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lunedì 30 novembre 2020

LE ENCLICLICHE DI BERGOGLIO
di Emilio Molinari



Dialogando con Mario Agostinelli
 
Il lavoro di Mario sull'Enciclica Fratelli tutti è una importante sintesi per aprire un dialogo nelle associazioni “sorelle”.
Concordo con quanto scrive, e siccome scambio le mie opinioni con lui solo telefonicamente, tento di interrompere la pigrizia da isolamento Covid e mettere per iscritto le telefonate. Parto dallo scritto di Mario, e cerco di metterne in fila alcuni punti. I paradigmi li chiamerei così, con i quali cerchiamo di ricostruire (riprogrammare) i movimenti e la politica del XXI secolo.
Parto dal punto fermo che sta nelle due Encicliche e prima ancora nelle grida degli scienziati sulla salute del Pianeta: la portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo... il lento declino della vita vegetale e animale. Ciò dà il segno al nostro tempo.
Per noi che ci parliamo, ci scriviamo ecc. sembra cosa scontata, non sentiamo il bisogno di ribadirlo in ogni occasione, ma va fatto, perché non è scontato per la maggioranza della gente. Non lo è, o lo è timidamente o lo è in modo mistificato o elitario, per il popolo democratico, che pure è l'unico tenue argine al negazionismo ambientale del popolo di destra.
E questa non priorità culturale, ci limita nel trovare la strada per parlare alla mente e ai sentimenti di questa destra che un tempo era il nostro popolo. Era il mio popolo ed è una sofferenza innaturale, saperlo dall'altra parte. C'è qualcosa di arrogante nei termini populismo e sovranismo, nel trasformare il popolo e la sovranità popolare in qualcosa di spregevole. La Fratelli tutti solleva il dubbio che forse qualcuno si è troppo allontanato dal popolo e dai suoi bisogni. Ma le Encicliche non hanno suscitato il moto auspicabile delle coscienze, non hanno trovato molti predicatori trasversali, nemmeno tra i compagni più a sinistra. Ha prevalso in loro l'abitudine dei propri pensieri: l'ostilità atea, resa una religione, per tutto ciò che odora di preti e di Vaticano, il positivismo scientifico, l'arroganza modernista e materialista di essere nel senso della storia. Con il movimento dell'acqua si era aperta una strada, dal basso, tra la gente e per un attimo si era aperto quel dialogo trasversale su di un tema solidale come la materialissima realtà della crisi idrica mondiale e della mercificazione di un bene comune indispensabile base della vita. 
Si era anche visto che non aveva scalfito la politica e le granitiche abitudini degli attivisti. La crisi dell'acqua mi aveva fatto scrivere che il paradigma del secolo sarebbe stato Salvare il Mondo e che con questo: cambiava tutto.
Questo punto fermo, scrive Mario, ci dice che occorre: separarci definitivamente dall'idea dello sviluppo. Da due secoli questo dogma impregna tutta la politica, magari presentato come “sviluppo sostenibile. Crescita del PIL come oggettività universale e scientifica. Sinonimo di democrazia e libertà della persona. A questo dogma non si è ancora sottratta la sinistra e nemmeno il sindacato più radicale. Una illusione di massa: la torta (la ricchezza prodotta) va comunque sempre aumentata se si vuole redistribuirla. Ma la portata del disastro fa sì che lo sviluppo deve cedere il passo al bisogno di sopravvivenza e qui sta il cambio e la necessità della rottura. È questo il passaggio dall'era passata, alla nostra era.
Crescita o decrescita o sobrietà, non importa come chiamare la necessità di ritornare al valore d'uso come primaria condizione che comunque vuol dire produrre e consumare meno e che non basta “il riciclo”. 




