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lunedì 28 dicembre 2020

INTORNO A DINO FORMAGGIO
di Gabriele Scaramuzza

Dino Formaggio

Hanno potuto venir pubblicati solo ora gli Atti degli incontri su Dino Formaggio svoltisi sei anni fa tra Padova e Praglia. In concomitanza a questi si è potuto visitare a Teolo il Museo d’Arte Contemporanea a lui intitolato; e nello stesso 2014 è uscito, sempre presso Antiga, L’arte. Il senso di una vita. Disegni - acquarelli - oli - sculture di Dino Formaggio artista, a cura di Sergio Giorato; un libro ricco di immagini e con scritti, oltre che del Sindaco di Teolo, di Daniele Formaggio, Stefano Annibaletto, dello stesso Giorato, e mio. Gli Atti sono stati presentati alla Casa della Cultura il 24 novembre scorso, e saranno presenti anche in una sezione apposita di “Materiali di Estetica” 7/2020. Atti e loro presentazioni sono stati coordinati da Adriana Zeni Formaggio.
In questo contesto vorrei ricordare anche la conversazione su Dino Formaggio (nel decimo anniversario della morte), tenuta nella Biblioteca del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano (depositaria della biblioteca personale e di testimonianze varie di Formaggio), il 15 novembre 2018. Ha introdotto Luca Bianchi, erano presenti Adriana Zeni e Damiano Formaggio, hanno preso la parola Laura Frigerio, Andrea Pinotti, Amedeo Vigorelli e il sottoscritto. Contestualmente è stata inaugurata la Mostra bibliografico-documentaria, dedicata a Formaggio; di questa ho scritto la presentazione. Tra il pubblico c’era Maddalena Mazzocut-Mis, in sua compagnia ho visto per l’ultima volta Dino Formaggio all’Ospedale di San Bonifacio: resteranno nel mio sempre l’immagine di affettuosa fragilità, lo smarrimento, di quel giorno. 
Tornando agli Atti, a una paginetta di presentazione di Moreno Valdisolo, Sindaco di Teolo, segue Ricordare Dino Formaggio di Adriana Zeni, vera e propria presentazione generale; qui è ripreso un toccante foglietto scritto da Formaggio a 19 anni, il 7 novembre del 1933, giorno in cui ha inizio alle scuole elementari di Motta Visconti il suo lungo iter di insegnante. Seguono interventi di chi gli fu allievo, amico o collaboratore. Mi soffermo innanzitutto sui due che con me sono intervenuti alla Casa della Cultura; ma accennerò anche agli altri.  
Massimo Cacciari ha tratteggiato con vivezza gli anni padovani di Dino Formaggio, anni ricchi e complessi. Formaggio sarebbe stato contento di vedersi riconosciuti la teoreticità del pensiero, le ragioni della distinzione tra estetico e artistico, la connessione tra il tema hegeliano della morte dell’arte e gli sviluppi dell’arte contemporanea. Apprezzabile, infine, quanto Cacciari scrive di Giovanni Gentile e della sua diversità da Benedetto Croce; Formaggio non era certo un seguace di Gentile, ma lo aveva presente. E tra Gentile e Banfi c’era apprezzamento reciproco, sia pur in modi che la forza delle cose ha alla fine reso problematici.
Elio Franzini ha colto bene i sapori degli anni del ritorno di Formaggio a Milano: la “sua” città, in cui ha ritrovato e tenuto vivo un clima culturale di anni ormai lontani: le sue radici sono qui, a queste è rimasto a modo suo fedele. Franzini ci ha ricordato i temi di cui Formaggio si occupava nei suoi ultimi anni; ed è scontato che parlasse del suo importante incontro con Mikel Dufrenne. Scontato perché Franzini stesso su Dufrenne si è laureato: relatore gli fu Giovanni Piana, ma quella fu l’occasione in cui incontrò Formaggio, che gli fu correlatore. Non altrettanto scontato, nuovo anzi per me, che Franzini abbia parlato del rapporto di Formaggio con Hegel. Tanto più che da sempre lo sapevo più incline a Kant, come lui stesso ha confermato pochi giorni fa in un’intervista in occasione della Giornata della Filosofia (rilasciata a Tiziana De Giorgio per le pagine milanesi di “la Repubblica” del 20 novembre 2020). 



