MAFIE: CONFISCARE PER VALORIZZARE di
Angelo Gaccione
Un amico a cui avevo accennato del
libro L’oro delle mafie. Il grande affare delle confische, mi ha detto
che si rifiuta di leggere libri come questi, perché gli monta il sangue alla
testa. Gli era bastato, così ha proseguito, quanto aveva scritto su “Odissea” a
questo riguardo Elio Veltri in un paio di articoli. Già allora aveva provato
una grande rabbia. Elio Veltri è appunto uno degli autori di questo ben
documentato volume, assieme a Franco La Torre e Domenico Morace, pubblicato
dalle Edizioni Paper First de “il Fatto Quotidiano”. Anche a me monta il sangue
alla testa, e certamente monterà alla testa di tutti quei lettori che apriranno
le pagine di questo libro e si troveranno davanti a passaggi come questi: “E
cosa pensare quando leggiamo che la cosca ’ndranghetista Arena ha avuto legami
d’affari con ditte e banche svizzere, tedesche e sammarinesi nella realizzazione
del più grande parco eolico d’Europa? E della signora Caterina Briganti che,
nell’aprile del 1996, si presenta allo sportello della filiale di Santo Stefano
d’Aspromonte del Monte dei Paschi di Siena e ritira, in un sol colpo, oltre 5
miliardi delle vecchie lire?”. O quando apprenderanno che il Fondo
Monetario Internazionale nel 2017 ha calcolato l’evasione fiscale italiana a
110 miliardi di euro, e una parte considerevole di questa cifra è frutto di
attività mafiose. Desta scandalo venire a sapere che non si conosce nemmeno la
quantità dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose e criminali; non se ne
conosce il valore complessivo, e soprattutto che di questi beni non si mette a
frutto che poca cosa. I tempi per la confisca sono lunghissimi e quelli per un
loro riutilizzo legale diventano biblici. Capite bene che se si tratta di
imprese, questo modo di procedere le condanna fatalmente a morte. Un’impresa
confiscata non può aspettare i tempi di una giustizia incancrenita: ha bisogno
di stare in vita e continuare a produrre, per non essere espulsa dal mercato,
per garantire posti di lavoro alle maestranze e sopravvivenza alle loro
famiglie. Toglierle dalle mani dei mafiosi e procedere ad una forma di cogestione
Stato-lavoratori, con manager di provate capacità gestionali, potrebbe essere
una soluzione rapida ed efficace. Il capitolo di pagina 143: “Una storia a
lieto fine”, ci mostra con un esempio concreto, come questa via possa essere
perseguita con successo. Ma è la marea di beni immobili che deve trovare una
rapida collocazione.
Il libro ci segnala che essi restano in un limbo per anni
ed anni, fino al deterioramento, fino ad una loro scandalosa perdita di valore.
Una classe dirigente degna di questo nome avrebbe già da tempo fatto le necessarie
modifiche ad una legge che ha tuttora troppi lacci e impedimenti. Esistono gli
strumenti tecnici per ovviare a molte deficienze e manchevolezze; esistono
competenze e personalità di indubbio valore e capacità; esistono ambiti sani in
cui pescare uomini e donne di grande rigore morale ed onestà. Non ci sono solo
corrotti e collusi in questo nostro Paese. Si tratta di dargliene i mezzi e il
sostegno; di fare quelle modifiche giuridiche necessarie che permettano loro di
agire e di ben lavorare. Con la quantità smisurata di denaro che si potrebbe ricavare
da una efficiente gestione di questi beni, pagheremmo il loro lavoro e potremmo
impiegarli per le necessità dello Stato e della società intera. Abbassare le
tasse, ridurre il debito pubblico, aiutare la sanità, soprattutto in momenti
come quelli che ora stiamo vivendo. Una parte degli immobili potremmo metterli
in vendita, un’altra parte usarla come uffici, scuole, ambulatori, case di
riposo, ritrovi per la socialità, e così via. Se prendessimo seriamente di
petto la situazione, i 43 miliardi di euro all’anno calcolati dal procuratore
Gratteri e che la ’ndrangheta movimenta per i suoi loschi affari e ripulisce
con l’ausilio di professionisti, banche, colletti bianchi insospettati,
funzionari pubblici compiacenti o infedeli, uomini politici infami, zone
franche internazionali, sarebbe la Repubblica a movimentarli, a beneficio della
nazione. Ma bisogna averne la voglia. Altrimenti libri come questi
continueranno a far montare il sangue alla testa ad una massa di cittadini
italiani sempre più vasta. E quando il sangue monta alla testa, anche chi crede
di sedere al sicuro in Parlamento, sicuro non lo è più.
La copertina del libro
La
Torre, Morace, Veltri L’oro
delle mafie. Il grande affare delle confische Paper
First Ed. 2020 Pagg.
254 € 16