La
ragione La formazione del lessico fu opera della mente
umana, veramente geniale ed estrosa, per come si evince dalle tecniche usate
per coniarlo. Con i simboli del codice e con i calchi, adatti ad interpretare
la realtà fenomenica della formazione dell’essere, l’uomo formò tantissime
parole. Laddove questi strumenti risultarono inadeguati, i greci escogitarono
la forma media dei verbi e, presumibilmente, i verbi in μι, mentre i latini
adottarono i verbi deponenti. Inoltre, la desinenza verbale έω (ho per me da)
dei greci, così come eo dei latini, svolse la stessa funzione, in quanto
indica ciò che deduce il pastore in alcuni contesti del processo di formazione
dell’essere. Non è il caso di soffermarsi sulle differenze della diatesi dei
deponenti e di quella mediopassiva. Il pastore greco
dedusse da μήδ-ομαι (médomai): penso,
considero, delibero, escogito, mi preoccupo, a
seguito di questo ragionamento: che cosa faccio durante una gravidanza, una
gravidanza che si protrae o un travaglio difficile? e ne ricavò quanto si è
già detto. Con μηδ disse: si genera il rimanere dal nascere (dal
mancare), con ομαι aggiunse: è ciò che io ritengo si verifichi per
me in questo contesto. In realtà, come sempre, il significato viene dato da
chi concepisce la parola. Poi, da questo verbo venne coniato il deverbale: μῆδοςμῆδους: pensiero,
disegno, consiglio, cura. Inoltre, i latini da μῆδος
(medos) dedussero medito, che è ciò che fa chi è immerso nei suoi
pensieri. Da μείρ-ομαι
(mèiromai): ricevo la mia parte, ottengo, ho in sorte, ripartisco,
che è ciò che fa il pastore quando nasce l’agnellino, furono dedotti: μοῖρα (mòira): parte
giusta, destino e μέρος: parte, stima,
considerazione. La radice μέρος (meros) trasmigrò
nel mondo latino, dove furono coniati mereo: guadagno, merito,
sono meritevole, merenda e mereor: rendo un servizio,
mi comporto e il merito. La parola nel suo divenire racconta usi
e costumi. Quando non c’era la circolazione monetaria, si divideva il frutto
del lavoro sulla base di criteri, che, logicamente, venivano stabiliti da chi
deteneva il potere, per cui c’erano quelli che vantavano benemerenze e
ottenevano la parte cospicua, assegnando briciole a chi aveva svolto lavori
gravosi ed estenuanti. Coniando κτάομαι (ktàomai):
mi procuro, mi procaccio, il pastore greco usò questa perifrasi: la
nascita di una creatura è per me un procurarmi o un procacciarmi. In
italiano si dedussero: accattare, nel senso di cercare anche
elemosinando, la locuzione avverbiale diaccatto, accattone,
raccatto e, nel mio dialetto, con accattare s’intende dire: acquistare
pagando. Sempre nel mio dialetto si accattano (si comprano) i figli
che nascono, la qual cosa induce a pensare al legame strettissimo con ktàomai: mi
procuro, mi procaccio.
Con il verbo φοβέομαι (fobèomai):
temo, ho paura, il pastore greco indicò cosa provava
nell’imminenza del parto, con l’attivo φοβέω disse: incuto
paura, spavento, mentre con φόβοςφόβου
dedusse: spavento, panico. Il pastore latino, quando formulò il verbo
deponente tueor tueris, tuitus sum, tueri: osservo,
esamino, esploro, mi prendo cura, preservo, custodisco,
difendo, elaborò questo tipo di perifrasi: nel momento in cui la
creatura tende, conseguono questi compiti per me: quelli or ora riportati.
Sicuramente, o in modo diretto o in modo indiretto, fu dedotto tutus: custodito,
preservato, difeso, sicuro, da leggere: la gestante preserva
la creatura che lega a sé, che è, quindi, al sicuro. Da tutus furono
dedotti: tutela, tutelare, l’aggettivo tutelare (da cui:
il nume tutelare), tutore e, perché no, tutor degli
inglesi. Da tueor si ebbe intueor: osservo attentamente, esamino,
tengo conto di, prospetto, quindi: da chi ha intuito si
dedusse, dall’esame attento di ogni particolare, la facoltà di saper leggere
elementi di novità, dai latini indicata con intuitus intuitus. Da questa
analisi si deduce che l’intuito è, sicuramente, una capacità della mente
o di alcune menti e serve per dedurre nuove conoscenze. Tanto è possibile,
però, se ci sono conoscenze pregresse.
