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domenica 20 dicembre 2020

TEATRO ALLA SCALA. LA “PRIMA”   
di Gabriele Scaramuzza
 


Da incallito (di bocca buona magari, dirà qualcuno, ma non acritico) melomane - non musicista né musicologo tuttavia - ero ben disposto verso la strana “Prima” di quest’anno. La mia impressione iniziale è stata buona, non mi vergogno a dirlo. Come sempre, sono attratto per prima cosa dalla musica, e uno ad uno i brani scelti mi hanno attratto, non tutti, ma per lo più; e non sono tutti da buttare solo perché sono stranoti o scontati. Gli interpreti mi hanno coinvolto quasi tutti, per voce e presenza; per i balletti Bolle; Livermore meglio di quanto temessi. Chailly: complice e vittima, certo; credo bene che felice non dev’esser stato, ma ha diretto benissimo, per i miei gusti almeno. Mi ha subito preso (perché tacerlo?) l’inizio col preludio di Rigoletto, poi Don Carlo...
Qualcuno (non Vitale*) sembra prendersela con Michela Murgia; non la conosco, quello che ha detto alla Scala mi è parso scontato ma ragionevole. Di buon senso ce n’è talmente poco in giro che tendo a valorizzarlo (non ovviamente l’ipocrisia di chi fa passare per buon senso l’inaccettabile); non tutti gli ascoltatori sanno, magari ricordare loro anche cose ovvie non è così sbagliato.  
Riflettendo meglio tuttavia, ci sarebbe innanzitutto da ridire anche solo sulla scelta dei brani: se si voleva dare un’idea di quanto la Scala ha offerto, e tanto più negli ultimi anni, perché escludere la musica tedesca (Weber, Wagner, Strauss…), tanto più che la Scala ha offerto esecuzioni prestigiose di essa; e perché dimenticare Britten, Janáček… che pure la Scala ha rappresentato egregiamente. Un po’ di musica francese, scontata; e perché tanto Giordano? Si doveva scegliere, certo, valutare le disponibilità effettive. Soprattutto però aver chiare le finalità: a chi intendeva rivolgersi, a quale tipo di pubblico, la Scala questo 7 dicembre 2020? Che idea di cultura musicale perseguiva?
Indigeribile per un grande teatro poi la cornice dell’evento. Brani tratti da opere sparse, in un insieme la cui logica sfugge. Lasciamo perdere i Tre Tenori; ma più che San Remo, a me son tornati in mente i vecchi Concerti Martini & Rossi (qualcuno li avrà pur ancora presenti): arie astratte da ogni contesto che le metta in una luce propria, esibite come gemme in una mostra. In proposito mi permetto tuttavia una breve divagazione: quanti quadri esposti oggi nei musei sono estrapolati dal contesto per cui sono stati dipinti, e che dava loro un senso che ora si è perso; ma un diverso senso l’hanno pur tenuto vivo: andiamo con passione a vederli (uno alla volta però, non tanti insieme…). Ciononostante resta di dubbio spessore la “mostra” che ci ha offerto la Scala questa volta. 


Vinicio Verzieri
"Giuseppe Verdi"

Solo un’opera intera sarebbe stata una Prima degna della tradizione, è certo. Non ho seguito la vicenda che ha portato a escluderla, ci si deve chiedere cosa d’altro era disponibile di questi tempi... Incomprensibile poi la comparsa iniziale e finale di Milly Carlucci e Bruno Vespa, di per sé sufficienti a inquinare l’impresa: chi li ha imposti? è stato gioco forza accettarla? la Scala e la Rai non potevano farne a meno? Non è così che un teatro, la Scala in particolare, deve fare. Qualcuno, assai più addentro di me nella questione, mi assicura che, pur in questa mala contingenza, poteva esser fatto altro: dalla Scala e anche dalla Rai.
Ma sarei indulgente: non forzerei i toni parlando di kitsch tout-court (anche per la musica?); cassoeula va già meglio, dato che ha ingredienti buoni. Non vedrei la premessa per il trapianto di “San Remo” alla Scala. Ciò che il sindaco Sala ha fatto del caso dopotutto è collaterale, fermo restando il mio accordo con quanto Vitale scrive; mi convince sempre, aiuta a capire meglio, quando Vitale parla della situazione politico-economica attuale, lombarda in primis, e non solo. Anch’io mi sono molto rammaricato della presenza così sottotono di Toscanini e del clima del 1946 (così ben rievocato da Vitale, in modo totalmente condivisibile). Si sarebbe dovuto riprenderne qualche momento, magari inaugurare l’anno con il ritorno di quell’inaugurazione (se ne esiste una registrazione adatta), sic et simpliciter, senza aggiungere altro. In ogni caso, proprio non era possibile la scelta di un’opera intera alla Scala? Dev’essere un’utopia. Ora spero almeno vedere il
“magnifico, davvero innovativo Barbiere di Siviglia” a Roma.  
 
[*Articolo di Marco Vitale su “Odissea” giovedì 10 dicembre]