Quella dei consumatori è senza
dubbio la categoria sociale più sedotta e abbandonata che esista in questo
clima di pan-economia. Massimo vessillo del maschilismo economico
dell’industria finanziario-capitalistica. Sollecitato con sapienti
dimostrazioni, corteggiato con insinuante ardore, soggiogato dall’incalzare di
messaggi, il consumatore finisce con “l’innamorarsi” di una merce che spesso
ripaga la sua dedizione con la truffa sul piano economico e/o soprattutto
sanitario. Ma
niente paura! C’è la legge, il ministero della salute, vi sono 75 anni di democrazia,
più cattolica che cristiana; ma soprattutto c’è la libertà della scelta e se uno,
o tanti consumatori si son fatti fregare sono affari loro. E poi, cosa sono i
drammi di Seveso, la terra dei fuochi, la mefitica aria della pianura Padana e
l’agricoltura ridotta dai diserbanti e dalle piogge acide ad un produttore di
sostanze nocive, e così ridotta male che anche un redivivo Attila ne rimarrebbe
imbarazzato. La
condizione di vulnerabilità del cittadino-consumatore di fronte all’egemonica
utilizzazione dei mass-media da parte dell’industria, la sua scarsa tutela
giuridico-istituzionale, le difficoltà oggettive di acquisire un “potere contrattuale”
attraverso forme associative, sono tutti importanti aspetti di un fondamentale
e delicato problema sociale di cui troppo spesso si appropriano finti paladini. C’è
una condizione di subalternità e di sopraffazione che caratterizza il momento
del consumo e dell’utenza di beni e servizi da parte dei consumatori: il loro
potere decisionale è nelle mani di chi produce e vende; mancano, o meglio sono
minoritari ed oscurati, i mezzi di informazione autonoma e disinteressata.
I
modelli di consumo con cui pubblicità, tivù, cinema e rotocalchi esasperano la
popolazione, tendono a determinare orientamenti ed aspirazioni spesso non
convenienti per la gran massa dei consumatori, sia dal punto di vista economico
che da quello della salute. In questa discrepanza tra gli interessi reali e
quelli indotti, che fa da matrice all’ideologia consumistica, sedando la
vigilanza critica di gran parte dei cittadini, si innestano e si intrecciano
tutte quelle circostanze che consolidano l’asservimento del consumatore: la
schiacciante forza penetrativa dell’apparato pubblicitario, che trova complice,
in quanto tributaria, anche la stampa indipendente, politica e informativa; la
limitata rappresentatività di mercato della pubblicità, accentrata dalle grandi
marche, solidali nel non farsi concorrenza sui prezzi; la non applicazione di
norme giuridiche che frenino la spinta all’indebitamento; una legislazione che
mai, in concreto, impone obblighi informativi alla reclame, avvallandone di fatto il ricorso alle più ipocrite
suggestioni o alle più mendaci omissioni, come nei casi dei foglietti
illustrativi dei farmaci, i bugiardini. Poi
c’è il tema delle garanzie di qualità e di sicurezza circa l’uso dei prodotti.
Gli organismi di controllo, che ben poco possono fare, ed il ginepraio di norme
italiane ed europee, rendono beffarda l’immunità di cui godono i grandi
produttori.
Di
fronte a questa barriera kafkiana, sta la quasi totale impotenza del
consumatore a costruirsi strumenti di contestazione e difesa giuridica che non
siano quelli sterili della causa individuale. È
vero ci sarebbe la class action, che
dal 1° gennaio 2010 i consumatori italiani hanno a disposizione per far valere
in giudizio i propri diritti (art. 140-bis del Codice del Consumo), ma da
quando nel lontano 2004 la class action
entrò nel dibattito parlamentare all’anno 2019 che rappresenta il terzo atto
della saga dell’azione collettiva all’italiana, di fatto il consumatore viene
turlupinato e rimettersi alla clemenza della lentissima Giustizia italiana.
Siamo ben lontani da quella che si pratica negli Usa: si parla di class action all’Italiana. Ma
veniamo ad esempi pratici di come certe scoperte scientifiche vengano raggirate
con sofismi ed ingannevoli e fuorvianti dispositivi commerciali. Un tema fondamentale
che sfugge a tutti è il fattore tempo. Siamo passati dalla velocità del cavallo
a quello dei chips senza accorgersene, o meglio, l’industria lo sa e ti offre
il piatto della comodità davanti agli occhi, e noi, pur di “non perder tempo”, accettiamo
supinamente ed acriticamente quello che la direzione mondiale del consumo di
propone. Ma
torniamo a bomba. Partiamo dalla mitica (è proprio il termine che ci vuole)
Dieta mediterranea, Patrimonio immateriale dell’umanità, Bene protetto
dall’Unesco. Alzi la mano chi riesca a fare la Dieta mediterranea. Non è solo
la qualità e la quantità del cibo: essa implica anche un movimento, un ritmo sonno/veglia
(si va a letto presto e ci si alza presto), lontani dagli elementi psico-stressogeni.
Dico questo perché continuo, nel limite del possibile, a seguire questo stile
di vita appreso dai miei nonni e dai parenti. Quasi tutti, senza deficit
mentali e strutturali, si sono avvicinati ai cento anni.