Opportunamente poi Franzini accenna alla necessità di superare “uno dei mali del nostro tempo”, cioè “la progressiva perdita del senso della storia, che è invece parte dell’identità del presente”. Da sottolineare in parallelo, tuttavia, è l’emergenza del presente, che in nessun modo può essere riassorbito nei percorsi storici che conducono a esso. La filosofa eccede la propria storia.  
Che la mia conoscenza di Formaggio affondi le radici in anni assai lontani è noto; i sapori di allora agiscono al fondo di lunghi anni di rapporti successivi, ne segnano il tono, le cadenze, le prese di distanza. Ed è fatale che in nome di (ma anche in relazione a) gli albori della nostra conoscenza io abbia sempre preso la parola su di lui. Mi ha sorretto l’utopia che si mostrasse considerazione verso il modo della sua presenza in me e verso il mio modo di viverlo: adolescenziale certo, e dunque ingenuo, parziale. In larga misura mi ha condizionato, talvolta sostenendomi, talaltra in modo ingombrante; ma resta pur un dato reale, per me e per lui; non una mera distorsione soggettiva. Faccio del tutto mio quanto Franzini scrive: “Ciascuno di noi porta in sé il periodo della propria formazione, anche quando crede di negarlo, cercando un’improbabile autonomia, e in essa ritaglia alcuni momenti simbolici, che permettono di ricostruire i tratti essenziali del proprio pensare, quelli davvero importanti”.
Il mio primo incontro con lui si colloca, dal punto di vista dei suoi studi, tra la Fenomenologia della tecnica artistica e L’idea di artisticità. La prima è uscita nel 1953 ed è la sua opera che mi resta più cara, dato che riflette bene i sapori, il clima degli anni in cui mi fu insegnante al Liceo. Leggo con piacere che lo stesso Franzini (pur avendo conosciuto Formaggio in anni toto coelo diversi) dichiari che la Fenomenologia della tecnica artistica è “l’opera a me più cara (forse perché fu suo tramite che lo scoprii, ancor prima di conoscerlo)”. Nei nostri Atti è stato Giangiorgio Pasqualotto a occuparsene: segnalo la sua rilettura della distinzione, operata da Formaggio, tra tecnica interna e tecnica esterna, il riferimento finale alla sua amata arte giapponese. Infine tento di rispondere alla domanda che mi ha posto: neppure io, come lui, sarei sicuro della presenza di ascendenze platoniche in Formaggio, se non in un senso talmente generico, e scontato, per cui Platone contiene i germi di tutto l’ulteriore evolversi del pensiero filosofico.  
L’idea di artisticità è invece del 1962; l’ho vista nascere, risuona dei temi dei corsi universitari che ho seguito. Negli Atti Giorgio Tinazzi, ha testimoniato l’“onda lunga” di quest’opera, giunta fino a lambire il mondo degli studi e delle ricerche cinematografiche, cui si è dedicato.
Franzini, infine, mi ha fatto (senza volerlo immagino) un complimento escludendomi dalla linea di successione accademica di Formaggio: ha perfettamente ragione. Non sottintendo alcuna sottovalutazione del termine accademico: mi resta in mente il motto di Alexander Gottlieb Baumgarten: Je akademischer, je besser (trascrivo nella forma, dubbia, in cui lo ricorda Leonardo Amoroso in Il battesimo dell’estetica). Ma nel mondo accademico mi sono sempre vissuto come “disadattato”, diciamo; e lo sono sempre a tutta evidenza stato.


Formaggio mentre scolpisce

Venendo a me, ho puntato sul tema del “fare”, che per me è tra i tratti più caratteristici della personalità di Formaggio. “Fare” a mio avviso non è da confondere con “azione”, termine che certo ha risvolti comuni al fare, ma lo eccede in direzione di risvolti politici che non appartengono a Formaggio: era uomo del fare, non uomo d’azione. Vincenzo Milanesi usa, giustamente, termini quali “impegno civile”, “passione etico-politica”; non “azione”, a quanto leggo.  
Il saggio di Stefano Zecchi mi chiama indirettamente in causa, laddove cita il manoscritto husserliano sull’estetica da lui tradotto e commentato su “Aut aut” nel 1972; gentilmente mi aveva invitato a collaborare con lui, e nello stesso numero di “Aut aut” è uscita una mia nota su Husserl e i primi sviluppi dell'estetica fenomenologica. A mia volta ho avuto modo di occuparmi in seguito di quel manoscritto husserliano, e per mia fortuna mi è stato di guida Karl Schuhmann. Con lui ho potuto pubblicarlo in una forma filologicamente ineccepibile (per merito di Schuhmann ovviamente) sugli “Husserl Studies” nel 1990, e con la sua approvazione l‘ho tradotto per la “Rivista di estetica” nel 1991. È stato invece Rudolf Bernet (che ho conosciuto tramite Franco Volpi) a farmi avere il testo della celebre lettera di Husserl a Hofmannsthal, che ho tradotto e introdotto per Fenomenologia e scienze dell'uomo nel 1985. Sicuramente devo però a Schuhmann due brevi lettere di Walter Benjamin a Alexander Pfänder, che grazie a Enrico Rambaldi ho tradotto per la “Rivista di storia della filosofia” nel 1994.
Nello scritto presente in Atti riprendo il mio intervento tenuto a Praglia il 25 ottobre del 2014, nel centesimo anniversario della nascita di Dino Formaggio. Subito dopo di me ha preso la parola Andrea Pinotti, mettendo le mani, e dunque il fare, al centro del suo intervento, ma insieme riprendendo aspetti e momenti della figura di Formaggio, e del suo pensiero, come nessuno meglio di lui ha saputo fare. Quello stesso 2014, e lo stesso mese, ricorrevano i sessant’anni del mio incontro con Formaggio; che avvenne nell’autunno del 1954 al Liceo Volta a Milano, allora in via Monviso. Lui aveva quarant’anni, io quindici. In termini certamente datati potrei dire (parafrasando quanto Benjamin dice di Wyneken) che quello fu l’anno della mia nascita alla “vita dello spirito”.
Di quegli anni mi resta una cocente nostalgia, non troppi altri immagino ne conservino oggi i sapori che permangono in me. Non solo per quanto devo a Formaggio, ma anche per quanto nella mia vita è stato segnato da lui: la sua presenza si continua oltre la sua morte. Certo, quei sapori si sono fatalmente affievoliti negli anni che seguirono, tra Pavia e Padova. Ma sono sempre stati vivi in me, riaffiorati con più intensità anzi, involontariamente o meno, in varie occasioni. Esempio ne è la visita in anni recenti a Milano a una mostra di Van Gogh, sicuramente l’artista in cui si riconosceva di più.



Dino Formaggio
Estetica e Filosofia
Atti delle giornate di Studio
per il centenario della nascita 1914-2014
Antiga Edizioni, 2020
Crocetta del Montello (Treviso)
Pagg. 112, € 12.