gaccione, l'economista Marco Vitale e signora |
Ziliani l’avevo
conosciuto, in occasione della stesura della mia tesi di laurea in
antropologia, alla Fratta, una delle sue cantine storiche a Monticelli Brusati
dove ero stata accolta per un corso di approfondimento sul mondo dell’enologia.
Era il secolo scorso. E di quell’uomo forte, di successo, fiero del suo
vissuto, mi era rimasta impressa l’ospitalità generosa, l’empatia e la
semplicità che neppure l’età pare aver scalfito. L’occasione della premiazione
de L’incendio di Roccabruna, dunque, l’insieme stesso dei
racconti che raccoglie e che riportano alla memoria episodi più violenti e meno
dolcemente melanconici di quelli che riguardano la sottoscritta, dimostrano che
la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, è accantonata altrove,
nel tono di una voce che si alza dal pubblico per parlare di Letteratura, nel
profumo di un vino, dovunque si celi la riserva di quel passato che, anche
quando tutto sembra esaurito, sa scuoterci, farci emozionare e dare senso ai
personaggi della nostra terra che meritano di essere ricordati.