INTORNO A DINO FORMAGGIO
di
Gabriele Scaramuzza
Dino Formaggio
Hanno
potuto venir pubblicati solo ora gli Atti degli incontri su Dino
Formaggio svoltisi sei anni fa tra Padova e Praglia. In concomitanza a questi
si è potuto visitare a Teolo il Museo d’Arte Contemporanea a lui intitolato; e nello
stesso 2014 è uscito, sempre presso Antiga, L’arte. Il senso di una vita. Disegni
- acquarelli - oli - sculture di Dino Formaggio artista, a cura di Sergio
Giorato; un libro ricco di immagini e con scritti, oltre che del Sindaco di
Teolo, di Daniele Formaggio, Stefano Annibaletto, dello stesso Giorato, e mio. Gli
Atti sono stati presentati alla Casa della Cultura il 24 novembre scorso,
e saranno presenti anche in una sezione apposita di “Materiali di Estetica” 7/2020.
Atti e loro presentazioni sono stati coordinati da Adriana Zeni Formaggio.
In
questo contesto vorrei ricordare anche la conversazione su Dino Formaggio (nel decimo anniversario
della morte), tenuta nella Biblioteca del Dipartimento di Filosofia
dell’Università degli Studi di Milano (depositaria della biblioteca personale e
di testimonianze varie di Formaggio), il 15 novembre 2018. Ha introdotto Luca
Bianchi, erano presenti Adriana Zeni e Damiano Formaggio, hanno preso la parola
Laura Frigerio, Andrea Pinotti, Amedeo Vigorelli e il sottoscritto.
Contestualmente è stata inaugurata la Mostra bibliografico-documentaria,
dedicata a Formaggio; di questa ho scritto la presentazione. Tra il pubblico
c’era Maddalena Mazzocut-Mis, in sua compagnia ho visto per l’ultima volta Dino
Formaggio all’Ospedale di San Bonifacio: resteranno nel mio sempre l’immagine di
affettuosa fragilità, lo smarrimento, di quel giorno.
Tornando agli Atti, a una
paginetta di presentazione di Moreno Valdisolo, Sindaco di Teolo, segue Ricordare
Dino Formaggio di Adriana Zeni, vera e propria presentazione generale; qui
è ripreso un toccante foglietto scritto da Formaggio a 19 anni, il 7 novembre
del 1933, giorno in cui ha inizio alle scuole elementari di Motta Visconti il
suo lungo iter di insegnante. Seguono interventi di chi gli fu allievo, amico o
collaboratore. Mi soffermo innanzitutto sui due che con me sono intervenuti
alla Casa della Cultura; ma accennerò anche agli altri.
Massimo Cacciari ha tratteggiato con vivezza gli anni padovani di
Dino Formaggio, anni ricchi e complessi. Formaggio sarebbe stato contento di
vedersi riconosciuti la teoreticità del pensiero, le ragioni della distinzione
tra estetico e artistico, la connessione tra il tema hegeliano della morte
dell’arte e gli sviluppi dell’arte contemporanea. Apprezzabile, infine, quanto
Cacciari scrive di Giovanni Gentile e della sua diversità da Benedetto Croce;
Formaggio non era certo un seguace di Gentile, ma lo aveva presente. E tra
Gentile e Banfi c’era apprezzamento reciproco, sia pur in modi che la forza
delle cose ha alla fine reso problematici.
Elio Franzini ha colto bene i sapori degli anni del ritorno di
Formaggio a Milano: la “sua” città, in cui ha ritrovato e tenuto vivo un clima
culturale di anni ormai lontani: le sue radici sono qui, a queste è rimasto a
modo suo fedele. Franzini ci ha ricordato i temi di cui Formaggio si occupava
nei suoi ultimi anni; ed è scontato che parlasse del suo importante incontro
con Mikel Dufrenne. Scontato perché Franzini stesso su Dufrenne si è laureato:
relatore gli fu Giovanni Piana, ma quella fu l’occasione in cui incontrò
Formaggio, che gli fu correlatore. Non altrettanto scontato, nuovo anzi per me,
che Franzini abbia parlato del rapporto di Formaggio con Hegel. Tanto più che
da sempre lo sapevo più incline a Kant, come lui stesso ha confermato pochi
giorni fa in un’intervista in occasione della Giornata della Filosofia
(rilasciata a Tiziana De Giorgio per le pagine milanesi di “la Repubblica” del
20 novembre 2020).
