La
desinenza verbale eo dei latini, così come έω dei greci, indica cosa deduce il pastore in alcuni
contesti del processo formativo, per cui è assimilabile alle desinenze dei
verbi medi e dei verbi deponenti. Il verbo debeo dei latini si traduce: sono
in debito, in quanto, nella logica del pastore, che ha ormai maturato ciò
che è giusto secondo natura, se uno ha ricevuto qualcosa, ha il dovere della
restituzione, non può non restituire, trattandosi di un atto dovuto.
Questo concetto fu dedotto (eo) dalla seguente perifrasi: dall’andare il
legare, che rappresenta un aiuto importante,in un momento di
estremadifficoltà. Infatti, il participio passato debitus:
dovuto si può rendere così: è l’aiuto che ha consentito alla creatura
di nascere. L’omologo di debeo in greco è: χράομαι (cràomai): ricevo in prestito, da cui furono
dedotti: χρέος (créos) χρέους: debito e da chifa
ildebito: ὑπόχρεως (ypòcreos): debitore. Si ricorda che da (cré) χρή: è necessario, bisogna, si deve
furono dedotti: creanza (ciò che è necessario fare: le buone maniere),
creanzato (in dialetto: accreanzato) e screanzato e, sicuramente,
il verbo creo creas: io creo, che è la creazione che si realizza
durante la gestazione. In greco: (to déon déontos) τὸδέονδέοντος: bisogno, necessità, dovere
è il risultato della seguente perifrasi: è ciò che, dal mancare (per
bisogno), sono costretto a fare,che, in assoluto, è il procreare
(esseri animali e vegetali), ma è anche il doversi procurare, faticando,
ciò di cui si ha bisogno, che è l’indispensabile. Il sostantivo δέον è il deverbale di (dei) δεῖ (dal nascere il mancare): bisogna, è necessario, si
deve. Quindi, per i greci, tra bisogno e dovere c’è un nesso
inscindibile: la dura fatica, il dovere di andare al pascolo tutti i
giorni, al freddo, al gelo, al vento, nelle giornate molto torride, è ciò a cui
non ci si può sottrarre, in quanto consente di soddisfare i bisogni
primordiali. Pertanto, in δεῖ, c’è in embrione l’imperativo categorico di Kant. Per i latini munus muneris: prestazione,
compito, funzione ed anche: dono, regalo concerne
sempre la metafora del grembo: per far nascere ed avere, quindi, il
dono della creatura e dei frutti della terra, è necessario legare,
che, indica la dura fatica del gregge e dei campi, che, comunque, è redditizia
e remunerativa. I latini per indicare l’omologo di δέον: dovere,con la valenza di obbligo
morale, coniarono obficium, da cui officium: obbligo, dovere,
sentimento del dovere, coscienza, servizio, ufficio,
incombenza. Il pastore latino identifica l’officium con la sua
attività, piena di adempimenti e di cure, soprattutto nei confronti delle
partorienti. La traduzione letterale di officium può essere: è ciò
che consegue a (ob): l’andare a nascere il passare (il periodo della
gestazione, il parto e i nati), chegenera il rimanere di ogni altra
incombenza. Tante sono le incombenze del pastore, ma assisterele
gravide sempre e, soprattutto, durante il parto, è l’obbligo,
generato dal sentimento del dovere, a cui non può, in nessun modo,
sottrarsi. In italiano da officium fu coniato officiare
con i significati di: celebrare il rito sacro, quindi: attendere ad una
funzione importante e avere il compito di. I significati attribuiti oggi a ufficiale,
nome e aggettivo, come anche a ufficioso sono stati acquisiti. L’ufficialità
di una notizia o di un provvedimento discende dal fatto che promana da chi
è stato autorizzato a svolgere un determinato compito. Pertanto, il dovere degli italici si è
sostanziato, oltre che di τὸδέον e del debitus, (in dialetto:
devo fare il dovere significa restituire quanto ho ricevuto), dell’officium
dei latini, che indica anche ciò che è bene fare, in quanto riguarda
un compito precipuo, necessario, indifferibile, che richiede il massimo delle
cure e delle attenzioni. Quindi, fare il proprio dovere è dedicarsi con
scrupolo e coscienza a ciò che ad ognuno compete. Inoltre, il mancato assolvimento determina ciò che èmale, causando danno a sé, alla famiglia, alla società. Quindi, il
doverediventa imperativo morale: il cielo stellato sopra di me, la
legge morale dentro di me. Greci e latini adottarono forme molto simili per
esprimere ciò che si deve fare (poietéon estì): ποιητέονἐστί (aggettivo verbale di II° forma), faciendum est (perifrastica
passiva), ad indicare il determinismo meccanicistico, che è proprio dei
processi di natura, che rimanda ad ἀνάγκη: forza maggiore, necessità, legge
di natura. In altri termini, nel grembo materno, quando la creatura si lega
alla madre, tutte le sequenze del processo formativo determinano un mancare,
che è ciò che, gradualmente, nasce. Tutto quanto fa parte
del processo deve nascere, necessariamente deve avvenire per come
stabilito da natura. Si ricorda che devo andare, in dialetto: aggia
ii, si rende in due modi: andrò e mihi eundum est. Infatti,
nel processo formativo, coesistono due realtà: il nascere dell’andare, come
qualcosa che manca eche, quindi, è collegato all’attesa del
futuro,e la necessità diandare, come accadimento che non
può non avvenire.