LA RADICALITÀ DELLE CONTRADDIZIONI di
Franco Astengo
Di
fronte alle grandi novità intervenute nel corso degli ultimi anni e rese ancor
più incisive sulla realtà dalla fase di emergenza sanitaria la sinistra (non
solo quella italiana) si trova nell’urgente necessità di ritrovare un diverso
equilibrio nella propria capacità di iniziativa politica. Si è conclusa la
stagione dell’autonomia della governabilità, della vocazione maggioritaria,
dell’alternanza “temperata”: l’insieme del quadro appare confuso, le visioni
sovrapposte, le identità sociali sfumate e trasversali. Partendo da questa
convinzione appare indispensabile aprire un confronto attorno a temi complessi
e parzialmente inediti. Una lezione ci viene dall’esito delle elezioni
americane, se si scrutano i dati andando in profondità e oltrepassando quelli
complessivi che hanno determinato la vittoria del candidato presidente
democratico. Siamo di fronte ad un intreccio di contraddizioni che hanno spinto
la crescita delle disuguaglianze, l’egemonia della tecnica, la riduzione di
ruolo nelle forme classiche della democrazia. La
conseguenza di questi fenomeni può essere così riassunta: 1). Il procedere di un
ulteriore processo di disfacimento sociale verso il quale l’idea della sintesi
politica (una volta appartenuta alle grandi formazioni partitiche) appare
inefficace; 2). L’emergenza del
prevalere di una visione politica facile da semplificare nella narrazione, con
l’utilizzo di una sorta di “manicheismo”: a di là o di qua, senza sfumature,
proprio perché sembra impossibile rintracciare un’appartenenza definita. Si
verifica così il passaggio dalla “democrazia del pubblico” (Manin) alla
“democrazia recitativa”. Nella “democrazia recitativa” è facile prevedere una
fase di egemonia appannaggio della destra; 3). Non è più questione di
disaffezione dalle pratiche della democrazia ma di transito di interi settori
sociali da una parte all’altra degli schieramenti e di una forte mobilità tra
questi: per sfuggire all’incalzare dello sfruttamento, al predominio della
tecnologia (cui è attribuita anche la responsabilità dell’emergenza sanitaria),
considerando la “paura” quale vera e propria categoria politica, grandi masse
si sono rifugiate nella certezza di una identità da difendere, la “propria”
appartenenza di “focolare”. L’azione
politica viene così considerata soltanto in chiave difensiva (al limite quasi
antropologica) avendo smarrito il senso dell’appartenenza a una condizione
sociale. In questo modo masse di sfruttati e marginalizzati (o neo-marginalizzati)
votano a destra perché credono sia loro garantita una riconoscibilità “di
gregge”.
La
sinistra appare così lontana dal quotidiano e mera espressione di una visione
intellettuale capace soltanto di mediare quasi in esclusiva la funzione del
potere. Una sinistra che fa fatica a riconoscere il forte stridio della nuova
qualità delle contraddizioni e finisce con l’assumere posizioni “mediane” ormai
fuori dal tempo e frutto soltanto di una concezione arcaica dell’autonomia del
politico. La
sola strada possibile, per rimontare la corrente, è quella della capacità di
assumere fino in fondo una sorta di “radicalità di progetto”. La considerazione (sbagliata) era quella di un potere delle
istituzioni considerato ormai come esaustivo della legittimità del “comando
politico”. Non possiamo cedere
all’idea di una imposizione dall’alto di una visione “bloccata” dentro la
logica della reciprocità dello scontro di potere che si accompagna allo
stabilirsi, ancora una volta, dell’egemonia culturale della società nell’immediatezza
del consumo individualista. Nell’epoca del dominio
delle grandi concentrazioni del potere tecnologico che punterà a mutare (e lo
sta già facendo) lo stesso ciclo di vita delle persone nel combinato disposto
fra emergenza sanitaria e utilizzo delle nuove forme di lavoro e di
comunicazione, bisogna chiamare a raccolta quelle forze che si sottraggono,
oggi, alla politica, ma non possono tirarsi fuori dal procedere, inesorabile,
della dialettica della storia.Una dialettica che non può
risolversi semplicemente presentando la propria coscienza individuale al
cospetto dell’immutabilità di funzione di un comando costituito che appare
ormai soltanto come la copertura di un potere nascosto. Non sarà sufficiente “la
legge morale dentro di sé” e la competizione politica ridotta all’
“individualismo competitivo”.La sinistra sarà chiamata
al compito di ritrovare i termini della ribellione collettiva verso l’idea
della “fine della storia” e del predominio dell’io come soggetto esaustivo
dell’agire politico. Al compito di ritrovare i
termini della ribellione collettiva verso l’idea della “fine della storia” e il
predominio dell’io come soggetto esaustivo dell’agire politico, è chiamata la
sinistra e soprattutto quegli intellettuali che non intendono ridurre il loro
ruolo a quello di “maitre a penser” del potere. In questo senso non
dobbiamo essere timidi nell'indicare la finalità necessaria: la costruzione del
soggetto politico espressione di una “contrapposizione sociale” da determinarsi
nell’agire politico.