L’ORO DELLE MAFIE. COLPIRLE AL CUORE di
Elio Veltri
La confisca dei beni è l’unico strumento per
battere le mafie.
Ho Voluto scrivere L’oro delle
mafie con Franco Latorre e Domenico Morace per diverse ragioni.
Innanzitutto sull’argomento specifico non ne avevo trovato nelle librerie.
Certo, tutti i libri che si occupano di mafia accennano a storie di confische,
ma il racconto di 14 storie con relative confische da sud a nord del paese, con
diramazioni all’estero non ne avevo trovato. Ed è bene dire subito che sia i
giornali, che radio e televisioni spesso parlano di carcere forse perché la
galera è più televisiva della confisca dei beni. Ma i mafiosi non se ne
preoccupano più di tanto, anzi qualche volta il carcere serve per incontrare
compagni di viaggio all’interno e discutere di affari. Per cui la lotta alla
mafia ottiene risultati positivi solo se si confiscano i soldi e i beni e si
mettono a disposizione della collettività. Purtroppo però le confische rispetto
la longevità della legge Rognoni-Latorre, che a quest’ultimo costò la vita,
perché appena presentò la legge in Parlamento fu assassinato. L’unico
parlamentare che Cosa Nostra, allora (anni ’80) egemone, uccise, perché aveva
capito che le confische, se realizzate, sarebbero state molto più efficaci del
carcere. Ebbene, purtroppo, nei 38 anni di vita della legge, secondo i dati
forniti dalla Commissione antimafia del Parlamento nella scorsa legislatura,
presieduta da Rosi Bindi, i beni confiscati sono il 4% di quelli catalogati
nelle banche dati della stessa Commissione Antimafia e del Ministero della Giustizia.
Il che significa che la percentuale rispetto a tutti i beni delle mafie
italiane è molto più bassa e non è affatto confortante.
Inoltre, i soldi molto
più difficilmente vengono recuperati allo Stato perché in genere sono imboscati
nelle banche estere che spudoratamente hanno riciclato miliardi di dollari e di
euro. Cito due esempi dei quali ha scritto in un articolo su “La Stampa” Gian
Antonio Costa che per cinque anni ha ricoperto il ruolo di responsabile
dell’ONU per la criminalità organizzata. La banca Wakovia, americana ha
riciclato 380 miliardi di dollari del Cartello di Sinaloa (Droga) negli anni
2008-2010 e La Banca Inglese Hsbc, la più grande d’Europa, ha ammesso di avere
riciclato miliardi di narco reddito. Costa fa questa riflessione. Di fatto le
banche che hanno ammesso tutto non hanno pagato, mentre se un ragazzo viene
preso con una dose in tasca rischia di andare in galera. E il riciclaggio di
denaro sporco, che non è tutto di origine mafiosa, nel mondo raggiunge cifre
spaventose nel silenzio degli Stati singoli e anche dell’Unione Europea.
Di
recente una inchiesta giornalistica dal nome Fincen Files, fondata su documenti
riservati americani ottenuti da Buzz Feed News e condivisi con “L’international
Consortium of Investigative Journalists”, ha parlato di operazioni bancarie
sospette analizzate da 110 testate di 88 paesi, tra cui l’Espresso, unico
giornale italiano che aderisce al Consortium. “Più di 400 giornalisti hanno per
16 mesi indagato oltre 2100 rapporti elaborati dal Fincen (Financial Crimes Enforcement
Network), l’organismo antiriciclaggio degli Stati Uniti. I file americani
documentano operazioni sospette per più di 2000 miliardi di dollari tra il 2008
e il 2017. Un troncone dell’inchiesta ha riguardato la Danske Bank, Danese, al
centro di uno scandalo di riciclaggio di 200 miliardi. Da fare invidia alle
mafie! Un fiume di denaro incanalato dalle filiali in Estonia e Lituania. Gli
alti funzionari interrogati dai magistrati Estoni che chiedevano da dove era
arrivato il denaro per comprare gioielli, macchine di lusso ecc. hanno avuto
sempre la stessa risposta: non ricordo.