Opportunamente poi Franzini accenna alla necessità di superare
“uno dei mali del nostro tempo”, cioè “la progressiva perdita del senso della
storia, che è invece parte dell’identità del presente”. Da sottolineare in
parallelo, tuttavia, è l’emergenza del presente, che in nessun modo può essere
riassorbito nei percorsi storici che conducono a esso. La filosofa eccede la
propria storia.
Che la mia conoscenza di Formaggio affondi le radici in anni assai
lontani è noto; i sapori di allora agiscono al fondo di lunghi anni di rapporti
successivi, ne segnano il tono, le cadenze, le prese di distanza. Ed è fatale
che in nome di (ma anche in relazione a) gli albori della nostra conoscenza io
abbia sempre preso la parola su di lui. Mi ha sorretto l’utopia che si mostrasse
considerazione verso il modo della sua presenza in me e verso il mio modo di
viverlo: adolescenziale certo, e dunque ingenuo, parziale. In larga misura mi
ha condizionato, talvolta sostenendomi, talaltra in modo ingombrante; ma resta
pur un dato reale, per me e per lui; non una mera distorsione soggettiva.
Faccio del tutto mio quanto Franzini scrive: “Ciascuno
di noi porta in sé il periodo della propria formazione, anche quando crede di
negarlo, cercando un’improbabile autonomia, e in essa ritaglia alcuni momenti
simbolici, che permettono di ricostruire i tratti essenziali del proprio
pensare, quelli davvero importanti”.
Il mio primo incontro con lui si colloca, dal punto di vista dei
suoi studi, tra la Fenomenologia della
tecnica artistica e L’idea di
artisticità. La prima è uscita nel 1953 ed è la sua opera che mi resta più
cara, dato che riflette bene i sapori, il clima degli
anni in cui mi fu insegnante al Liceo. Leggo con piacere che lo stesso Franzini
(pur avendo conosciuto Formaggio in anni toto coelo diversi) dichiari
che la Fenomenologia
della tecnica artistica è “l’opera a me più cara (forse perché
fu suo tramite che lo scoprii, ancor prima di conoscerlo)”. Nei nostri Atti
è stato Giangiorgio Pasqualotto a occuparsene: segnalo
la sua rilettura della distinzione, operata da Formaggio, tra tecnica interna e
tecnica esterna, il riferimento finale alla sua amata arte giapponese. Infine
tento di rispondere alla domanda che mi ha posto: neppure io, come lui, sarei
sicuro della presenza di ascendenze platoniche in Formaggio, se non in un senso
talmente generico, e scontato, per cui Platone contiene i germi di tutto
l’ulteriore evolversi del pensiero filosofico.
L’idea di
artisticità è invece del 1962; l’ho vista nascere, risuona dei temi dei corsi
universitari che ho seguito. Negli Atti Giorgio Tinazzi, ha testimoniato
l’“onda lunga” di quest’opera, giunta fino a lambire il mondo degli studi e
delle ricerche cinematografiche, cui si è dedicato.
Franzini, infine, mi ha fatto (senza volerlo immagino) un
complimento escludendomi dalla linea di successione accademica di Formaggio: ha
perfettamente ragione. Non sottintendo alcuna sottovalutazione del termine
accademico: mi resta in mente il motto di Alexander Gottlieb Baumgarten: Je
akademischer, je besser (trascrivo nella forma, dubbia, in cui lo ricorda
Leonardo Amoroso in Il battesimo dell’estetica). Ma nel mondo accademico
mi sono sempre vissuto come “disadattato”, diciamo; e lo sono sempre a tutta
evidenza stato.
Formaggio mentre scolpisce |