I greci ricavarono
dal verbo αἰσθάν-ομαι
(aisthànomai): mi accorgo, percepisco con i sensi, sento,
in quanto pensarono che, quando si evidenzia il grembo, si deduce quanto detto.
Poi, da questa radice e con l’alfa privativa, si formarono: anestesia,
che è la sostanza che consente di non sentire, e anestetico.
Omologhi di αἰσθάν-ομαι
sono sentio e percipio. Da θεάομαι
(theàomai): guardo, osservo, che è ciò che fa il pastore, quando
nota un pronunciamento del grembo, greci e latini dedussero teatro. Da κωμόομαι: cado
in un sonno letargico, conseguente a ciò che accadrebbe al pastore, se
stesse nel grembo come la creatura, fu formato il deverbale κῶμακῶματος: sonno
profondo, sopore. Coniando testor
testaris: proclamo, attesto, testimonio, il pastore
latino testimoniò un suo credo in alcune sequenze del processo formativo,
asserendo: genera il crescere l’andare a legare, per poi determinare
la spinta. Ricavò il concetto di attestare, nel dire pubblicamente
ciò che è vero, da convincimenti profondi di ciò che realmente avviene in
natura. Da testor fu dedotto teste, che è colui che testimonia.
Lo stesso processo logico avevano seguito i greci, coniando μαρτυρ-έω (martyrèo): attesto,
proclamo.
Con moror
moraris: mi attardo e cunctor cunctaris: temporeggio,
il pastore latino asserisce che, secondo lui, quando il parto va oltre il tempo
stabilito, la creatura ritarda o si prende altro tempo. Da conor,
che dette luogo a conatus: tentativo, sforzo, slancio, il
pastore tanto dedusse a seguito delle incessanti spinte in avanti della
creatura. Per rappresentare il morire (morior) si avvalse dell’immagine
della creatura, come se fosse sepolta nel grembo. Con fungor
fungeris, functus sum, fungi: adempio, assolvoa,
mando ad effetto, compio, il pastore latino dedusse i suddetti
significati mediante questa perifrasi: è ciò che consegue per me durante la
gestazione delle gravide, che determina la funzione cui assolvo.
Nella lingua italiana da fungor è rimasta l’espressione funge a o
funge da, mentre da functus (che ha svolto il compito)
furono dedotti: funzione, funzionale, funzionalità, funzionare,
disfunzione, funzionamento. Elaborando reor
reris, ratus sum, reri: credo, sono persuaso, giudico,
stimo, calcolo, penso, il pastore parafrasò: con l’inizio
della gestazione, mi chiedo tante cose e anche: questo inizio porta a stabilire
la data di nascita. Quindi, da ratus, da tradurre: chi ha pensato,
ha stimato, ha calcolato, alla lettera però: con il passare
del tempo si genera la nascita della creatura, che porta ad una data certa,
furono dedotti: ratio rationis: congettura, calcolo,
computo, facoltà di ragionare, principio, norma, l’utile,
quindi: la ratio (legis), ma anche ratione(ablativo),come facoltà, capacità del pensiero, il
logos dei greci, quindi:razionale, razionalità, razionalismo,
razionalizzare, irrazionale, mentre gli italici dedussero
anche: ragione, sia ad indicare il motivo per il quale, sia nel
senso di: avere ragione, quindi: ragionare, ragionamento ecc.
Pertanto, ragionare indica, in
modo essenziale, la capacità della mente umana di dedurre nuove conoscenze,
partendo da alcuni dati.