Pensare o riflettere attorno al ridurre il superfluo e l'ostentato, solleva immediate reazioni, pensare a una decrescita governata dalla politica e dal consenso popolare, è solo una utopia green, mentre il Covid con materialistico realismo ci costringe ad una decrescita globale senza precedenti nella storia. Non governata, disordinata come la rotta di un esercito sconfitto. Non si vuol vedere e non se ne parla, che il Covid è figlio del Pianeta violentato dalla distruzione delle foreste, degli allevamenti intensivi, delle piattaforme produttive globali, dell'inquinamento dell'aria e dell'acqua. È quindi il Pianeta che ci sta obbligando ad una decrescita e lo farà sempre di più se non interviene una rottura nel pensiero, fare i conti antropologici, economici, finanziari, con la nuova era.
Venendo alle considerazioni diverse: L'Enciclica Fratelli tutti tratta due questioni che ci chiamano a questa rottura.
Il lavoro e la fraternità.
Il lavoro: portare il lavoro e la natura dalla stessa parte. Non è cosa facile, è l'impegno e la prassi della conversione ecologica dell'economia. ne parliamo da decenni e da decenni ci scontriamo con i lavoratori e non è una teoria da proferire in un dibattito per poi lasciare tutto come prima. Non è nemmeno ridurre la rottura a solo azioni personali: non mangio carne e se tutti lo fanno... non prendo la macchina e se tutti lo fanno, ecc... È un processo che si scontra con il tempo e si scontra soprattutto con il lavoro e i lavoratori. Lo stesso vale se chiedi di ridurre il cemento, il petrolio, il pesticida, la plastica.  Insorgono lavoratori, padroni e politica.
Molti soggetti si candidano a protagonisti nella scena della trattativa con i potenti: gli scienziati, le donne, gli studenti.
Il mondo del lavoro è sparito, eppure:
- Senza un mondo del lavoro cosciente in cui la posta in gioco è la vita, non c'è conversione ecologica. Se non ci si rende conto che è posto in un ruolo “privilegiato" dove può esercitare un controllo e una decisionalità, come lo può fare lo scienziato, non c'è conversione ecologica.
- Senza il lavoro, i diritti sociali e la natura dalla stessa parte, le popolazioni restano radicalmente e politicamente spaccate in due. Incapaci ad affrontare la sopravvivenza della specie.
- Senza questa rottura epocale che li rimette in gioco come soggetti attivi della conversione ecologica, i lavoratori escono dalla storia e diventano soggetti negativi dentro un immane scontro.
Andare oltre la classe e riconquistare la scena mondiale.
Il lavoro di per sé non dà dignità e oggi, per molti, è schiavitù.
Ho vissuto il tempo dell'orgoglio operaio per il proprio mestiere o del proprio ruolo sociale e so che queste erano le cose che davano dignità al lavoro. La davano a chi lo sentiva come realizzazione delle proprie mani, del proprio cervello o a chi sentiva, anche alla catena di montaggio, che stava trattando con i potenti, l'avvenire di tutti.



È cambiare tutto e riproporre in modo diverso molte questioni.
Questo ci chiede a noi, associazioni impegnate, ce lo diciamo da tempo con Mario ed altri, alcune predisposizioni a:
- rivolgere la “predicazione” e la formazione alla nuova era, oltre che ai giovani e alle scuole, al mondo del lavoro.
- tradurre la complessità degli argomenti, praticando un linguaggio che spesso è di bisogni inascoltati e oscurati dal risentimento, cercando superfici di contatto. Diamo per scontato l'incomunicabilità di due mondi e che gran parte del lavoro e della disoccupazione stia ormai nell'altra barricata, mentre si tratta di uscire noi dalla nostra barricata, che spesso si presenta antipatica, con la vanità del colto, l'invenzione dei termini e la priorità dei suoi desideri.
unire i cantieri dei lavori in corso, pervasi da autoreferenzialità.
Le Encicliche vanno oltre, ci chiedono di rielaborare i concetti e le pratiche del conflitto di classe, del femminismo, dell'unità.
Quando l'enciclica Fratelli tutti inverte l'ordine delle priorità nella triade: libertà, eguaglianza, fraternità, mettendo la fraternità al primo posto, opera una rivoluzione culturale che molti compagni e compagne liquideranno per cattolica, ma per una attenta lettura laica è la materialità del disastro della Casa Comune che lo impone.
Essere fratelli tutti, è qualcosa in più dell'eguaglianza, è coscienza che la libertà, senza fraternità, è anche individualismo è anche indifferenza, che la “malattia” del pianeta o del singolo è la tua “malattia”, che laicamente qualcuno scriveva: “l'uomo non è un’isola, è un continente... non chiederti perciò per chi suona la campana. Suona anche per te”.
Fraternità dà un senso universalistico ai contenuti alle lotte.
Non è la fine dei conflitti, e delle contraddizioni di classe o tra uomo e donna. È qualcosa di molto difficile a cui tendere nei conflitti, animandoli con l'unità di tutti. Conflitto difficile, che cerca la condivisione per affrontare la conversione ecologica.
Siamo sulla stessa barca. È un concetto che per la mia cultura era una presa in giro capitalista e lo è ancora quando chiede sacrifici ai lavoratori per la prosperità dell'azienda “bene comune”. Quando chiede al lavoratore e ai cittadini di cogestire il proprio impoverimento.
Viviamo da decenni in questo regime miserabile di “cogestione”.
Ma diverso sarebbe il senso di questo termine se fosse partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende per gestire la cura del bene comune o iniziare la loro transizione ecologica.
Penso all'acqua e alle reti idriche, all'energia, ai trasporti, ai fallimenti di queste politiche e dei disastri privati di tali aziende.
Cogestione/partecipazione/unità da conquistare, con il conflitto, con la contrattazione con lo spirito della fraternità.