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martedì 22 settembre 2020

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada



Il dovere

La desinenza verbale eo dei latini, così come έω dei greci, indica cosa deduce il pastore in alcuni contesti del processo formativo, per cui è assimilabile alle desinenze dei verbi medi e dei verbi deponenti.
Il verbo debeo dei latini si traduce: sono in debito, in quanto, nella logica del pastore, che ha ormai maturato ciò che è giusto secondo natura, se uno ha ricevuto qualcosa, ha il dovere della restituzione, non può non restituire, trattandosi di un atto dovuto. Questo concetto fu dedotto (eo) dalla seguente perifrasi: dall’andare il legare, che rappresenta un aiuto importante, in un momento di estrema difficoltà. Infatti, il participio passato debitus: dovuto si può rendere così: è l’aiuto che ha consentito alla creatura di nascere. L’omologo di debeo in greco è: χράομαι (cràomai): ricevo in prestito, da cui furono dedotti: χρέος (créos) χρέους: debito e da chi fa il debito: πόχρεως (ypòcreos): debitore. Si ricorda che da (cré) χρή: è necessario, bisogna, si deve furono dedotti: creanza (ciò che è necessario fare: le buone maniere), creanzato (in dialetto: accreanzato) e screanzato e, sicuramente, il verbo creo creas: io creo, che è la creazione che si realizza durante la gestazione.
In greco: (to déon déontos) τ δέον δέοντος: bisogno, necessità, dovere è il risultato della seguente perifrasi: è ciò che, dal mancare (per bisogno), sono costretto a fare, che, in assoluto, è il procreare (esseri animali e vegetali), ma è anche il doversi procurare, faticando, ciò di cui si ha bisogno, che è l’indispensabile. Il sostantivo δέον è il deverbale di (dei) δε (dal nascere il mancare): bisogna, è necessario, si deve. Quindi, per i greci, tra bisogno e dovere c’è un nesso inscindibile: la dura fatica, il dovere di andare al pascolo tutti i giorni, al freddo, al gelo, al vento, nelle giornate molto torride, è ciò a cui non ci si può sottrarre, in quanto consente di soddisfare i bisogni primordiali.  Pertanto, in δε, c’è in embrione l’imperativo categorico di Kant.
Per i latini munus muneris: prestazione, compito, funzione ed anche: dono, regalo concerne sempre la metafora del grembo: per far nascere ed avere, quindi, il dono della creatura e dei frutti della terra, è necessario legare, che, indica la dura fatica del gregge e dei campi, che, comunque, è redditizia e remunerativa.
I latini per indicare l’omologo di δέον: dovere, con la valenza di obbligo morale, coniarono obficium, da cui officium: obbligo, dovere, sentimento del dovere, coscienza, servizio, ufficio, incombenza. Il pastore latino identifica l’officium con la sua attività, piena di adempimenti e di cure, soprattutto nei confronti delle partorienti. La traduzione letterale di officium può essere: è ciò che consegue a (ob): l’andare a nascere il passare (il periodo della gestazione, il parto e i nati), che genera il rimanere di ogni altra incombenza. Tante sono le incombenze del pastore, ma assistere le gravide sempre e, soprattutto, durante il parto, è l’obbligo, generato dal sentimento del dovere, a cui non può, in nessun modo, sottrarsi.
In italiano da officium fu coniato officiare con i significati di: celebrare il rito sacro, quindi: attendere ad una funzione importante e avere il compito di. I significati attribuiti oggi a ufficiale, nome e aggettivo, come anche a ufficioso sono stati acquisiti. L’ufficialità di una notizia o di un provvedimento discende dal fatto che promana da chi è stato autorizzato a svolgere un determinato compito.
Pertanto, il dovere degli italici si è sostanziato, oltre che di τ δέον e del debitus, (in dialetto: devo fare il dovere significa restituire quanto ho ricevuto), dell’officium dei latini, che indica anche ciò che è bene fare, in quanto riguarda un compito precipuo, necessario, indifferibile, che richiede il massimo delle cure e delle attenzioni. Quindi, fare il proprio dovere è dedicarsi con scrupolo e coscienza a ciò che ad ognuno compete.
Inoltre, il mancato assolvimento determina ciò che è male, causando danno a sé, alla famiglia, alla società. Quindi, il dovere diventa imperativo morale: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me.
Greci e latini adottarono forme molto simili per esprimere ciò che si deve fare (poietéon estì): ποιητέον στί (aggettivo verbale di II° forma), faciendum est (perifrastica passiva), ad indicare il determinismo meccanicistico, che è proprio dei processi di natura, che rimanda ad νάγκη: forza maggiore, necessità, legge di natura. In altri termini, nel grembo materno, quando la creatura si lega alla madre, tutte le sequenze del processo formativo determinano un mancare, che è ciò che, gradualmente, nasce. Tutto quanto fa parte del processo deve nascere, necessariamente deve avvenire per come stabilito da natura. Si ricorda che devo andare, in dialetto: aggia ii, si rende in due modi: andrò e mihi eundum est. Infatti, nel processo formativo, coesistono due realtà: il nascere dell’andare, come qualcosa che manca e che, quindi, è collegato all’attesa del futuro, e la necessità di andare, come accadimento che non può non avvenire.