Da sequ, che
si può rendere con la seguente perifrasi: dal mancare passa la creatura,
il pastore latino con sequor dedusse che, dopo la nascita, a lui
incombeva il compito di seguirla. Si ricorda che, in greco, uno dei modi
per indicare seguire è δια-τελέωe che τελέω
significa: finisco, portoa termine. Da sequor
furono coniati: sequenza, sequela; poi, gli italici, a
seguito di modificazioni foniche, pronunciarono seguo ciò che per i
latini era stato sequor, da cui dedussero: seguente, seguìto e
da ciò che segue ricavarono: séguito; quindi, con dei prefissi
davanti a seguo e a sequor ebbero: inseguire, perseguire,
proseguire, conseguire, obsequor: accondiscendo, mi
conformo a, compiaccio, rendo omaggio, per cui si ebbe il
deverbale obsequium (ossequio).Da secutus sum:
ho seguito, mediante dei prefissi furono dedotti persecutus (chi
ha perseguitato, come un’ombra o anche per vendicarsi) e persecuzione,
consecutus (venuto subito dopo) e consecutivo, prosecutus
(ha seguitato) e, quindi, prosecuzione e tantissime altre
voci. Ho dimenticato di dire che da sequor nasce
anche sencundus, per cui seguo non solo il primo ma anche il
secondo e, nel seguire i piccoli, si è portati a secondarli e ad assecondarli. Così dalla radice fat (fa generare
il tendere, quando il grembo è evidente: di fronte a fatti incontestabili)
coniò fateor: ammetto, riconosco, poi: confessus e confessione,
professione, nel senso iniziale di pubblicaammissione e/o
dichiarazione, quindi: professor: pubblico maestro.Con fruor frueris, fruitus/fructus sum, frui: godo
di, mi compiaccio di, fruisco di, i latini dedussero cosa
provavano per la nascita di un frutto o di un animale. Quindi da chi
ha fruito fu dedotta la fruizione. I greci da
(aitiàomai) αἰτιάομα: adduco come motivo, come ragione, come
causa, accuso, incolpo, imputo, dedussero quanto
riportato, a seguito di una considerazione di questo tipo: dico che ho un
impegno improcrastinabile, adducendo una nascita imminentecome
causa o colpa di un mio rifiuto. Dal verbo di cui si parla coniarono i
deverbali: αἰτία: causa determinante, donde eziologia come
ricerca delle cause, e αἰτίασις: accusa.
I latini coniarono il verbo deponente causor
causaris: adduco come motivo, come ragione, come causa,
seguendo lo stesso percorso logico dei greci e dedussero causa come motivo
determinante. Quindi si strutturò l’ablativo causa, per indicare a
causa di o anche la causa di, come, ad esempio, in causa
disserendi: oggetto di controversia, che determinò, presumibilmente,
la chiamata in giudizio. Si vuole, comunque, sottolineare chea aitiàomai, i greci
attribuirono anche il significato: io accuso, per cui i latini, per una
sorta di contaminazione logica, sarebbero arrivati al concetto di causa
come accusa. Prima di porre fine
a queste esemplificazioni, mi piace soffermarmi su ut-or (alla
greca, la radice è da scrivere: υθ) uteris, usus
sum, uti: facciouso di, mi servo di, mi
avvalgo di, pratico, che, fuor di metafora, è il far crescere gli
animali, di cui il pastore fa largamente uso, da cui usanza. Da
utor furono dedotti: utente, utenza, utensile, ma
soprattutto: utile, nel senso di ciò che serve ed è redditizio. Voglio concludere
con alcune osservazioni sui verbi semideponenti, che possono avere la funzione
dei deponenti. Essendo la parola un costrutto logico, laddove, sulla base di
schemi fissi, la parola o non aveva senso o determinava un’evidente omofonia, i
latini potrebbero aver adottato questo espediente. Con la radice aud, da
tradurre: dall’ho il mancare, da rendere: in una situazione disperata,
il pastore latino, con il deduttivo eo, pensò che, in quei momenti, a
lui spettava questo: osare. Probabilmente, per evitare confusione con il
paradigma di audio, adottò, al perfetto, ausus sum. Un processo
similare avvenne per fido fidis, fisus sum, fidere, nel
senso che il conio del participio passato, nella forma consueta, sarebbe stato
in contraddizione logica con la particolare filosofia del pastore.